Contro Fausto manicheo |
Tra gli studiosi delle sacre Scritture ci si chiede se la fede in Cristo prima della sua passione e risurrezione ( fede che acquisivano mediante rivelazioni o attingevano nei profeti ) ebbe presso gli antichi giusti tanta efficacia quanta ne ha ora la fede in Cristo che patì ed è risorto; se proprio l'effusione del sangue dell'Agnello di Dio, che avvenne, come egli stesso dice, per molti, in remissione dei peccati ( Mt 26,28 ) abbia conferito o aggiunto qualche beneficio ed abbia purificato anche quelli che, pur credendo a questo evento, partirono da questa vita prima che avvenisse; e se la sua morte sia giunta a visitare anche i morti, in vista della liberazione.
Ma ora sarebbe troppo lungo - e non necessario a quest'opera - discutere tale questione approfondendola, o anche delinearla convalidando quanto è stato trovato in essa.
Intanto sarà sufficiente dimostrare, contro la calunniosa ignoranza di Fausto, quanto vaneggino, sbagliando, coloro che credono che, una volta cambiati i segni ed i sacramenti, siano diverse anche le cose che il rito profetico preannunciò come promesse e di cui il rito evangelico annunciò il compimento; e quanto vaneggino coloro che ritengono che, essendo le cose sempre identiche, non si sarebbe dovuto annunziarne il compimento con sacramenti diversi, rispetto a quelli che lo preannunciavano futuro.
Se infatti i suoni delle parole del nostro linguaggio cambiano secondo il tempo ed una medesima cosa in un modo si dice che " deve esser fatta ", in un altro che " è stata fatta ", così come queste due parole appena dette ( " deve esser fatta ", " è stata fatta " ) non hanno prodotto un suono secondo identici intervalli di tempo, né mediante le stesse lettere e sillabe; che cosa c'è di strano se con alcuni misteriosi segni distintivi sono state promesse la futura passione e la futura resurrezione di Cristo, con altri si annuncia che è già avvenuta?
Dal momento che le stesse parole " avverrà " e " è avvenuta ", " patirà " e " ha patito ", "risorgerà " ed " è risorto " non hanno potuto presentarsi con lettere uguali né produrre un suono simile?
Cos'altro sono, infatti i singoli sacramenti del corpo, se non - per così dire - certe parole visibili, sacre, certo, eppure mutevoli e temporanee?
Perché Dio è eterno, ma non l'acqua ed ogni azione materiale che si compie, avviene e passa quando battezziamo; di nuovo anche le stesse sillabe, che risuonano rapidamente e passano in un momento, quando si dice "Dio ", se non si pronunciano non avviene la consacrazione.
Tutte queste azioni passano, i suoni passano, ma la forza che attraverso essi opera rimane perennemente, ed il dono spirituale che si introduce attraverso essi è eterno.
Allora dire: se Cristo non avesse abolito la Legge ed i Profeti, i sacramenti della Legge e dei Profeti, sarebbero ancora conservati nelle comunità e nelle celebrazioni dei cristiani, equivale ad affermare che se Cristo non avesse abolito la Legge ed i Profeti dovrebbero essere ancora promesse la sua nascita futura, la sua morte, la sua resurrezione; mentre non li ha aboliti, ma li ha portati a compimento, perché non è più promesso che nascerà, soffrirà, risorgerà ( come quei sacramenti un tempo proclamavano ), ma si annuncia che è nato, ha sofferto, è risorto ( come ora proclamano questi sacramenti amministrati dai cristiani ).
Chi dunque venne non ad abolire la Legge ed i Profeti, ma a portarli a compimento, proprio con il compimento ha tolto quelle cose attraverso le quali ancora era promesso che doveva compiersi ciò che risulta ormai compiuto.
Proprio come se avesse eliminato queste parole: " nascerà, soffrirà, risorgerà ", che erano appropriate quando queste cose dovevano avvenire, e avesse stabilito di dire " nacque, soffrì, è risorto ", che sono appropriate ora che quelle cose sono state portate a compimento e perciò eliminate.
Come dunque codeste parole, così quei sacramenti del popolo antico dovettero essere tolti e sostituiti perché ormai sono stati portati a compimento per mezzo di Colui che non venne ad abolire la Legge ed i Profeti.
Ai primi cristiani, che da Giudei erano venuti alla fede, finché non venissero persuasi per gradi ad abbandonare una consuetudine tanto antica e venissero condotti ad una perfetta comprensione, e poiché erano nati ed erano stati educati in tal modo, gli apostoli permisero di conservare i riti e la tradizione dei padri; ed esortarono quelli che avevano questo compito ad accettare la loro lentezza e le loro consuetudini.
Ne risulta che l'Apostolo circoncise Timoteo, di madre giudea e padre greco, ( At 16,1-3 ) per riguardo a quelli presso cui era venuto con lui; ed egli stesso conservò tale consuetudine tra loro, non con una finzione ingannevole, ma con un saggio proposito.
Poiché codesti sacramenti non erano nocivi né ai nati né a quanti erano stati educati in tal modo, sebbene non fossero più necessari a simboleggiare cose future.
Sarebbe stato più nocivo proibirli perché dannosi, fra quegli uomini fino ai quali dovettero conservarsi.
Poiché Cristo, che era venuto a portare a compimento tutte quelle profezie, li aveva trovati iniziati alla loro religione; cosicché gli altri ormai, che non erano vincolati da nessun obbligo di tal genere, ma come da un muro opposto, cioè dal prepuzio, si incontravano con Cristo, pietra angolare, non erano costretti a nulla di simile. ( Ef 2, 14.20 )
Se invece, come Timoteo, avessero voluto spontaneamente avvicinarsi ed incontrarsi con quelli che erano venuti dalla circoncisione ed erano ancora dediti a tali sacramenti, non sarebbe stato loro proibito.
