Lettere |
Scritta verso la metà del 417.
Agostino, sebbene alquanto tardi, risponde a due quesiti di Dardano, prefetto delle Gallie ( n. 1-2 ) e cioè:
1) In qual modo attualmente è in cielo Cristo, che sulla croce assicurò al ladrone che quel giorno sarebbe stato con lui in paradiso ( n. 3-5 ); si propongono due soluzioni
a) forse per il fatto che Cristo è presente dovunque, oppure:
b) perché il paradiso è sito nel cielo ( n. 6-7 ).
Esposta la distinzione delle due nature in Cristo ( n. 8-10 ), Agostino parla dell'immensità e dell'ubiquità di Dio ( n. 11-19 ) e del tempio di Dio inabitante nell'anima nostra ( n. 20-21; n. 35 e 41 );
2) sui bambini in genere, se cioè abbiano l'uso di ragione, se conoscano Dio fin dal seno materno, dal momento che Giovanni sobbalzò di gioia nel ventre della madre alla presenza della Madre di Dio ( n. 22-27 ); si tratta infine della santificazione della Chiesa e dei fedeli, e dell'inabitazione dello Spirito Santo negli stessi fedeli ( n. 28-41 ).
Agostino a Dardano
Riconosco, carissimo fratello Dardano, per me più illustre a causa della carità di Cristo che non dell'alta dignità che hai in questo mondo, riconosco di rispondere alla tua lettera con più ritardo di quanto non avrei dovuto.
Non chiedermi - ti prego - le cause di ciò, per non dovermi sopportare, mentre indugio a giustificarmi, più a malincuore di quanto non mi hai sopportato per il ritardo nel risponderti.
Preferisco quindi che tu, anziché stare ad esaminare la fondatezza della mia difesa, perdoni senz'altro la mia offesa.
Quali che ne siano stati i motivi, sta certo che da parte mia non c'è potuta essere la minima mancanza di stima nei tuoi riguardi.
Al contrario, anzi, se ti avessi tenuto in poco o nessun conto, sarei stato assai sbrigativo nel risponderti.
Ma nemmeno adesso, perché mi sono finalmente deciso a risponderti, sono riuscito per questo a comporre una buona volta almeno qualcosa degno d'esser letto da te e ch'io possa a buon diritto dedicarti; ma ho preferito inviarti subito una risposta quale che sia anziché lasciar passare ancora quest'estate senza soddisfare il mio debito.
Non è valsa nemmeno la tua alta carica a incutermi soggezione e a ritardare la mia risposta, dal momento che è capace d'ispirare più simpatia la tua affabilità che non soggezione la tua dignità.
Tuttavia, quanto più grande è il bene che ti voglio, tanto più mi è difficile trovare il modo di soddisfare l'ardente tuo desiderio della verità religiosa.
Ma a ciò si è aggiunto il fatto che, senza considerare il nostro ardente, reciproco affetto, che ci porta ad amare perfino persone mai viste quando crediamo che abbiano doti che ci piacciono - cosa questa riguardo alla quale tu mi hai prevenuto e l'hai fatto in modo ch'io temo di deludere l'opinione che tu hai di me e la tua aspettativa - senza contare ciò, nella tua lettera mi hai posto quesiti talmente difficili che, se anche fossero stati posti da un altro qualunque, mi procurerebbero un serio imbarazzo anche nel caso che avessi del tempo libero, mentre non ne ho affatto.
Ora, invece, dato che i quesiti mi vengono posti da una persona penetrante ed acuta come te, a cui non è sufficiente una soluzione superficiale, dato inoltre che li poni a me che sono occupatissimo, assediato e soffocato da un mucchio d'altre faccende, lascio immaginare alla tua bontà e saggezza di quanta indulgenza io ho bisogno da parte tua non solo per aver tardato a risponderti, ma anche per il caso che la risposta che ti do adesso non corrisponderà all'elevatezza del tuo desiderio.
Mi chiedi dunque come ci possiamo raffigurare Gesù Cristo, uomo e Mediatore tra Dio e gli uomini, ( 1 Tm 2,5 ) attualmente in cielo, dal momento che, mentre era appeso alla croce sul punto di morire, disse al buon ladrone: Oggi sarai con me in paradiso. ( Lc 23,43 )
Basandoti forse su questa espressione tu affermi che il paradiso deve intendersi per così dire immaginato in qualche parte del cielo oppure che, dal momento che Dio è in ogni luogo, anche l'Uomo-Dio è ugualmente dappertutto, volendo cioè far intendere che poté essere anche in paradiso Colui che è dappertutto.
A proposito di ciò ti domando o meglio comprendo come tu concepisci l'umanità di Cristo: non certo come alcuni eretici i quali credono ch'egli sia il Verbo di Dio e un corpo, cioè privo dell'anima umana, in modo che il Verbo fungerebbe da anima per quel corpo, oppure lo concepiscono come il Verbo di Dio e un'anima ed un corpo, ma privo dell'intelligenza umana in modo che il Verbo di Dio sarebbe al posto dell'intelligenza umana di quell'anima.
Non certo così intendi tu l'umanità di Cristo, ma lo intendi come affermi poco prima del passo citato dicendo che tu credi che Cristo è Dio onnipotente in base alla norma della fede per cui non lo crederesti Dio, se non fossi convinto che è anche perfetto uomo.
Col termine " perfetto uomo " tu vuoi intendere di certo ch'egli possiede la natura umana completa.
Uno insomma non sarebbe perfetto uomo se al corpo mancasse l'anima o all'anima l'intelligenza umana.
Se dunque pensiamo che le parole: Oggi sarai con me in paradiso sono state pronunciate in riferimento all'umanità assunta dal Verbo di Dio, da esse non si può concludere che il paradiso sia nel cielo, poiché quel giorno non si sarebbe trovato in cielo con la sua umanità ma negli inferi con l'anima, col corpo invece nel sepolcro.
E per vero, che il suo corpo quel giorno fosse stato posto nel sepolcro lo attesta con estrema evidenza il Vangelo, che invece la sua anima scendesse agli inferi lo proclama la dottrina degli Apostoli, ( Mt 27,60; Mc 15,46; Lc 23,53; Gv 19,41-42 ) dal momento che S. Pietro a proposito di questo fatto cita la testimonianza dei Salmi, in cui mostra ch'era stato predetto quanto segue: Non abbandonerai la mia anima negl'inferi né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. ( Sal 16,10; At 2,27 )
Di queste due affermazioni la prima riguarda l'anima che non fu abbandonata negli inferi, d'onde uscì ben presto, la seconda riguarda il corpo che nel sepolcro non poté corrompersi essendo risorto dopo brevissimo tempo.
D'altra parte nessuno concepisce il paradiso collocato in un sepolcro.
Ma se qualcuno fosse tanto dissennato da provarsi a difendere una simile opinione per il fatto che il sepolcro era in un giardino, verrebbe distolto dalla sua opinione almeno dal fatto che l'individuo cui fu detto: Oggi sarai con me in paradiso ( Gv 19,41 ) non fu quel giorno nello stesso sepolcro con Cristo, né alla sua fede sarebbe stata offerta come un gran dono la sepoltura del corpo che, una volta morto, sarebbe stato incapace di provare alcuna sensazione di gioia o di dolore, mentre egli pensava a un riposo accompagnato dalla sensibilità.
Se quindi la frase: Oggi sarai con me in paradiso, fu pronunciata in riferimento all'umanità, non resta se non intendere che il paradiso fosse negl'inferi ove Cristo sarebbe stato quel giorno con la sua anima.
Quanto invece al " grembo di Abramo " nel quale il ricco malvagio fra i tormenti dell'inferno vide il povero Lazzaro godere l'eterno riposo, ( Lc 16,23 ) non saprei dire facilmente se debba denotarsi col termine " paradiso " oppure si debba pensare che faccia parte degl'inferi. In realtà a proposito di quel ricco leggiamo nella Sacra Scrittura: Morì anche il ricco e fu sepolto negl'inferi, ( Lc 16,22 ) e ancora: ed essendo all'inferno nei tormenti, ( Lc 16,23 ) mentre nessun cenno degl'inferi è fatto a proposito della morte e del felice riposo del povero, ma il Vangelo si limita a dire: Accadde che morì anche il povero e fu portato dagli Angeli nel grembo di Abramo. ( Lc 16,22 )
Abramo di poi, al ricco che bruciava tra le fiamme disse: Tra noi e voi è stata posta per sempre una gran voragine, ( Lc 16,26 ) come a dire: " tra gl'inferi e la sede dei beati ".