Ma se avessero creduto che dalle opere della legge dipendesse la loro speranza e la loro salvezza gli sarebbe stato proibito come se si trattasse di una peste fatale.
Da qui deriva quanto l'Apostolo dice: Ecco, io Paolo vi dico: Se vi fate circoncidere Cristo non vi gioverà nulla; ( Gal 5,2 ) cioè se lo avessero fatto come volevano e come erano stati persuasi a credere da alcuni depravati: convinti che senza queste opere della Legge non avrebbero potuto essere salvi. ( At 15,1 )
Infatti, poiché i Gentili si avvicinarono alla fede in Cristo soprattutto grazie alla predicazione dell'apostolo Paolo ( come era giusto che facessero ), così da non essere oppressi da nessuna osservanza giudaica - poiché quelli in età avanzata trovavano un impedimento alla fede nella paura verso quelle insolite cerimonie, soprattutto la circoncisione; e poiché non erano stati imbevuti in tali sacramenti fin dalla loro nascita, se fossero divenuti proseliti nella maniera d'una volta era come se con quei misteri si promettesse che Cristo doveva ancora venire - dunque avvicinandosi alla fede in questo modo, come ormai era necessario che i Gentili facessero, quelli che vi si erano accostati a partire dalla circoncisione, non comprendendo perché a loro fossero permessi quei sacramenti e perché ai Gentili non dovessero essere imposti, avevano cominciato a perturbare la Chiesa con alcuni disordini carnali, perché i Gentili ammessi a far parte del popolo di Dio non diventavano proseliti nel modo consueto con la circoncisione della carne ed altre simili osservanze della Legge.
E fra questi Gentili c'erano di quelli che insistevano molto perché ciò avvenisse, per paura dei Giudei fra i quali vivevano.
Contro questi l'apostolo Paolo scrisse spesso; e riprese con un fraterno rimprovero anche Pietro, che si era lasciato attirare nella loro ipocrisia. ( Gal 2,14 )
Ma dopo che gli apostoli si furono riuniti, anche con la loro decisione stabilirono che i Gentili non dovessero essere obbligati a queste opere della Legge. ( At 15,6-11 )
Dispiacque ad alcuni Cristiani circoncisi, che non riuscivano a comprendere che tali osservanze non erano state proibite a quelli soli che la fede rivelata aveva già trovato imbevuti di esse, affinché giungesse a pieno compimento in loro la stessa opera profetica in cui, prima del compimento della profezia, si erano già impegnati; ed affinché, se da quelle osservanze fossero stati allontanati, non sembrasse che quella opera profetica fosse stata disapprovata piuttosto che portata a termine.
Se, invece, tali osservanze fossero state imposte anche ai Gentili, si sarebbe creduto o che non erano state istituite per preannunciare Cristo o che ancora lo preannunciavano.
Perciò all'antico popolo di Dio, prima che Cristo venisse a portare a compimento la Legge ed i Profeti, fu richiesto di osservare tutte quelle cose che preannunciavano Cristo.
Liberi furono quelli che capivano a cosa servivano, servi quelli che non lo capivano.
Ma quanto al popolo successivo, che si accostò alla fede con cui si predicava che Cristo era già venuto, aveva sofferto ed era risorto, certo se si trattava di uomini che la fede aveva trovato già preparati a tali sacramenti, non erano costretti ad osservarli né era loro proibito farlo; invece, a quanti avevano creduto trattandosi di uomini liberi, non costretti da alcuna necessità di stirpe, di consuetudine, di convenienza, addirittura era proibito; così attraverso di loro avrebbe cominciato ad essere manifesto che tutte quelle cose erano state istituite perché dovevano preannunciare Cristo; dopo la sua venuta e l'adempimento di queste promesse, era necessario che cessassero.
Alcuni credenti nella circoncisione, che non lo capivano, non contenti perciò di questa regolata distribuzione dello Spirito Santo operante per mezzo degli apostoli, si ostinarono in quella perversione, per costringere anche i Gentili a vivere secondo la legge giudaica.
Sono quelli che Fausto ha ricordato con il nome di Simmachiani o Nazareni, i quali fino ai nostri giorni, pur essendo pochi ormai, tuttavia ancora continuano a sussistere come setta.
Da cosa, dunque, costoro muovono accusa alla Legge ed ai Profeti, dicendo che Cristo venne ad abolire la legge piuttosto che a portarla a compimento?
Perché i Cristiani non osservano ciò che vi è prescritto? I Cristiani non osservano solo quelle cose che preannunciavano Cristo!
E non le osservano perché Cristo ha portato a compimento quelle promesse, e quelle che sono state ormai portate a compimento non sono più preannunciate.
E i segni che le preannunciavano avrebbero dovuto avere un termine presso uomini che erano stati trovati già imbevuti di tali promesse dalla fede in un Cristo che veniva a portarle a compimento?
I Cristiani non osservano, infatti, ciò che è scritto: Ascolta, Israele: Il Signore Dio tuo, è l'unico Dio: Non ti farai idolo ( Dt 6,4 ) e così via?
I Cristiani non osservano ciò che è detto lì: Non pronuncerai invano il nome del Signore tuo Dio?
I Cristiani non osservano persino il sabato, che serve per comprendere il senso del vero riposo?
I Cristiani non onorano i loro genitori, secondo quanto è lì comandato?