Ben difficilmente nella Sacra Scrittura si riscontra il termine " inferi " usato in senso buono.
Ecco perché si pone spesso il quesito: se a ragione il termine " inferi " è preso esclusivamente nel senso di luogo di pena, come mai si può credere con sentimenti religiosi che l'anima di Cristo Signore è stata negli inferi?
Ma a ragione si risponde che vi è discesa per liberare coloro che dovevano essere liberati.
Ecco perché S. Pietro afferma che Dio sciolse le sofferenze dell'inferno perché era impossibile che egli ( il Cristo ) restasse in potere di esso. ( At 2,24 )
Se, inoltre, bisognasse credere che nell'inferno ci sono tutti e due i luoghi, quello del dolore e quello del riposo, ossia quello ove il ricco pativa i tormenti e quello ove il povero assaporava i godimenti, chi oserebbe affermare che Gesù nostro Signore è andato solo nei luoghi dell'inferno destinati alle pene e non da coloro che godono il riposo nel grembo d'Abramo?
Se Cristo è stato in quel luogo, si deve intendere che è il paradiso che quel giorno si degnò di promettere all'anima del buon ladrone.
Se le cose stanno così, " paradiso " è un termine generico indicante lo stato in cui si vive felici.
Ora, per il fatto che " paradiso " è il nome dato al luogo abitato da Adamo prima del peccato, non per questo la Sacra Scrittura s'è astenuta dal chiamare anche la Chiesa " paradiso " fecondo di frutti. ( Gen 2,8 )
Ma il senso delle parole: Oggi sarai con me in paradiso è molto più facile e scevro di tutte queste ambiguità, se s'intendono pronunciate da Cristo non riferendole alla propria natura umana, ma alla propria natura divina.
In quel giorno infatti Cristo sarebbe stato col suo corpo nel sepolcro e con l'anima negl'inferi, mentre lo stesso Cristo in quanto Dio è ogni istante presente dappertutto, poiché è la luce che splende anche nelle tenebre sebbene le tenebre non lo accolgano. ( Gv 1,5 )
Egli è la potenza e la sapienza di Dio, della quale sta scritto che stende la sua potenza da un'estremità all'altra del mondo e governa l'universo con benevolenza, ( Sap 8,1 ) e che penetra ovunque per la sua purezza e nulla d'impuro si trova in essa. ( Sap 7,24-25 )
Pertanto, dovunque possa essere il paradiso, tutti i beati che vi sono, sono lì con lui che è dappertutto.
Cristo infatti essendo Dio ed uomo, è certamente Dio per cui afferma: Io e il Padre siamo una cosa sola, ( Gv 10,30 ) ma è anche uomo per cui afferma: Il Padre è più grande di me. ( Gv 14,28 )
Egli è nello stesso tempo il Figlio di Dio, l'unigenito del Padre, ( Gv 1,14 ) e figlio dell'uomo, discendente di David secondo la natura umana. ( Rm 1,3 )
Per questo motivo quando egli parla o la Scrittura parla di lui, occorre tener presenti tutte e due le nature e considerare secondo quale di esse si afferma qualcosa.
Come infatti un unico uomo è un'anima razionale e una carne, così pure l'unica persona di Cristo è Verbo e uomo.
Per conseguenza in quanto Verbo, il Cristo è creatore, poiché tutto è stato creato per mezzo di lui. ( Gv 1,3 )
In quanto invece è uomo, il Cristo è stato creato, perché è stato fatto dalla stirpe di David secondo la carne, ( Rm 1,3 ) e fatto a somiglianza di uomo. ( Fil 2,7 )
Per lo stesso motivo, poiché nell'uomo sono due elementi: l'anima e il corpo, con l'anima Cristo si rattristò fino alla morte, ( Mt 26,38; Mc 14,34 ) col corpo invece patì la morte. ( At 3,18 )
Ciò nondimeno quando chiamiamo Cristo Figlio di Dio noi non separiamo l'uomo né, quando lo chiamiamo figlio dell'uomo, separiamo Dio.
Infatti come uomo era sulla terra e non in cielo dov'è attualmente, allorché affermava: Nessuno è asceso al cielo tranne chi è disceso dal cielo, ( cioè ) il figlio dell'uomo che è nel cielo; ( Gv 3,13 ) sebbene fosse in cielo per la natura di Figlio di Dio, mentre per la natura di figlio dell'uomo era ancora sulla terra e non era ancora asceso al cielo.
Allo stesso modo, pur essendo il Signore della gloria in quanto Figlio di Dio, pur essendo stato crocifisso in quanto è figlio dell'uomo, tuttavia l'Apostolo afferma: Infatti se l'avessero conosciuto, non avrebbero mai crocifisso il Signore della gloria. ( 1 Cor 2,8 )
Per conseguenza il figlio dell'uomo in quanto Dio era in cielo ed il Figlio di Dio in quanto uomo veniva crocifisso sulla terra.
Allo stesso modo, dunque, che poté affermarsi con ragione che fu crocifisso il Signore della gloria, sebbene la passione toccasse la sola carne, così a ragione poté affermarsi: Oggi sarai con me in paradiso, sebbene a causa della umana umiltà il Cristo fosse sul punto d'essere col corpo nel sepolcro e con l'anima negli inferi, a causa invece della divina immortalità non si fosse mai allontanato dal paradiso, poiché è sempre dappertutto.
Non dubitare quindi che ora l'uomo Cristo Gesù è ( attualmente ) lì donde tornerà sulla terra; tieni a mente e attenti fedelmente alla professione di fede cristiana che cioè Cristo è risorto dai morti, è asceso al cielo, siede alla destra del Padre e non da altro luogo ma solo di lì tornerà a giudicare i vivi ed i morti. ( Mc 16,19; Lc 22,69; Col 3,1; Eb 1,3; Eb 10,12; Eb 12,2 )
Egli inoltre tornerà, secondo l'affermazione degli Angeli, allo stesso modo in cui fu visto salire al cielo, ( 2 Tm 4,1; At 1,10-11 ) cioè nel medesimo aspetto e nella medesima sostanza della carne, alla quale conferì bensì l'immortalità ma senza spogliarla della sua natura.
Non bisogna credere che Cristo sia presente dovunque a causa di questa natura.
Dobbiamo cioè guardarci dall'affermare la divinità dell'uomo in modo da negare la verità del corpo.
Non è però logico che ciò ch'è in Dio sia dovunque come lo è Dio.
Così, per esempio, la Sacra Scrittura, che è sommamente veridica, afferma che in lui noi viviamo, ci muoviamo e siamo, ( At 17,28 ) eppure non siamo dappertutto come lui; ma in modo diverso è in Dio l'uomo Cristo, poiché anch'egli come Dio è diversamente nell'uomo, cioè in un modo del tutto proprio e singolare, poiché l'Uomo-Dio è un'unica persona e tutte e due le nature formano un unico Cristo Gesù, il quale è dappertutto perché è Dio ed è in cielo perché è uomo.
Tuttavia, quando affermiamo che Dio è esteso dappertutto, dobbiamo respingere l'immaginazione dei sensi e distogliere la nostra mente dai sensi fisici, per evitare d'immaginare che Dio sia esteso dappertutto come una grande massa limitata dallo spazio, come è estesa la terra, l'acqua, l'aria o la luce percepita dai nostri sensi, poiché qualsiasi grandezza di tale genere, considerata in una sua parte, è minore dell'intero.
Dio invece dobbiamo immaginarlo esteso piuttosto come lo è una gran sapienza anche in una persona di piccola corporatura.
Così nel caso di due individui sapienti di cui uno sia più grande di corporatura, ma nessuno dei due più sapiente dell'altro, la sapienza non sarà maggiore nell'individuo più grande e minore nel più piccolo, oppure minore in uno solo che in tutt'e due, ma tanta nell'uno quanta nell'altro e tanta in ciascuno dei due quanta in ambedue.
Infatti nell'ipotesi che siano sapienti in misura del tutto identica, tutt'e due presi insieme non sono più sapienti di quanto lo siano presi singolarmente; allo stesso modo che, se sono ugualmente immortali tutti e due, non hanno una vita più lunga di quella che ha ciascuno di essi.
Infine la stessa immortalità del corpo, che s'è avverata prima nella carne di Cristo e che a noi è promessa per la fine del mondo, pur essendo una grande prerogativa, non consiste in una grandezza materiale e, pur essendo una dote corporea, è una specie d'eccellenza incorporea.
Mentre infatti lo stesso corpo immortale è minore in una parte che nell'intero, la sua immortalità è completa tanto in una parte del corpo quanto nell'intero, e le membra, benché siano alcune maggiori delle altre, non sono tuttavia le une più immortali delle altre.
Come adesso, quando noi godiamo una perfetta salute sotto ogni riguardo nella misura della buona salute presente nel corpo, per il fatto che l'intera mano è maggiore di un dito, non per questo diciamo che la salute dell'intera mano è maggiore di quella di un dito; ma essa è uguale nelle membra ineguali dal momento che le più piccole vengono paragonate alle più grandi in modo che se un membro non può essere grande quanto le altre membra, può tuttavia essere sano quanto le altre.
La buona salute sarebbe invece maggiore nelle membra maggiori, se le maggiori fossero più sane.
Ma poiché non è così, bensì le membra maggiori sono sane in pari grado di quelle minori, è diversa l'estensione in grandezza delle membra, ma uguale è la sanità nelle membra disuguali.
Poiché dunque il corpo è una sostanza, la sua quantità consiste nell'estensione della sua mole, mentre la sua buona salute non è una quantità, bensì una sua qualità.
Non può, dunque, la quantità del corpo avere l'estensione che invece può avere la qualità; infatti essendo tra loro distanti le parti del corpo, poiché non possono essere tutte nello stesso posto, dal momento che ciascuna occupa il proprio posto nello spazio, minore le minori e maggiore le maggiori, la quantità non può essere intera né ugualmente grande in ciascuna delle singole parti, ma è più estesa nelle parti più grandi e meno estesa nelle minori, e in nessuna parte altrettanto grande quanto è nel corpo intero.
Al contrario, la qualità del corpo chiamata salute, quando tutto il corpo è sano è tanta nelle parti maggiori quanta in quelle minori, poiché le parti meno grandi non per questo sono meno sane né quelle più grandi sono per questo più sane.
È dunque inammissibile che la sostanza del Creatore non abbia riguardo a se stessa la proprietà posseduta riguardo al corpo dalla qualità del corpo creato.
Dio è dunque presente dappertutto, poiché egli stesso dice per bocca del profeta Geremia: Io riempio il cielo e la terra, ( Ger 23,24 ) come afferma pure l'espressione da me citata poco prima riguardo alla sua sapienza: Arriva da un capo all'altro dell'universo con la sua forza e governa con dolcezza ogni cosa. ( Sap 8,1 )
Così pure sta scritto: Lo Spirito del Signore riempie l'universo. ( Sap 1,7 )
A lui inoltre in un Salmo viene detto: Dove potrei fuggire dal tuo spirito e dove nascondermi dal tuo cospetto?
Se anche salissi nei cieli, ivi tu sei; se scendessi nell'abisso, lì pure tu sei. ( Sal 139,7-8 )
Dio però è presente in tutte le cose in modo da essere non una qualità del mondo, ma la sostanza creatrice del mondo, che lo governa senza fatica e lo abbraccia senza sentir peso, senz'essere tuttavia, per così dire, estesa con la sua massa negli spazi fisici, sì da essere per metà nella metà del corpo del mondo e per l'altra metà nell'altra metà e così intero solo nel mondo intero; ma intero nel cielo e nella terra presi ciascuno a se, e nello stesso tempo nel cielo e nella terra senz'essere contenuto in nessun luogo, ma intero dappertutto in se stesso.
Così è dappertutto il Padre, così il Figlio, così lo Spirito Santo, così lo è la Trinità dell'unico Dio, poiché non si divisero tra loro il mondo in tre parti da riempirne una ciascuno, come se il Figlio o lo Spirito Santo non avessero un posto dove stare se lo avesse occupato tutto il Padre.
Non è questo il modo di essere della vera divinità, incorporea ed immutabile.
Le tre Persone infatti non sono dei corpi la cui grandezza sarebbe maggiore in tutt'e tre che in ciascuno di essi, né occupano degli spazi con la loro grandezza in modo da non poter essere insieme in luoghi tra loro distanti.
L'anima, per esempio, che si trova nel corpo, non solo non vi trova alcuna ristrettezza, ma al contrario perfino una specie di espansione dovuta non già ad ampiezza corporale ma ad allegrezza spirituale, quando si avvera l'espressione dell'Apostolo: Non sapete che il vostro corpo è in voi il tempio dello Spirito Santo che avete da Dio? ( 1 Cor 6,19 )
Solo un insensato potrebbe affermare che nel nostro corpo lo Spirito Santo non trova posto per il fatto che è occupato interamente dall'anima; quanto più insensato è chi afferma che la Trinità è impedita da qualche strettezza in qualche luogo, sicché il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non possono essere insieme dappertutto!
Ma ciò che desta molto maggiore meraviglia è il fatto che Dio, pur essendo intero in ogni luogo, tuttavia non abita in tutti gli uomini.
Non a tutti infatti può applicarsi l'affermazione dell'Apostolo già da me citata, oppure anche quest'altra: Non sapete che voi siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? ( 1 Cor 3,16 )
Ecco perché al contrario il medesimo Apostolo dice a proposito di alcuni: Chi non ha lo Spirito di Cristo, costui non appartiene a lui. ( Rm 8,9 )
Chi, inoltre, oserebbe pensare, tranne chi ignora del tutto l'inseparabilità della Trinità, che il Padre e il Figlio possano abitare in qualcuno in cui non abita lo Spirito Santo, oppure che lo Spirito Santo abiti in qualcuno in cui non abitano, il Padre e il Figlio?
Perciò si deve ammettere che Dio è dappertutto con la presenza della divinità, ma non dappertutto con la grazia con cui abita nelle anime.
A causa di tale inabitazione nelle anime, nella quale si riconosce senz'alcun dubbio la grazia del suo amore, noi non diciamo: " Padre nostro, che sei dappertutto ", pur essendo ciò vero, bensì: Padre nostro che sei nei cieli, ( Mt 6,9 ) affinché nella preghiera ricordiamo piuttosto il suo tempio, come lo dobbiamo essere anche noi poiché, nella misura in cui lo siamo, apparteniamo alla comunione con lui e alla famiglia dei suoi figli adottivi. ( Rm 8,15.23; Gal 4,5 )
Ora, se il popolo di Dio non ancora diventato uguale agli Angeli suoi viene detto suo tempio ( Lc 20,36 ) già fin d'ora nel presente pellegrinaggio, quanto più è tempio suo nel cielo, dov'è il popolo degli Angeli, ( 2 Cor 5,6 ) ai quali dobbiamo unirci e diventar simili quando al termine del pellegrinaggio riceveremo il premio promesso?
Orbene, Dio che è dappertutto eppure non abita in tutti, non abita neppure in modo uguale in coloro nei quali egli abita.
Perché, per esempio, Eliseo avrebbe chiesto che lo Spirito che era in Elia fosse in lui in misura due volte maggiore? ( 2 Re 2,9 )
E perché fra tutti i Santi vi sono alcuni più santi degli altri se non perché Dio abita in essi in misura più abbondante?
In qual modo dunque è vero quanto abbiamo affermato più sopra, che cioè Dio è intero dappertutto, dal momento che è presente in alcuni in misura maggiore e in altri in misura minore?
Ma deve considerarsi attentamente quanto abbiamo detto prima, che cioè Dio è intero dappertutto in se stesso, non perciò nelle cose che lo contengono alcune in misura maggiore, altre in misura minore.
Si dice che egli è dappertutto, per il motivo che non è assente in alcuna parte delle cose, ch'egli è intero ovunque per il motivo che non rende una parte di sè presente ad una parte delle cose, e a un'altra parte delle cose l'altra parte di se stesso, parti uguali a parti uguali cioè minore per una minore e maggiore per una maggiore, ma è presente per intero non solo a tutto il creato ma nello stesso tempo anche a qualunque parte di esso.