I Cristiani non si astengono dall'adulterio, dall'omicidio, dal furto, dalla falsa testimonianza o dal desiderare la donna d'altri o dal desiderare la roba d'altri: tutte cose che sono scritte nella legge? ( Es 20,4-17 )
Questi precetti riguardano la condotta, quei sacramenti riguardano le promesse: i primi sono portati a compimento con l'aiuto della grazia, i secondi con il dono della verità.
Entrambi per mezzo di Cristo, che ha sempre donato quella grazia ed anche ora la rivela; e che allora prometteva questa verità che ora manifesta; perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. ( Gv 1,17 )
Pertanto queste cose che sono custodite in una coscienza che vive rettamente sono portate a compimento da una fede che opera per mezzo della carità, ( Gal 5,6 ) mentre quelle il cui oggetto aveva il significato di una promessa, una volta espressa la loro sostanza, sono passate.
Così è avvenuto anche per quelle cose che non sono state abolite ma portate a compimento; perché Cristo non le mostrò vane né fallaci quando rivelò ciò che era promesso dal loro significato.
Pertanto non è vero che il Signore Gesù non portò a compimento certi precetti ( come crede Fausto ), che erano stati già annunziati da uomini giusti prima della legge di Mosè, come: Non uccidere, che invece non confutò ma piuttosto confermò quando richiamò dall'ira e dall'ingiuria, ( Es 20,13; Mt 5,21-22 ) e che invece abolì alcuni che sembravano peculiari della legge degli Ebrei, come Occhio per occhio, dente per dente, che sembra piuttosto aver eliminato che confermato, quando dice: ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra, ( Es 21,24; Mt 5,38-39 ) ecc.
Noi infatti diciamo che anche queste cose che costoro credono abolite da Cristo, riconoscendole come contrarie, e che siano state istituite opportunamente allora, in considerazione di quei tempi, ora non sono state abolite da Cristo, bensì portate a compimento.
Perciò, in primo luogo, chiedo a costoro se quegli antichi giusti, Enoch e Seth - questi, infatti, sono menzionati soprattutto da Fausto -, e se alcuni altri che vissero non solo prima di Mosè ma anche prima di Abramo, si adirarono contro il fratello senza un motivo o dissero al fratello: Stupido.
Se non lo dissero, perché non insegnarono anche tale condotta?
E se la insegnarono pure, chiedo in che modo Cristo abbia portato a compimento la loro giustizia e il loro insegnamento, aggiungendo: Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, o se gli dice: stupido, o se gli dice: pazzo, sarà sottoposto a giudizio, o al sinedrio o al fuoco della Geenna, ( Mt 5,22 ) dato che quegli uomini vivevano in quel modo ed esortavano a viverci?
Quei giusti ignoravano che si deve frenare l'ira e che non si deve provocare il fratello con un insulto insolente o lo sapevano senz'altro ma non potevano astenersi da queste cose?
In questo caso meritavano la Geenna: come, dunque, considerarli giusti?
Di certo non oserai dire che la loro giustizia fu inesperta del suo dovere, né intemperante così da renderli meritevoli della Geenna.
Perché, dunque, Cristo avrebbe portato a compimento quella legge secondo la quale vivevano gli antichi giusti, aggiungendo queste cose, non potendo la loro giustizia sussistere senza di esse?
O stai per dire che una impetuosa iracondia, una lingua maligna cominciarono ad avere a che fare col peccato da quando venne Cristo, mentre prima non era iniquo commettere queste colpe col cuore o con la bocca?
Come in alcune cose istituite secondo la convenienza dei tempi troviamo ora qualcosa di non lecito, mentre prima lo era; o ciò che prima non lo era, ora vediamo che lo diventa.
Non sarai così folle da dire questo; ma anche se lo farai ti si risponderà che Cristo non è venuto a portare a compimento ciò che mancò alla legge antica secondo questa idea, ma ad istituire una legge che non c'era; se è vero che dire al fratello: Sciocco, non essendo iniquo presso gli antichi giusti, ora Cristo volle che fosse così iniquo che chiunque lo dica meriti la Geenna.
Pertanto non hai ancora trovato a quale legge mancarono un tempo queste parti, aggiunte le quali ora Cristo l'ha portata a compimento.
Per caso la legge di non commettere adulterio era incompleta presso quegli antichi giusti, finché non fu adempiuta dal Signore che aggiunse che nessuno deve guardare una donna per desiderarla?
Così hai ricordato la frase stessa: " Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio; ma io vi dico: non desiderate affatto.
È l'adempimento ", dici. Esponi esattamente le parole del Vangelo!
Non sminuire con le tue ciò che è stato detto e vedi che cosa hai pensato di quegli antichissimi giusti!
Si dice: Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. ( Es 20,14; Mt 5,27-28 )
Davvero quei giusti, Seth ed Enoch, o altri simili a loro, commettevano adulterio nei loro cuori?
E il loro cuore non era tempio di Dio, o commettevano adulterio nel tempio di Dio?
Se non osi dirlo, come puoi dire anche che Cristo, quando venne, portò a compimento la loro legge, che già ai loro tempi era completa?
Riguardo al non giurare, ( Es 20,7; Mt 5,33-37 ) poi, poiché anche qui hai detto che la loro legge è stata portata a compimento da Cristo, non posso affermare che gli antichi giusti non giurassero, poiché troviamo che anche l'apostolo Paolo giurò. ( Rm 1,9; Fil 1,8; 2 Cor 1,23 )
Non si allontanano dalla vostra bocca, invece, i frequenti giuramenti, dal momento che giurate per la luce, che amate come le mosche; poiché la luce della mente, del tutto estranea a codesti occhi, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, ( Gv 1,9 ) non sapete pensarla da qualche parte; e giurate anche per il vostro signore Manicheo, che era chiamato Mani nella lingua originaria.