Si dice poi ché sono lontani da lui coloro che a causa del peccato sono diventati completamente diversi da lui; che sono vicini a lui coloro i quali con una vita santa ricevono la sua somiglianza, allo stesso modo che giustamente si dice che gli occhi sono tanto più lontani dalla luce della terra, quanto più sono ciechi.
Che cosa infatti è più lontano dalla luce che la cecità, anche se la luce è presente e inonda gli occhi spenti?
A ragione si dice che si avvicinano alla luce gli occhi i quali coll'aumentare della sanità progrediscono riacquistando l'acutezza della vista.
Tuttavia quanto a ciò che abbiamo pensato, che cioè potrebbe essere compresa poco chiaramente l'affermazione che Dio è dappertutto, se non aggiungessimo " in se stesso ", mi accorgo che dev'essere spiegato più accuratamente.
Come mai, infatti, Dio è dovunque se lo è " in se stesso "?
Naturalmente è dappertutto perché non è assente da alcun luogo; " in se stesso " invece perché non è contenuto dalle cose in cui è presente come se non potesse esistere senza di esse.
Se ai corpi si toglie lo spazio fisico, essi non saranno in alcun luogo; e poiché non sono in alcun luogo, non esisteranno neppure.
Se alle qualità fisiche si sottraggono gli stessi corpi, non vi sarà più un luogo ove questi possano esistere e, per conseguenza necessaria, non esisteranno neppure.
Quando per esempio un corpo è in modo uniforme sano e candido in tutta la sua massa, la sua sanità o il suo candore non è più grande in una parte che in un'altra, né più grande nell'intero che in una sua parte, poiché è sicuro che l'intero non è più sano o più candido di una parte.
Se invece un corpo non è sano o candido uniformemente, può accadere che la sanità o il candore sia maggiore in una parte minore, quando le membra minori sono più sane o più candide di quelle maggiori; tanto è evidente che non dipende dal volume ciò che si dice grande o piccolo relativamente alla qualità.
Se tuttavia si sopprime totalmente la stessa massa del corpo, per quanto grande o quanto piccola essa sia, le sue qualità non avranno il modo di sussistere, sebbene non debbano misurarsi in base al volume.
Iddio, al contrario, non è più piccolo anche se è contenuto in misura minore da colui nel quale egli è presente, poiché è tutto intero in se stesso e, in coloro in cui abita, non esiste in modo che abbia bisogno di essi come se non potesse sussistere senza di essi.
Inoltre, allo stesso modo che Dio non è lontano neppure dalla persona in cui non abita, e vi è presente per intero, quantunque essa non lo possegga, così Dio è presente per intero anche nella persona in cui abita, quantunque essa non lo contenga totalmente.
In realtà Iddio, perché possa abitare nelle persone, non si divide nei loro cuori o nei loro corpi, dando una parte di sè a una persona e un'altra parte ad un'altra, come fa la luce di questo mondo attraverso le porte o le finestre delle case, ma piuttosto come avviene di un suono qualsiasi che, essendo un fenomeno fisico e transitorio, un sordo non lo percepisce, mentre un altro un po' duro d'orecchi non lo percepisce per intero, e tra quelli che lo sentono sebbene alla medesima distanza dal suono, uno lo sente tanto più di un altro, quanto più acuto ha l'udito e tanto meno quanto lo ha più debole, sebbene il suono non risuoni con intensità maggiore o minore, ma arrivi con uguale intensità a tutti nel posto in cui si trovano.
Quanto più Iddio, sostanza incorporea e immutabilmente viva, può essere presente con tutto il suo essere in tutte le cose e anche in ciascuna di esse, dal momento che non può propagarsi e dividersi come il suono attraverso intervalli di tempo né ha bisogno dello spazio aereo come di un luogo proprio per essere percepito dai presenti, ma sussiste eternamente uguale in se stesso?
Tuttavia le persone in cui abita e ch'egli edifica da sè e per sè, come tempio amatissimo, mediante la grazia della sua bontà lo posseggono chi più chi meno a seconda della diversa loro capacità. ( 1 Cor 3,16; 1 Cor 6,19; 2 Cor 6,16 )
Veramente la Sacra Scrittura parla di diversità dei doni spirituali, come se fossero distribuiti ai componenti o membri dell'unico corpo nel quale noi siamo tempio di Dio ( 1 Cor 12,4 ) non solo tutti insieme, bensì ciascuno di noi preso singolarmente, perché Dio non è più grande in tutti di quel che è in ogni singolo: succede anzi che una sola persona lo possieda in misura più grande che più persone.
L'Apostolo però, dopo aver detto che vi sono diversi doni spirituali, subito aggiunge: ma identico è lo Spirito.
Allo stesso modo, dopo aver ricordato i diversi doni, aggiunge: Tutte queste cose le compie l'unico e identico Spirito distribuendo i propri doni a ciascuno come gli piace. ( 1 Cor 12,11 )
Egli dunque distribuisce i propri doni, senza per altro restar diviso in quanto è unico ed identico.
La Sacra Scrittura parla dei diversi doni spirituali come diverse sono le membra del corpo, poiché le orecchie non hanno la capacità che hanno gli occhi e così tutte le altre membra destinate con armonia a differenti funzioni: esse tuttavia, quando siamo sani, godono insieme di un'unica salute, comune ed uguale, non diversa né maggiore in un membro o minore in un altro, pur essendo esse differenti tra loro.
Capo di questo corpo è Cristo, ( 1 Cor 12,26; Ef 1,22-23; Col 1,18 ) la sua unità è messa in risalto dal nostro sacrificio, ed è espressa dall'Apostolo con questa breve espressione: Noi tutti siamo un solo pane e un solo corpo. ( 1 Cor 10,17 )
Per mezzo del nostro Capo noi veniamo riconciliati con Dio, poiché in lui la divinità dell'Unigenito s'è fatta partecipe della nostra mortalità, affinché noi fossimo partecipi della sua immortalità.
Questo mistero è lontano dal cuore dei sapienti superbi e perciò non cristiani, e per conseguenza neppure davvero sapienti.
Parlo anche di quei sapienti i quali conobbero Dio, poiché pur conoscendo Dio, come dice l'Apostolo, non lo glorificarono come Dio né lo ringraziarono. ( Rm 1,21 )
Tu ben sai in quale sacrificio si dice: " Rendiamo grazie al Signore nostro Dio ".
Dall'umiltà di questo sacrificio è ben lontano l'orgoglio e la superbia di quei sapienti.
Ecco quindi perché desta molta meraviglia come Dio abiti in molti che ancora non lo conoscono, mentre non abita in alcuni che lo conoscono.
Il motivo è che non fanno parte del tempio di Dio coloro che, pur conoscendolo, non lo hanno glorificato come Dio né lo hanno ringraziato.
Al tempio di Dio invece appartengono i bambini santificati dal sacramento di Cristo, rigenerati dallo Spirito Santo, ( Tt 3,5 ) sebbene per l'età non possano conoscere ancora Dio.
In tal modo questi poterono possedere, prima di conoscerlo, Colui che quelli poterono conoscere senza possederlo.
Veramente felici sono poi coloro per i quali conoscere Dio è possederlo!
Tale conoscenza infatti è la più completa, la più autentica, la più beatifica.
Occorre ormai trattare anche la questione aggiunta da te in fondo alla lettera dopo la firma: " Se i bambini non conoscono ancora Dio, come mai Giovanni, prima ancora di nascere, ( Lc 1,41-44 ) poté sussultare nel grembo della propria madre all'arrivo e alla presenza della madre del Signore? ".
Dopo aver ricordato d'aver letto il mio libro Sul battesimo dei bambini, hai aggiunto: " Vorrei sapere che cosa pensi delle gestanti, dal momento che la madre di Giovanni Battista si rese garante dell'adesione del proprio figlio alla fede, rispondendo per lui "
Ecco le precise parole pronunciate da Elisabetta, madre di Giovanni: Benedetta sei tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo ventre.
E come mai ho l'onore che la madre del mio Signore venga da me?
Ecco, infatti, che appena la voce del tuo saluto è giunta alle mie orecchie, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. ( Lc 1,41-44 )
Per pronunciare queste parole Elisabetta - come accenna prima l'Evangelista - era stata colmata di Spirito Santo, ( Lc 1,41 ) dalla rivelazione del quale senza dubbio aveva compreso che cosa significasse il sussulto del suo bambino: che cioè era arrivata la madre di Colui del quale proprio lui sarebbe stato il precursore e il rivelatore.
Quel sussulto poteva dunque significare un fatto sì importante che doveva essere conosciuto dagli adulti ma non conosciuto da un bambino.
Ora, quando ciò è raccontato antecedentemente nel Vangelo, non è detto: " Il bambino credette nel seno materno ", ma sussultò e la madre non disse: " Nel mio seno il bambino ha sussultato per la fede ", bensì: ha sussultato per la gioia.
Ora noi osserviamo non solo nei bambini, ma anche negli animali, dei sussulti senz'essere provocati da sentimenti di fede o di religione o da qualunque altra causa razionale.
Il sussulto di cui parliamo fu invece del tutto insolito e singolare, poiché si verificò nel grembo della madre e all'arrivo di colei che stava per dare alla luce il Salvatore degli uomini.
Quel sussulto è quindi straordinario ed è da reputarsi un gran prodigio.
Ecco perché tale sussulto e il saluto, reso a colei che Elisabetta pensava essere madre del Signore, si compì - come sogliono compiersi i miracoli in un bambino - per potenza divina, non fu compiuto da un bambino in maniera umana.
Del resto, quand'anche in quel bambino l'uso della ragione e della volontà fosse stato talmente precoce che fin dal grembo materno fosse già capace di riconoscere, di credere e acconsentire ( atti per essere capaci dei quali si esige, negli altri bambini, l'età conveniente ), anche un tal fatto è da considerarsi un miracolo della divina potenza, non è da far rientrare nei fatti normali dell'umana natura.
Poiché, quando Dio lo volle, fece parlare come un essere razionale perfino un animale privo di favella, ( Nm 22,28 ) senza per questo esortare gli uomini ad ascoltare i consigli di un'asina nel prendere le loro decisioni.
Io pertanto tengo nel dovuto conto quanto accadde a Giovanni, ma non lo prendo come criterio sicuro di quel che dobbiamo pensare degli altri bambini; anzi, proclamo miracoloso quel che successe a Giovanni, proprio perché non lo trovo in altri bambini.
Con questo fatto ha una certa somiglianza anche la lotta dei due gemelli nel seno di Rebecca; essa fu talmente prodigiosa che Rebecca ne chiese spiegazione a Dio e le fu risposto che nei due bambini erano prefigurati due popoli. ( Gen 25,22-23 )
Temerei di far torto ai nostri sensi se volessi dimostrare a parole che i bambini, ancora ignari delle cose umane, non conoscono quelle divine, quando cerchiamo di dimostrare una tale verità con le parole, mentre l'evidenza della verità supera di gran lunga tutte le forze e la funzione di qualsiasi discorso.
Non vediamo forse che anche quando cominciano ad emettere qualsiasi specie di segni di suoni articolati e perciò, uscendo dall'infanzia giungono a pronunciare le prime parole, hanno ancora idee ed espressioni così meschine che, se rimanessero in quelle condizioni e continuassero ad essere pur con il passare degli anni come nell'infanzia, nessuno, perfino il più stupido, dubiterebbe che sono stupidi?
Salvo che per caso non resti altro se non credere che nei vagiti dell'infanzia e persino quando sono ancora nel silenzio del grembo materno i bambini siano sapienti, mentre in seguito, dopo aver cominciato a parlare con noi, crescendo giungano all'ignoranza che noi constatiamo.
Da te stesso ti accorgi quant'è illogica una simile opinione, dal momento che la conoscenza sensibile dei bambini che prorompe in parole quali che siano, conoscenza che, paragonata ai concetti degli adulti, è certamente quasi zero, tuttavia se è paragonata a quella in cui nascono può chiamarsi intelligenza.
Per qual motivo poi non sono reputati colpevoli del fatto che, nel ricevere il prezioso rimedio che apporta la salvezza, quando si arreca loro l'aiuto con la grazia di Cristo, vi si oppongono con le grida e coi gesti di cui sono capaci e non ci si cura per nulla della loro resistenza finché non vengono compiuti in essi i riti sacri con cui si cancella il peccato derivato dalla condanna originale?
È tanto vero che i bambini non sanno quel che fanno, che non si pensa neppure che essi compiano quegli atti.
Ora, se avessero già l'uso della ragione e del libero arbitrio, con cui si dovrebbe acconsentire a quel rito che conferisce la purificazione redentrice, chi mai dei Cristiani non sa qual grave peccato sarebbe quello di resistere a una grazia sì preziosa e che il sacramento conferito non solo non gioverebbe ma che per tal motivo aumenterebbe anche assai la loro colpa?
Noi dunque affermiamo che nei bambini battezzati abita, per quanto a loro insaputa, lo Spirito Santo.
Essi lo ignorano, sebbene abiti in loro, allo stesso modo che ignorano anche la propria intelligenza; la loro ragione, di cui non hanno ancora l'uso, è come una scintilla che cova sotto la cenere e che sarà destata col crescere dell'età.
Ciò non deve parere strano nei bambini dal momento che l'Apostolo a certi adulti dice: Non sapete che voi siete tempio di Dio e che lo Spirito Santo abita in voi? ( 1 Cor 3,16 ) mentre a proposito degli stessi poco prima aveva detto: L'uomo animale non capisce le cose dello Spirito di Dio; ( 1 Cor 2,14 ) e li chiama bambini, non per l'età ma per lo spirito. ( 1 Cor 3,1 )
Essi pertanto non percepivano col pensiero lo Spirito Santo che abitava nelle loro anime e, benché lo Spirito Santo abitasse nelle loro anime, erano ancora sensuali e non spirituali, poiché non riuscivano a percepire col pensiero la presenza dello Spirito Santo nelle proprie anime.
Si dice poi che lo Spirito Santo abita in tali persone per il fatto che agisce segretamente nelle loro anime, perché diventino suo tempio e lo porta alla perfezione in quelli che progrediscono e sono perseveranti nel progredire.
In realtà, come dice l'Apostolo: Noi siamo salvati nella speranza, ( Rm 8,24 ) mentre in un altro passo egli dice: Ci ha salvati mediante il bagno di rigenerazione. ( Tt 3,5 )
Dicendo quindi l'Apostolo in questo passo: Ci ha salvati, come se ci fosse stata già accordata la salvezza, spiega il suo pensiero nel passo in cui dice: Noi infatti siamo salvati nella speranza.
Ora, quella che si vede non è più speranza; come potrebbe infatti uno sperare ancora ciò che vede?
Se quindi speriamo ciò che non vediamo, lo attendiamo per mezzo della pazienza. ( Rm 8,24-25 )
Ora nelle Sacre Scritture molte cose sono annunciate come se fossero già avvenute, mentre bisogna intenderle come ancora da sperare.
Ecco perché il Signore disse ai suoi discepoli: Vi ho fatto conoscere tutto ciò che ho udito dal Padre mio, ( Gv 15,15 ) mentre in realtà diceva così unicamente nel senso della speranza delle cose future, tant'è vero che nel seguito del discorso aggiunge: Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora non potete comprenderle. ( Gv 16,12 )
In coloro dunque nei quali abita, lo Spirito Santo promuove la costruzione della propria dimora, ch'egli però compie non già in questa vita, bensì nell'altra dopo quella attuale, allorché la morte sarà assorbita nella vittoria e le sarà detto: Dov'è mai, o morte, la tua vittoria?