Ma voi, per evitare il sostantivo greco " follia ", come se il nome venisse declinato e allungato, avete aggiunto una specie di suffisso, con cui scivolate in un errore maggiore.
Infatti uno di voi mi ha spiegato perché sia stato chiamato Manicheo: cosicché sembri in greco quasi un " infondere la manna ", perché in greco "infondere " si dice χεϊ.
Con ciò non so che cosa abbiate fatto se non che avete sognato una follia dai contorni più definiti.
Infatti non avete aggiunto una lettera nella prima parte della parola, affinché si riconoscesse la parola " manna "; ma avete aggiunto nella seconda parte due sillabe, non pronunciando Mannicheo ma Manicheo, cosicché non significa altro se non " infondere follia " nei suoi discorsi tanto prolissi ed inutili.
Spessissimo giurate anche per il Paraclito, non certo quello che Cristo promise e mandò ai discepoli, ( Gv 14, 16.26; Gv 16,7; At 2,2-4 ) ma per quell'" infusore di follia ", come potrei tradurre in latino.
Dal momento che, dunque, non cessate di giurare, vorrei sapere come interpretate anche questa parte della legge ( che volete sia riconosciuta come antichissima ), che per voi il Signore ha portato a compimento e maggiormente a causa dei giuramenti degli apostoli.
Infatti che razza di autorità è la vostra, anche solo per voi stessi, tanto più per me o per qualunque persona?
È perciò evidente, ormai, quanto diversamente si debbano intendere le parole di Cristo: Non sono venuto ad abolire la legge, ma a portarla a compimento: vale a dire senza queste aggiunte che riguardano o la spiegazione degli antichi precetti citati o la loro trasformazione, non il loro compimento.
Poiché, infatti, non intendevano l'omicidio se non come distruzione del corpo, attraverso cui un uomo viene privato della vita, il Signore spiegò che ogni iniquo comportamento teso a nuocere al fratello è valutato come omicidio.
Di conseguenza Giovanni dice: Chiunque odia il proprio fratello è omicida. ( 1 Gv 3,15 )
E poiché credevano che soltanto l'unione illecita con una donna nel corpo si chiamasse adulterio, il Maestro dimostrò che anche il desiderare questo non è altro che adulterio.
Parimenti, poiché spergiurare è un grave peccato, mentre non giurare o giurare il vero non lo sono ( ma è molto più lontano dal giurare il falso chi non ha l'abitudine di giurare rispetto a chi è incline a giurare il vero ), il Signore preferì che non ci allontanassimo dal vero non giurando, piuttosto che rischiare di spergiurare giurando il vero.
Così anche l'Apostolo, nei discorsi che tenne, non giurò mai, per paura che, per l'abitudine di giurare, talvolta anche inconsapevolmente scivolasse nello spergiuro.
Nei suoi scritti, però, dove c'è una considerazione più ampia e più favorevole, si trovano in più luoghi dei giuramenti, perché nessuno credesse che il peccato fosse nel giurare il vero, ma piuttosto capisse che i fragili cuori umani, non giurando, si mantengono più al sicuro dallo spergiuro.
Esaminato questo, scopriamo che non sono state abolite quelle cose - come crede Fausto - che egli vuole riguardino propriamente Mosè.
A questo punto chiedo a loro perché vogliano che riguardi esclusivamente la legge di Mosè ciò che è stato detto agli antichi: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. ( Lv 19,18 )
Non parlò anche l'apostolo Paolo di alcuni uomini odiosi a Dio? ( Rm 1,30 )
E senz'altro in questa raccomandazione il Signore stesso ci spinge ad imitare Dio.
Perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
C'è da chiedersi, perciò, come intendere che si devono odiare i nemici secondo l'esempio di Dio dinanzi al quale alcuni sono odiosi, disse Paolo; e d'altra parte che si devono amare i nemici secondo l'esempio di Dio, che fa sorgere il suo sole sopra i buoni e i malvagi, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
Così apparirà che il Signore ha voluto mettere davanti a coloro che non hanno correttamente inteso ciò che fu detto: Odierai il tuo nemico, un'idea che non conoscevano affatto: amare i loro nemici.
Ma sarebbe troppo lungo esaminare come debbano essere rispettate entrambe.
Intanto, per costoro ai quali in generale non piace che si odi il proprio nemico, abbiamo un discorso che pesa sulla loro fronte quando chiediamo se il loro dio ami la stirpe delle tenebre: o, se si devono amare i nemici ora perché hanno una parte di bene, perché non dobbiamo anche odiarli per il fatto che hanno una parte di male.
Con quella regola si risolve anche questo e si spiega che non c'è opposizione tra ciò che è detto nell'antica Scrittura: Odierai il tuo nemico, e nel Vangelo: Amate i vostri nemici: ( Mt 5,43-45 ) perché ciascun uomo iniquo, in quanto iniquo, deve essere odiato; però, in quanto uomo, deve essere amato; affinché condanniamo ciò che in lui giustamente odiamo, cioè il vizio, e, una volta corretto, possa essere liberato ciò che in lui giustamente amiamo, cioè la natura umana stessa.
Questa, dico, è la norma per la quale odiamo il nemico per ciò che in lui è malvagio, cioè l'iniquità, e amiamo il nemico per ciò che in lui è buono, cioè la creatura socievole e razionale.
Con la riserva che noi proviamo che egli è malvagio non per colpa della natura sua o di altri, ma per la propria volontà.