Dov'è mai, o morte, il tuo pungiglione? ( 1 Cor 15,54 )
Cos'altro mai è poi il pungiglione della morte, se non il peccato? ( 1 Cor 15,55-56 )
Per lo stesso motivo, anche dopo essere stati rigenerati mediante l'acqua e lo Spirito Santo ( Gv 3,5 ) e dopo che ci sono stati cancellati tutti i peccati, non solo quello originato da Adamo, per causa del quale tutti hanno peccato, ( Rm 5,12 ) ma anche quelli commessi in azioni, parole e pensieri, dal momento che rimaniamo in questa vita umana, ch'è una prova sulla terra, ( Gb 7,1 ) noi abbiamo giusto motivo di dire: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )
Questa preghiera è ripetuta da tutta la Chiesa, che viene purificata dal Salvatore col bagno dell'acqua mediante la parola, affinché egli stesso possa presentarla a se stesso splendente di gloria, senz'alcuna macchia né ruga o altro simile difetto, ( Ef 5,26-27 ) ma non ora che progredisce camminando nella speranza, bensì quando sarà resa perfetta nella realtà.
Come potrebbe, infatti, essere attualmente senza macchia o ruga o simili difetti, dal momento che per tutti gli uomini che fanno parte di essa ed hanno l'uso di ragione e del libero arbitrio e portano il peso della carne mortale, o almeno per molti dei suoi membri - come sono costretti ad ammettere anche i nostri avversari attaccabrighe - essa con sentimenti veraci dice al Signore: Rimetti a noi i nostri debiti? ( Mt 6,12 )
Per questi motivi lo Spirito Santo santifica sempre più i mortali in cui abita, i quali progrediscono rinnovandosi di giorno in giorno, ne esaudisce le preghiere, li purifica nella confessione, per prepararsi un tempio immacolato per l'eternità; ( 2 Cor 4,16 ) a ragione quindi si afferma che non abita in coloro che, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio. ( Rm 1,21 )
Essi, prestando culto e servizio alle creature anziché al Creatore, ( Rm 1,25 ) non hanno voluto essere tempio dell'unico vero Dio; in tal modo, volendolo possedere con molte altre divinità, sono riusciti a conseguire più facilmente il risultato di non possederlo anziché mischiarlo con i numerosi falsi dèi.
Con ragione si afferma altresì che lo Spirito Santo abita in coloro che, da lui chiamati in virtù del proprio disegno, li prende sotto la sua protezione al fine di giustificarli e glorificarli, prima ancora di essere in grado di conoscere la sua natura incorporea, che rimane intera dappertutto, nella misura in cui può essere conosciuta in questa vita, cioè parzialmente come attraverso uno specchio e confusamente ( 1 Cor 13,12 ) anche dall'uomo più progredito nella virtù.
Tra coloro in cui abita, ve ne sono molti somiglianti a coloro ai quali l'Apostolo dice: Non ho potuto parlarvi come a persone spirituali, ma come a persone carnali cioè come a bambini in Cristo; v'ho dato da bere latte e non cibo solido, poiché non ne eravate ancora capaci; anzi non ne siete capaci neppure adesso. ( 1 Cor 3,1-2 )
L'Apostolo infatti dice ai medesimi anche quella celebre verità: Non sapete che siete tempio di Dio e lo Spirito Santo abita in voi? ( 1 Cor 3,16; 1 Cor 6,19 )
Anche se all'ultimo giorno della vita questi tali si troveranno lontani dall'essere arrivati all'età dell'intelligenza spirituale, nella quale siamo in grado d'essere nutriti non di latte ma di cibo solido, ( Eb 5,12 ) il loro divino ospite colmerà tutte le lacune della loro intelligenza, dato che non si sono mai separati dall'unità del corpo di Cristo che per noi è diventato la via, né dalla comunione del tempio di Dio. ( Gv 14,6 )
Per non separarsene, si attengono costantemente nella Chiesa alla regola della fede comune alle persone elevate e alle modeste e camminano secondo le verità alle quali sono arrivati, in attesa che Dio faccia loro conoscere se hanno qualche opinione diversa; non insegnano come verità di fede le proprie idee puramente umane perché non si ostinano rimanendo fermi nella difesa litigiosa delle loro opinioni ma in un certo modo camminano, traspirano cioè abbondante sudore nello sforzo di avanzare sulla via della perfezione, implorando da Dio, mediante la pietà ispirata dalla fede, la perspicuità dell'intelligenza. ( Fil 3,15-16 )
Stando così le cose, questi due fatti, cioè la nascita e la rinascita, che avvengono in un unico individuo, sono di pertinenza di due persone diverse: l'uno del primo Adamo, l'altro del secondo Adamo, cioè di Cristo: Ma - dice l'Apostolo - il primo non fu quello ch'è spirituale, bensì quello animale, lo spirituale viene dopo.
Il primo uomo, formato dalla terra, è terrestre, il secondo, che viene dal cielo, è celeste.
Quale il terrestre, tali anche i terrestri, e quale è il celeste, tali anche i celesti.
Come portammo l'immagine del terrestre, così porteremo anche l'immagine del celeste. ( 1 Cor 15,46-49 )
Egli dice parimenti: Per mezzo d'un sol uomo ( venne ) la morte, e per mezzo d'un sol uomo ( avverrà ) la risurrezione dei morti.
Come infatti in Adamo muoiono tutti, così pure in Cristo saranno tutti vivificati. ( 1 Cor 15,21-22 )
S. Paolo dice " tutti " nell'uno e nell'altro membro della frase, poiché nessuno muore se non per mezzo d'Adamo, nessuno riceve la vita se non per mezzo del Cristo.
Nel primo s'ebbe chiara la prova di quanto valesse l'arbitrio dell'uomo per procurarsi la morte; nel secondo invece di quanto valesse l'aiuto di Dio per avere la vita.
Il primo uomo, infine, era solo uomo; il secondo invece Dio e uomo.
Il peccato avvenne per aver abbandonato Dio, la giustificazione invece non avviene senza Dio.
Per conseguenza neppure morremmo se non discendessimo dalle membra del primo uomo per via di generazione carnale, né avremmo la vita se non fossimo membri del secondo uomo mediante l'unione spirituale con lui.
Ecco perché noi abbiamo avuto bisogno di nascere e di rinascere, mentre il Cristo per redimerci non ha avuto bisogno se non di nascere.
Noi infatti passiamo dal peccato alla giustizia col rinascere, il Cristo invece non fece alcun passaggio dal peccato alla giustizia; egli però nel fatto di sottoporsi al battesimo volle dare col suo abbassamento un risalto più spiccato al sacramento della nostra rigenerazione; nella sua passione volle tuttavia essere il simbolo del nostro vecchio uomo, mentre nella sua risurrezione il simbolo dell'uomo nuovo.
La ribellione della concupiscenza che risiede nel nostro corpo mortale e per causa della quale le nostre membra hanno moti indipendenti dal nostro libero arbitrio, è moderata dalla santità del matrimonio di modo che i bambini generati da genitori uniti in legittimo matrimonio hanno bisogno d'essere rigenerati.
Il Cristo però non volle che la sua carne avesse origine da una simile unione dell'uomo e della donna, ma dalla Vergine, che lo concepì senza passione sensuale, assunse per noi la somiglianza della carne di peccato, ( Rm 8,3 ) perché questa fosse purificata in noi.
Come dunque - dice l'Apostolo - per colpa d'un solo uomo tutti sono caduti sotto la condanna, così anche per mezzo della giustizia d'un solo uomo tutti possono arrivare alla giustificazione della vita. ( Rm 5,18 )
Nessuno infatti nasce se non in virtù della concupiscenza carnale trasmessa dal primo uomo, cioè da Adamo, e nessuno rinasce se non in virtù della grazia spirituale concessa dal secondo uomo, cioè da Cristo.
Se quindi apparteniamo al primo col nascere, apparteniamo al secondo col rinascere, né alcuno può rinascere se prima non nasce.
Orbene, Cristo nacque in modo singolare e non ebbe bisogno di rinascere, poiché non fece mai passaggio dal peccato, in cui egli non fu mai implicato ( alla giustizia ), né fu concepito nel peccato, ( Sal 51,7 ) né la madre lo nutrì nei peccati nel grembo; poiché lo Spirito Santo discese su di lei e la potenza dell'Altissimo la coprì con la sua ombra, per cui il Santo nato da lei si chiama Figlio di Dio.
Difatti, l'onestà dell'atto matrimoniale non sopprime del tutto, ma soltanto modera la ribellione delle membra in modo che la concupiscenza carnale, ridotta in certo qual modo entro giusti limiti, diventi almeno pudicizia coniugale.