Quelli, invece, ritengono l'uomo malvagio per colpa della natura della stirpe delle tenebre che, secondo loro, dio tutto intero temette, prima che fosse vinto in parte; e in parte fu vinto da essa, così da non essere interamente liberato.
Pertanto, ascoltato e non compreso ciò che era stato detto agli antichi ( Odierai il tuo nemico ), gli uomini erano portati ad odiare l'uomo, mentre dovevano odiare solo il vizio: questi Dio corregge, dicendo Amate i vostri nemici, cosicché colui che già aveva detto Non sono venuto ad abolire la legge ma a portarla a compimento non abolì, riguardo all'odio verso il nemico, ciò che è stato scritto nella legge; ma dando particolarmente il precetto di amare i nemici ci spinge a comprendere come possiamo, nel caso di un'unica e medesima persona, sia odiarla per la sua colpa che amarla per la sua natura.
Ma è troppo, per le menti perverse di costoro, intendere questo.
Devono essere messi alle strette tanto da difendere secondo la logica perversa della loro calunnia, o meglio secondo la loro follia, il loro dio, del quale non possono dire che ami la stirpe delle tenebre; perciò, davanti al suo esempio, non hanno il modo con cui esortare ciascuno ad amare il proprio nemico.
Sono riusciti ad attribuire, infatti, più amore verso il nemico alla stessa stirpe delle tenebre che al loro dio.
Quella, come vanno delirando, bramò per sé la luce vicina e contigua e volle goderne e pensò di invaderla per goderne.
E non è una colpa quella per cui si vuole il bene vero e che rende felici.
Per cui anche il Signore dice: Il regno dei cieli soffre violenze e i violenti se ne impadroniscono. ( Mt 11,12 )
Questa stirpe delle tenebre, conforme alla sua vanità, volle far violenza e rubare il bene che aveva amato, attratta dalla sua luminosità e dal suo aspetto; dio non l'amò a sua volta, ma odiandola perché voleva godere di lui, si accinse ad estirparla completamente.
Se, dunque, i malvagi amano il bene per goderne, i buoni, al contrario, odiano il male per non esserne contaminati, rispondete, Manichei: chi di loro obbedisce a ciò che Dio dice: Amate i vostri nemici?
Ecco, se volete che ciascuno di questi precetti sia opposto dell'altro, il vostro dio fece ciò che è scritto nella legge di Mosè ( Odierai il tuo nemico ) e la stirpe delle tenebre ciò che è scritto nel Vangelo ( Amate i vostri nemici ).
Del resto neppure inventandolo siete riusciti a trovare il modo con cui dirimere la questione tra le mosche che cercano la luce e le blatte che la fuggono: sostenete che entrambe sono figlie della stirpe delle tenebre.
Come mai le une amano la luce, a loro estranea, mentre le altre, respingendola, si compiacciono piuttosto della loro origine?
Forse che nascono più pulite le mosche nelle fetide cloache che le blatte in oscure stanzette?
Inoltre, ciò che fu detto agli antichi: Occhio per occhio, dente per dente, in che modo si contrappone a ciò che dice il Signore: Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra, ( Es 21,24; Mt 5,39 ) ecc.?
Dal momento che anche il precetto antico ha lo scopo di spegnere le fiamme dell'odio e di frenare gli animi intemperanti dei crudeli?
Chi, infatti, si accontenta facilmente di restituire una vendetta di eguale misura dell'offesa ricevuta?
Non vediamo, forse, uomini leggermente feriti preparare una strage, essere assetati di sangue, e a malapena trovare nelle sofferenze del nemico di cui saziarsi?
Chi, colpito da un pugno, non scatena un'azione giudiziaria per la condanna di colui che l'ha percosso; o, se volesse percuoterlo a sua volta, non lo pesta completamente con pugni e calci, se non anche dopo aver afferrato un'arma?
La legge, stabilendo una giusta misura a questa eccessiva ( e perciò ingiusta ) vendetta, istituì la pena del taglione, cioè che ciascuno subisca una pena tale e quale l'offesa inflitta.
Pertanto, Occhio per occhio, dente per dente non è esca ma limite della furia, messo non per accendere ciò che era sopito, né per far propagare ciò che ardeva.
Perché c'è una forma di giusta vendetta: giustamente si è debitori verso colui che abbia subìto l'offesa; di conseguenza quando perdoniamo, in qualche modo siamo generosi del nostro diritto.
Perciò sono detti debiti quelli che nella preghiera del Signore siamo esortati a rimettere come uomini, perché a noi anche i nostri siano rimessi da Dio. ( Mt 6,12 )
Però non è ingiusto chiedere risarcimento di ciò che è dovuto, sebbene sia rimesso generosamente; ma come nel giurare anche chi giura il vero è vicino allo spergiuro, da cui è lontano chi non giura affatto; e sebbene non pecchi chi giura il vero, tuttavia è più lontano dal peccato chi non giura - cosicché la raccomandazione di non giurare è una protezione dal peccato di spergiuro -; così, mentre pecca chi con eccesso ingiustamente vuole vendicarsi e non pecca, invece, chi vuole vendicarsi avvalendosi giustamente di un limite, è più lontano dal peccato di una vendetta ingiusta chi non vuole affatto vendicarsi.
Pecca, infatti, chi esige più del dovuto; non pecca, invece, chi esige il dovuto, ma è di gran lunga più sicuro dal peccato di essere un ingiusto esattore chi non esige affatto il dovuto, specialmente per non essere costretto a rendere il dovuto a Colui che non ha nessun debito.
Avrei potuto, dunque, anch'io rendere questo passo così: " È stato detto agli antichi: Non ti vendicherai in modo ingiusto; io però dico: non vendicatevi affatto: c'è il compimento ".