La vergine Maria invece, alla quale era stato annunciato: E la potenza dell'Altissimo ti adombrerà, ( Lc 1,35 ) nel concepire il Santo, suo Figlio, al riparo di tale ombra non sentì alcun ardore di tale concupiscenza.
Tranne, dunque, questa pietra angolare, ( Is 28,16; 1 Pt 2,6; Ef 2,20 ) non vedo come gli uomini possano essere edificati per divenire casa di Dio, per avere in se stessi Dio come ospite, senz'essere rigenerati, ( 2 Cor 6,16 ) cosa impossibile se prima non sono generati.
Possiamo pensare che alle gestanti, o meglio ai bambini racchiusi ancora nel grembo materno, possa essere stata concessa o non concessa una sorta di santificazione, sia a proposito di Giovanni il quale, prima ancora di essere dato alla luce di questa terra, tuttavia sussultò di gioia ( Lc 1,41-44 ) ( e chi potrebbe credere che ciò potesse accadere senza l'azione dello Spirito Santo? ) sia a proposito di Geremia, al quale il Signore dice: Prima che tu uscissi dal grembo materno io ti ho santificato. ( Ger 1,5 )
Tuttavia, qualunque opinione possiamo avere in proposito, propria dei soli rigenerati è la santificazione, mediante la quale ciascuno di noi e tutti insieme diventiamo tempio di Dio, cosa che gli uomini non possono essere se non sono stati generati.
Nessuno poi terminerà bene la vita in cui è nato se non è rinato prima di terminarla.
Se poi qualcuno affermasse che un individuo è già nato anche quando è ancora nel grembo materno e invoca la testimonianza del Vangelo, poiché a proposito della Vergine, madre del Signore, ancora gestante fu detto a Giuseppe: Colui che è nato in lei, è opera dello Spirito Santo, ( Mt 1,20 ) forse che a tale nascita ne segue una seconda?
Poiché allora non sarà più la seconda, ma la terza.
Il Signore invece parlando di questa seconda nascita disse: Se uno non nascerà di nuovo, ( Gv 3,3 ) considerando naturalmente come prima nascita quella che avviene quando la madre partorisce, non già quando concepisce o quando è incinta, quella compiuta da lei, non quella compiuta in lei!
Noi infatti non diciamo che è nato di nuovo un bambino quand'è partorito dalla madre, come se fosse nato di nuovo chi era nato una volta nel grembo materno, ma senza tener conto della concezione che rende incinta la madre, un bambino si dice nato solo nel parto, di modo che possa rinascere per mezzo dell'acqua e dello Spirito. ( Gv 3,5 )
Nel senso di questa nascita dalla madre anche il Signore si dice nato a Betlemme di Giuda. ( Mt 2,1 )
Se quindi uno può essere rigenerato mediante la grazia dello Spirito Santo nel grembo materno, dal momento che gli resta ancora da nascere, rinasce prima ancora di nascere, cosa questa assolutamente impossibile.
Ecco perché gli uomini vengono inseriti nella compagine del corpo di Cristo come nella viva costruzione del tempio di Dio, che è la sua Chiesa, solo dopo la loro nascita e non in virtù delle buone opere da essi compiute, ma rinascendo in virtù della grazia come estratti da un ammasso di rovine per servire a costruire un edificio solidissimo.
Fuori di questo edificio che viene costruito per essere santificato affinché sia l'eterna dimora di Dio, la vita umana non è che infelicità e dovrebbe avere il nome di morte anziché di vita.
Chi dunque sarà abitato da Dio perché la collera di Dio non resti su di lui, non rimane estraneo a questo corpo, a questo tempio, a questa città. ( Gv 3,36 )
Chi però non sarà rinato, ne rimane estraneo.
D'altra parte Colui che si manifestò come il Mediatore, volle che fosse manifesto anche il Sacramento della nostra rigenerazione.
Per i giusti dell'Antica Alleanza esso era invece qualcosa d'occulto, sebbene si salvassero anch'essi per mezzo della fede che sarebbe stata rivelata al tempo opportuno.
Noi perciò non osiamo mettere i fedeli dei nostri giorni al di sopra degli amici di Dio dai quali sono state predette queste verità, dal momento che Dio ha voluto farsi conoscere come Dio d'Abramo, Dio d'Isacco e Dio di Giacobbe ( Es 3,15 ) fino al punto di affermare che tale è il suo nome in eterno.
Se poi si crede che per i Santi dell'Antica Alleanza la circoncisione teneva le veci del battesimo, che cosa mai si risponderà riguardo a tante persone le quali furono care a Dio prima che fosse prescritta la circoncisione, ma tuttavia non senza che avessero la fede?
Poiché, come sta scritto nella Lettera agli Ebrei: senza la fede è impossibile piacere a Dio. ( Eb 11,6 )
Avendo pertanto - dice l'Apostolo - il " medesimo " spirito di fede, per cui sta scritto: Ho creduto e quindi ho parlato, anche noi crediamo e quindi parliamo. ( 2 Cor 4,13; Sal 116,10 )
S. Paolo non parlerebbe del " medesimo " spirito di fede, se lo spirito di fede di quelli non fosse stato identico al nostro.
Come poi, quando il medesimo Sacramento era occulto, quelli credettero nell'incarnazione futura di Cristo, così noi crediamo nell'Incarnazione già avvenuta.
Come noi, così anch'essi aspettano la seconda venuta di Cristo per il giudizio finale.
Non v'è altro sacramento di Dio ( Ap 10,7; Am 3,7 ) tranne Cristo, per opera del quale è necessario che siano vivificati quelli che sono morti per colpa di Adamo poiché, allo stesso modo che tutti muoiono per la loro connessione con Adamo, così tutti saranno vivificati per la loro connessione con Cristo, ( 1 Cor 15,22 ) come abbiamo più sopra dimostrato.
Per questi motivi Dio, presente dappertutto nella sua totalità, non abita in tutti, ma solo in coloro che egli fa diventare suo santo tempio o altrettanti suoi santi templi, liberandoli dal potere delle tenebre e trasferendoli nel regno del suo Figlio diletto, ( Col 1,13 ) regno che ha inizio con la rigenerazione.
" Tempio di Dio " poi è un termine usato in sensi diversi: è usato in senso simbolico quando è costruito dalla mano dell'uomo con materie inanimate, com'era il tabernacolo fatto di legno, di veli, di pelli e d'altri simili arredi e com'era lo stesso tempio costruito dal re Salomone con pietre, legnami e metalli; in un altro senso invece si chiama " tempio di Dio " nella sua vera realtà, la quale è rappresentata allegoricamente da quelle cose simboliche.
Per tale motivo è detto: E voi, come pietre vive, costruitevi in modo da formare una casa spirituale. ( 1 Pt 2,5 )
Per lo stesso motivo sta anche scritto: Noi infatti siamo tempio del Dio vivo, come dice Dio stesso: Io abiterò tra loro e camminerò in mezzo a loro; io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. ( 2 Cor 6,16; Lv 26,12 )
Non ci deve nemmeno fare impressione il fatto che Dio compie prodigi per mezzo di alcuni individui che non fanno parte - o non fanno ancora parte - di questo tempio, cioè coloro in cui Dio non abita o ancora non abita, come li compiva per mezzo di quel tale che scacciava i demoni nel nome di Cristo pur non essendo ancora suo seguace; eppure Cristo ordinò che lo lasciassero fare poiché la sua azione serviva a far conoscere a molti il proprio nome. ( Mc 9,37-39 )
Cristo afferma che nell'ultimo giorno parecchi gli diranno: Nel tuo nome abbiamo fatto molti miracoli; a costoro egli non risponderebbe: Io non vi conosco, ( Mt 7,22-23 ) se facessero parte del tempio di Dio ch'egli santifica con l'abitarvi.
Anche il centurione Cornelio, prima che fosse incorporato in questo tempio mediante la rigenerazione, vide l'Angelo inviatogli ( da Dio ) e dalla sua voce udì che le sue preghiere erano state esaudite ed erano gradite le sue elemosine. ( At 10,1-4 )
Dio infatti compie queste cose o da sé perché presente dappertutto o per mezzo dei suoi Angeli santi.
Riguardo poi alla santificazione di Geremia avvenuta prima che uscisse dal grembo materno, alcuni la intendono come una prefigurazione simbolica del Salvatore, il quale non ebbe alcun bisogno d'essere rigenerato.