Come dice Fausto, riguardo al giurare: " È stato detto: Non giurare il falso, ma io dico: Non giurate affatto: c'è ugualmente il compimento ".
Avrei, dunque, potuto anch'io usare la stessa espressione se mi fosse sembrato che con l'aggiunta di queste parole Cristo compensasse ciò che mancava alla legge, e non, piuttosto, che ciò che la legge voleva ottenere ( che nessuno peccasse vendicandosi ingiustamente ) si conservasse più sicuramente se nessuno si vendicasse affatto; così come ciò che la legge voleva ottenere ( che nessuno peccasse giurando il falso ) si conservasse più sicuramente se nessuno giurasse.
Infatti, se: Occhio per occhio è il contrario di: Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra, perché: Adempi con il Signore i tuoi giuramenti non sarebbe il contrario di: Non giurare affatto? ( Es 20,7; Mt 5,33-37 )
Fausto, però, non ritiene che questo precetto rappresenti l'abolizione, bensì il compimento: cosa che anche in questo caso avrebbe dovuto ritenere.
Infatti se " Giura il vero " è portato a compimento da " Non giurare ", perché " Vendicati in maniera giusta " non è anche portato a compimento da " Non vendicarti "?
Così ritengo che in entrambi ci sia una conservazione dal peccato sia di falso giuramento che di una ingiusta vendetta; quantunque, riguardo alla vendetta da condonarsi del tutto, ciò valga perché rimettendo siffatti debiti, meritiamo che siano rimessi anche a noi.
Ma al popolo ostinato dovette anticamente essere posta una misura perché imparasse a non superare i limiti del dovuto; affinché, domata completamente l'ira, che trascina verso una vendetta eccessiva, chi volesse ormai, tranquillo prestasse attenzione a cosa egli stesso dovesse restituire - che desiderava gli fosse rimesso dal Signore -; così, con questa considerazione, rimettesse il debito al suo compagno di servitù.
Ed anche il precetto di Dio di non ripudiare la moglie, se lo analizziamo accuratamente, vedremo che non è contrario a quanto è stato detto agli antichi: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio. ( Dt 24,1; Mt 5,31-32 )
Il Signore, infatti, spiegò cosa volesse dire la legge che aveva imposto senza distinzione a chi ripudia la moglie di darle l'atto di ripudio.
Infatti la legge non dice: " Chi vuole, ripudi sua moglie "; a cui sarebbe contrario il non ripudiarla; ma senza dubbio non voleva che una moglie venisse ripudiata dal marito e vi frappose questo indugio cosicché l'animo precipitoso nel separarsi desistesse, trattenuto dalla redazione dell'atto di ripudio, e pensasse al male che c'è nel ripudiare una moglie.
Soprattutto dato che, come riferiscono, presso gli Ebrei non era lecito a nessuno scrivere l'ebraico, se non agli scribi soltanto, che rivendicavano il possesso di una sapienza superiore e, se qualcuno di loro era dotato di equità e pietà, non soltanto rivendicavano la sapienza, ma la seguivano.
A questi, perciò, che dovevano essere prudenti interpreti della legge e dissuadere con senso di giustizia dal ripudio, la legge volle affidare colui al quale ordinò di dare l'atto di ripudio se avesse ripudiato la moglie.
Infatti egli non poteva scrivere l'atto di ripudio, ma solo quelli che, con questa occasione che capitava necessariamente, in un certo senso, nelle loro mani, potevano guidare con retto consiglio, ed operando pacificamente tra lui e la moglie potevano persuadere alla concordia ed all'amore.
Se fosse sopraggiunto tanto odio da non potersi né estinguere né contenere, allora naturalmente si sarebbe scritto l'atto di ripudio; poiché il marito non avrebbe ripudiato senza motivo una moglie odiata a tal punto che nessuna persuasione da parte di uomini saggi l'avrebbe ricondotto all'amore dovuto ad un coniuge.
Se infatti una moglie non è amata, la si deve ripudiare.
Poiché, dunque, non la si deve ripudiare, la si deve amare.
L'amore, però, può essere costruito con il consiglio e la persuasione, non può essere imposto costringendo uno contro la propria volontà.
Questo doveva fare uno scriba giusto e saggio, come richiedeva la sua professione: quando un marito in contrasto con la moglie veniva da lui, gli ordinava di redigere l'atto di ripudio; ma lo scriba buono e prudente non l'avrebbe scritto se non fosse servito il consiglio alla riconciliazione in un animo troppo ostile e deviato.
Ma tuttavia chiedo a voi: secondo la vostra sacrilega vanità, perché dovrebbe dispiacervi il ripudio di una moglie, che credete si debba avere non per la fedeltà del matrimonio ma per una criminale concupiscenza?
È chiamato matrimonio per questo motivo: perché una donna non dovrebbe sposarsi se non per divenire madre. Cosa per voi odiosa.
In quel modo, infatti, ritenete che una parte del dio vostro, vinta in battaglia e sottomessa dalla stirpe delle tenebre, sia immobilizzata anche dalle catene della carne.
Ma dico quanto segue per spiegare meglio ciò che si tratta ora: se Cristo, quando aggiunse ad alcune antiche affermazioni richiamate all'attenzione.
Ma io vi dico, né portò a compimento la legge dei primi uomini, con l'aggiunta di queste parole, né distrusse quella che fu data per mezzo di Mosè, come per opposizione di contrari; ma piuttosto valorizzò a tal punto tutte le citazioni della legge degli Ebrei che qualsiasi cosa disse in aggiunta ebbe il valore o di una spiegazione necessaria, nel caso in cui essa avesse affermato qualcosa in maniera oscura, o di una conservazione più sicura di ciò che essa volesse dire.