Tuttavia anche se si vuole intendere quella personale del Profeta, ( Ger 1,5 ) si può interpretare in modo non illogico anche nel senso della predestinazione; allo stesso modo che persone ancora non rigenerate sono chiamate " figli di Dio " dal Vangelo, nel quale Caifa avendo affermato del Cristo: A voi conviene che uno solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione, il Vangelo soggiunge immediatamente: Egli tuttavia non fece tale affermazione di testa propria, ma essendo in quell'anno sommo pontefice, fece la profezia secondo la quale Gesù sarebbe morto per la ( sua ) nazione; e non solo per la ( sua ) nazione, ma per ricondurre all'unità i figli di Dio, ch'erano dispersi. ( Gv 11,50-52 )
Il Vangelo chiama " figli di Dio " anche alcuni non appartenenti al popolo ebraico, che si trovavano in mezzo a tutti gli altri popoli non ancora fedeli né battezzati.
Come mai, dunque, li chiama " figli di Dio " se non rispetto alla predestinazione, con cui, al dire dell'Apostolo, Dio ci ha prescelti in Cristo prima della creazione del mondo? ( Ef 1,4 ) L'azione di ricondurre all'unità gli uomini li avrebbe fatti diventare anche figli di Dio, poiché l'adunarsi nell'unità di cui qui si parla, non è la riunione che si attua in un sol luogo, dal momento che il Profeta, predicendo tale chiamata dei pagani alla fede, dice: E l'adoreranno tutti i popoli delle varie nazioni, ciascuno nella sua regione, ( Sof 2,11 ) mentre è stato detto li riconducesse all'unità in un solo Spirito, in un solo corpo, il cui solo capo è Cristo. ( Col 1,18; Ef 1,22-23 )
Quest'azione di ricondurre all'unità è la costruzione del tempio di Dio, la quale è opera non già della generazione carnale ma della rigenerazione spirituale.
Iddio pertanto abita nei singoli fedeli come in altrettanti suoi templi e nei fedeli riuniti insieme come nel suo tempio.
Finché questo tempio è, per così dire, in balìa delle onde di questa vita come l'arca di Noè, si compie quanto sta scritto nel Salmo: Il Signore è assiso sulle acque del diluvio, ( Sal 29,10 ) anche se il passo può ragionevolmente intendersi di molti popoli di fedeli fra tutte le nazioni, indicati nell'Apocalisse col termine di acque. ( Ap 17,15 )
Il Salmo quindi soggiunge: Il Signore sederà come un re in eterno, ( Sal 29,10 ) e precisamente nel proprio tempio stabilito ormai nella vita eterna dopo le tempeste della vita presente.
Iddio dunque è presente dappertutto e lo è nella sua totalità, ma non abita ovunque, bensì solo nel suo proprio tempio, col quale è per sua grazia buono e misericordioso.
Abitando poi nei fedeli è contenuto da alcuni in misura maggiore e da altri in misura minore.
Quanto poi al nostro Capo, l'Apostolo afferma che: In lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. ( Col 2,9 )
Corporalmente non perché Dio sia corporeo, ma forse l'Apostolo ha usato una parola traslata per far intendere che Dio non abitò col corpo nel tempio fatto da mano d'uomo, ma solo simbolicamente, cioè solo sotto simboli che prefiguravano la realtà futura, poiché con termine anch'esso traslato chiama ombre delle cose future tutte le pratiche religiose dell'Antica Alleanza. ( Col 2,17; Eb 10,1 )
Sta scritto infatti che il sommo Dio non abita nei templi costruiti dall'uomo. ( At 17,24 )
Ma forse l'Apostolo ha usato il termine " corporalmente " per il fatto che Dio abita, come in un tempio, anche nel corpo di Cristo assunto dalla Vergine.
Ecco perché ai Giudei, che chiedevano un miracolo, avendo Cristo risposto: Distruggete questo tempio e io lo riedificherò in tre giorni, l'Evangelista dà subito dopo la spiegazione dicendo che Cristo intendeva parlare del tempio del proprio corpo. ( Gv 2,19.21 )
Come va dunque? Forse che l'unica differenza tra il capo e gli altri membri sta nel fatto che, sebbene in qualunque membro, per quanto si voglia eminente come un gran profeta o apostolo, abiti la divinità, non abita però come nel Capo che è Cristo ( Col 1,18; Ef 1,22 ) tutta la pienezza della divinità? ( Col 2,9 )
Così, per esempio, anche nelle singole membra del nostro corpo esiste la sensibilità, ma essa è molto più acuta nel capo ove risiedono proprio tutti e cinque i sensi, poiché vi risiede la vista, l'udito, l'odorato, il gusto e il tatto, mentre nelle altre membra risiede solo il tatto.
Oltre al fatto che nel corpo di Cristo abita come in un tempio tutta la pienezza della divinità, non v'è forse anche qualche altra differenza tra il capo e qualsiasi altro membro per quanto eccellente possa essere?
V'è certamente, ed è che, in virtù della singolare assunzione dell'umanità, Cristo è divenuto una sola persona col Verbo. In realtà di nessuno dei Santi si poté, si può e si potrà mai dire che il Verbo si è fatto carne; ( Gv 1,14 ) nessun Santo, per quanto eminente per grazia, ha avuto il nome di Figlio unigenito di Dio, in modo che quello, ch'è lo stesso Verbo di Dio da prima di tutti i secoli, si chiamasse ugualmente il Verbo fatto uomo. Singolare è quindi l'azione ( del Verbo ) di assumere ( la natura umana ) e non può essere assolutamente comune ad alcun uomo quanto si voglia eminente per sapienza e per santità.
In essa abbiamo una prova assai evidente della grazia di Dio.
Ora, chi sarebbe tanto sacrilego da osare di affermare che un'anima, col solo libero arbitrio, possa fare in modo di essere un secondo Cristo?
In qual modo quindi una sola anima avrebbe potuto meritare, mediante il dono del libero arbitrio comune a tutti gli uomini e proprio della natura umana, di appartenere alla persona del Verbo unigenito senza averlo ottenuto per un privilegio singolare della grazia?
È giusto dunque esaltarla, mentre è ingiusto volerla giudicare.
Se io, secondo le mie forze, con l'aiuto concessomi da Dio, sono riuscito a spiegare nel modo dovuto queste verità, tu, quando ti concentri a pensare Dio presente dovunque, ma senza che occupi con una specie di volume di estensione i punti dello spazio tra loro distanti, bensì tutto intero in ogni luogo, allontana dalla mente qualsiasi rappresentazione corporea che il pensiero dell'uomo suole rimuginare in se stesso.
Noi infatti non ci rappresentiamo così la sapienza, la giustizia, l'amore, a proposito del quale la Scrittura dice che Dio è amore. ( Gv 4,8.16 )
Quando invece tu pensi all'inabitazione di Dio, pensa all'unità e alla comunione dei Santi, specialmente nel cielo, ove si dice che soprattutto Dio abita, poiché lì si compie perfettamente la sua volontà mediante la perfetta obbedienza dei Santi in cui egli abita; ed in secondo luogo in terra ove Dio, edificandola, abita la sua casa, che dovrà essere dedicata alla fine del mondo.
Quanto a nostro Signore Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio uguale al Padre e nello stesso tempo figlio dell'uomo e perciò inferiore al Padre, non dubitare che in quanto Dio è presente e intero dappertutto ed è nello stesso tempio di Dio in quanto Dio inabitante, mentre, a causa delle dimensioni del suo vero corpo abita in qualche parte del cielo.
Ma io, trasportato dal piacere di intrattenermi a parlare con te, forse ho passato i limiti d'una lettera normale, come se compensassi il mio lungo silenzio con la mia prolissità.
Poiché però tu, per la tua religiosità e bontà con cui mi hai prevenuto, sei così profondamente radicato nel mio cuore, che mi pare d'intrattenermi con un amico, se trovi qualcosa d'utile elaborato nell'opera della mia penna, ringraziane Dio; se invece vi trovi qualche mio difetto, perdonalo come amico carissimo, desiderando per me il modo di correggermene con la stessa sincerità d'affetto con cui mi concedi anche il perdono.
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