Vedi, allora, come si deve interpretare altrimenti ciò che disse, di non essere venuto ad abolire la legge ma a portarla a compimento!
Appunto non perché essa, in quanto incompiuta per metà, fosse integrata con quelle parole, ma perché ciò che non poteva compiere con l'ordine della lettera, a causa della presunzione dei superbi, con la persuasione della grazia fosse compiuto per la testimonianza degli umili, grazie alle azioni, non all'aggiunta di parole.
La fede, infatti, dice l'Apostolo, opera per mezzo della carità. ( Gal 5,6 )
E poi dice: perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. ( Rm 13,8 )
Cristo, con la sua venuta, donò codesta carità rivelandola per mezzo dello Spirito Santo che mandò secondo la sua promessa e con quella sola carità si sarebbe potuta portare a compimento la giustizia della legge.
Perciò disse: Non sono venuto ad abolire la legge, ma a portarla a compimento.
Questo è il Nuovo Testamento, nel quale l'eredità del regno dei cieli è promessa a questo amore, ciò che era celato nelle figure del Vecchio Testamento, secondo la scansione del tempo.
Di conseguenza ancora egli dice: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. ( Gv 13,34 )
Perciò tutti o quasi tutti gli avvertimenti ed i precetti che aggiunse con le parole: Ma io vi dico, si trovano anche in quei Libri antichi.
Lì contro l'ira è stato detto: I miei occhi si consumano nel dolore; ( Sal 6,8 ) e Chi domina se stesso vale più di chi conquista una città. ( Pr 16,32 )
Contro le dure parole: Un colpo di frusta produce lividure, ma un colpo di lingua rompe le ossa. ( Sir 28,21 )
Contro l'adulterio del cuore: Non desiderare la moglie del tuo prossimo. ( Es 20,17 )
Non dice, infatti, " Non commettere adulterio ", ma: Non desiderare.
L'Apostolo cita questo precetto della legge, quando dice: Non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare. ( Rm 7,7 )
Lì, riguardo alla pazienza nel non opporre resistenza, viene lodato l'uomo che offre a chi lo percuote la sua guancia e si sazia di umiliazioni. ( Lam 3,30 )
Sull'amore verso il nemico si dice: Se il tuo nemico ha fame, dàgli pane da mangiare, se ha sete, dàgli acqua da bere. ( Pr 25,21 )
Da qui la citazione dell'Apostolo. ( Rm 12,20 )
E nel Salmo: Troppo io ho dimorato con chi detesta la pace, ( Sal 120,7 ) e molte altre cose.
Quanto, poi, all'imitare Dio nell'astenerci dalla vendetta e nell'amare anche i malvagi, hai lì un ampio passo su Dio stesso che agisce così.
Infatti vi è scritto: Prevalere con la forza ti è sempre possibile; chi potrà opporsi al potere del tuo braccio?
Tutto il mondo davanti a te, come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.
Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento.
Perché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi, se tu non l'avessi chiamata all'esistenza?
Tu risparmi tutte le cose, perché tutte sono tue, Signore, amante della vita, perché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose.
Per questo tu castighi poco alla volta i colpevoli e li ammonisci ricordando loro i propri peccati, perché, rinnegata la malvagità, credano in te, Signore. ( Sap 11,22; Sap 12,2 )
Cristo ci esorta ad imitare questa benigna pazienza di Dio, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti; così da trascurare di vendicare le nostre offese e fare del bene a coloro che ci odiano, per essere perfetti come il Padre nostro celeste è perfetto. ( Mt 5,44-48 )
È scritto poi in quei Libri antichi che vale per noi e per la remissione dei debiti dei nostri peccati il fatto che rimettiamo codesti debiti di vendette, e che si deve badare che se non lo facessimo non sarebbe rimesso il debito del peccato quando noi imploriamo: Chi si vendica avrà la vendetta del Signore ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati.
Perdona l'offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.
Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo, come oserà chiedere la guarigione al Signore?
Egli non ha misericordia per l'uomo suo simile, ed osa pregare per i suoi peccati?
Egli, che è soltanto carne, conserva rancore e cerca di propiziarsi di nuovo il Signore? e chi perdonerà i suoi peccati? ( Sir 28,1-5 )
Inoltre, per quanto riguarda il non ripudiare una moglie, cos'altro o più opportuno potrei citare da quei Libri se non ciò che proprio il Signore rispose ai Giudei che lo interrogavano su questo argomento?
Chiedendogli, infatti, se fosse lecito ripudiare una moglie per qualunque motivo disse loro: Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?
Così che non sono più due, ma una carne sola.
Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi.
Ecco che a partire dai libri di Mosè ai Giudei si dimostra che non si deve ripudiare la moglie, mentre loro credevano, ripudiandola, di farlo secondo la volontà della legge di Mosè.
Nello stesso tempo apprendiamo in questo punto, per attestazione di Cristo stesso, anche che Dio ha creato ed ha unito maschio e femmina; cosa che i Manichei, negando, condannano, opponendosi non più al libro di Mosè ma al Vangelo di Cristo.
D'altra parte, però, se ciò che essi suppongono e predicano è vero, cioè che il diavolo abbia creato ed unito maschio e femmina, con quale diabolica astuzia Fausto critica Mosè perché scioglie i matrimoni mediante l'atto di ripudio e loda Cristo perché rafforza quel vincolo con il precetto del Vangelo, mentre senza dubbio, secondo la sua stolta e sacrilega dottrina, avrebbe dovuto lodare Mosè perché separa quello che aveva creato ed unito il diavolo ed avrebbe dovuto biasimare Cristo perché consolida una creazione ed un legame del diavolo?
Inoltre, in che modo il Maestro buono spiega perché Mosè stesso, dal cui libro fu presentata una castità coniugale tanto santa ed inviolabile riguardo alla prima unione del maschio e della femmina, poi abbia permesso di ripudiare la moglie?
Infatti quando i Giudei risposero: Perché allora Mosè ha ordinato di darle l'atto di ripudio e di mandarla via? rispose loro Gesù: Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli. ( Mt 19,4-8 )
Questo è ciò che abbiamo spiegato poco prima. ( Dt 24,1-4 )
Quanta durezza c'era, infatti, tale che non si potesse sciogliere e piegare neppure con l'intervento dell'atto di ripudio, dove si attribuiva la possibilità di dissuadere a uomini giusti e saggi, al fine di recuperare o rinnovare la carità del matrimonio?
Così il Signore mostrò, con la testimonianza della medesima legge, che cosa la legge prescrivesse ai buoni e permettesse ai duri: sulla base della sacra Scrittura, menzionata l'unione del maschio e della femmina, ordinò di non ripudiare la moglie, ed evidenziò la divina legittimità dell'unione medesima, e mostrò che si deve dare l'atto di ripudio a causa della durezza di un cuore indomito o da domare.
Perciò, dal momento che tutti quegli eccellenti precetti del Signore, che Fausto voleva mostrare contrari agli antichi Libri degli Ebrei, si trovano anche in quei Libri medesimi, per quale motivo il Signore venne non ad abolire la legge ma a portarla a compimento, se non per il fatto che, a parte le figure delle promesse ( che sono state portate a compimento e superate una volta apparsa la verità ), anche gli stessi precetti per cui la legge è santa e giusta e buona ( Rm 7,12 ) sono portati a compimento in noi non dall'antico precetto letterale, che accresce le colpe dei superbi con il reato della trasgressione, ma dal nuovo intervento dello Spirito e la testimonianza degli umili, in vista della salvezza che rende liberi?
Perché, in realtà, come tutti questi sublimi precetti non mancano in quei Libri antichi, così il fine al quale si rivolgono è occulto, sebbene i santi vivessero secondo esso, loro che vedevano la sua rivelazione futura e secondo l'opportunità dei tempi lo velavano profeticamente o interpretavano sapientemente ciò che era velato nella profezia.
Tutt'al più ( non lo direi a caso ) non so se qualcuno trovi in quei Libri l'espressione " regno dei cieli ", che tanto spesso usa il Signore.
Vi si dice senza dubbio: Onorate la sapienza, perché possiate regnare sempre. ( Sap 6,22 )
E se proprio la vita eterna non fosse stata preannunciata chiaramente lì, il Signore non avrebbe detto, infatti, ai cattivi Giudei: Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza. ( Gv 5,39 )
A cosa si riferisce se non a questo, ciò che lì è scritto: Non morirò, resterò in vita e annunzierò le opere del Signore; ( Sal 118,17 ) e: Conserva la luce ai miei occhi, perché non mi sorprenda il sonno della morte; ( Sal 13,4 ) e: Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio; nessun tormento le toccherà; e poco dopo: Ma essi sono nella pace.
Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità. ( Sap 3,1-5 )
Per una breve pena, riceveranno grandi benefici; e in un altro luogo: I giusti, al contrario, vivono per sempre, la loro ricompensa è presso il Signore e l'Altissimo ha cura di loro.
Per questo riceveranno una magnifica corona regale, un bel diadema dalla mano del Signore? ( Sap 5,16-18 )
Queste e molte altre testimonianze della vita eterna, molto esplicite o un po' oscure, si trovano in quegli scritti.
E sulla stessa resurrezione dei corpi non tacquero i profeti.
Onde i farisei combattevano assai aspramente contro i sadducei, che non vi credevano.
Questo non appare con evidenza soltanto nei canonici Atti degli Apostoli, che costoro non accettano per non essere smentiti circa l'avvento del vero Paraclito promesso dal Signore ( At 23,6-9 ), ma anche nel Vangelo, in cui i sadducei gli propongono la questione della donna che aveva sposato uno per volta sette fratelli: poiché nel suo matrimonio l'uno subentrava all'altro che moriva, gli chiedono di quale di essi sarebbe stata moglie nella resurrezione. ( Mt 22,23-28 )
Pertanto quella Scrittura abbonda di testimonianze della vita eterna e della resurrezione dei morti; ma questa espressione, cioè " regno dei cieli ", non mi viene da nessun luogo di essa.
Questa, infatti, riguarda propriamente la rivelazione del Nuovo Testamento, poiché i corpi che erano stati terreni, per quel mutamento che Paolo menziona chiaramente, con la resurrezione diventeranno spirituali e perciò celesti, ( 1 Cor 15,42-44 ) nei quali possiamo possedere il regno dei cieli.
E l'uso di quell'espressione era riservato a colui che sarebbe venuto come Re per governare e come Sacerdote per santificare i suoi fedeli; di questo era gravido tutto quell'apparato del Vecchio Testamento, nelle genealogie, nelle azioni, nelle parole, nei sacrifici, nelle osservanze, nelle feste, e in tutte le parole di annuncio, negli eventi e nelle figure.
Egli, pieno di grazia e di verità ( Gv 1,14 ) - aiutandoci ad obbedire ai precetti con la grazia, e avendo cura di compiere le promesse con la verità - venne non ad abolire la legge, ma a portarla a compimento.
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