Formazione al celibato sacerdotale |
La castità, ben lungi dall'essere una virtù isolata nella struttura della personalità spirituale del sacerdote, costituisce l'espressione culminante di una vita sana nella fede, equilibrata e solidamente costruita su un'ardente carità.
Per questo, niente nella vita e nel clima del seminario dovrà essere indifferente all'edificazione di tale virtù.
Anzi proprio il tenore di questo clima sarà la condizione principale e il fattore fondamentale di detta formazione.
Non è pertanto superfluo, ma è anzi necessario, richiamare i tratti essenziali della vita del seminario nel loro diretto o indiretto rapporto con la formazione alla castità.
Ogni seminario deve essere tale da « alimentare negli alunni la gioia della propria vocazione »,89 mostrando il celibato vissuto per il regno di Dio come una grazia eminentemente favorevole in vista dell'annunzio gioioso del Cristo risorto.
Si potrà riuscire in questo, comunicando ai seminaristi il gusto della carità ecclesiale e apostolica, la quale è simultaneamente amore del Cristo, comunione amichevole con i superiori e i compagni, spirito evangelico e volontà di collaborazione.
Questo programma non tanto si deve insegnare, quanto piuttosto testimoniare nella vita concreta del seminario.
Qui esprimiamo alcuni suggerimenti, che possono aiutare a creare nel seminario un'atmosfera altamente educativa, quale risultante di una sapiente impostazione di rapporti interpersonali, di una vita spirituale intensa e di un'ardente carità ecclesiale, come anche di un conveniente contatto con il mondo esterno e di un adeguato uso degli strumenti di comunicazione sociale.
Il clima in cui si svolgono le relazioni umane nel seminario è un fattore importante per la formazione pastorale.
Prima di portare fuori del seminario le ricchezze di cui esso dispone, occorre aver dato, all'ambiente stesso nel quale si vive, il carattere e lo stile di servizio scambievole, dove ciascuno concorre a creare le condizioni di sviluppo di tutti gli altri.
Questo clima educativo è caratterizzato da alcuni orientamenti.
Anzitutto è auspicabile che nella comunità seminaristica ognuno ricerchi liberamente la sua vocazione, non sentendosi automaticamente destinato al sacerdozio per il fatto di avere iniziato l'esperienza seminaristica.90
Va tenuto conto di una pluralità di disposizioni, in cui i seminaristi possono trovarsi in rapporto alla vocazione, e anche della mutevolezza degli atteggiamenti giovanili.
Gli educatori rispettino tutti e ciascun alunno; non stabiliscano graduatorie di merito; non insinuino l'idea che chi cambia strada è un traditore; tengano vivo in tutti il diritto-dovere personale dell'approfondimento continuo della vocazione e della libera decisione.
Un altro orientamento, da cui dipende la riuscita della comunità giovanile del seminario, è dato dai rapporti interpersonali che devono essere caratterizzati da familiare confidenza e da fraterna amicizia.91
Va ricordato che la confidenza non si impone con l'autorità, ma si suscita e si ottiene meritandosela; e che circa la fraterna amicizia ci sono fattori che la favoriscono e altri che la possono distruggere.
Il seminario sia una scuola di amicizia; fomenti la fraternità a livello anche puramente umano; abbia fiducia in essa e non la turbi con insinuazioni ingiuste e di gusto deteriore.
Una vera educazione al celibato deve potersi radicare profondamente nella fraternità.92
Una vita di comunità fraterna, armonica, operosa, ricca di calore umano e soprannaturale, diffonde tra i suoi membri un senso di distensione, di equilibrio e di soddisfazione, per cui gli stessi sono come vaccinati dal cercare compensazioni affettive al di fuori di essa; e rende più difficile il sorgere di rimpianti per la rinunzia fatta con la scelta del celibato.
In ultima analisi, maturità significa aderenza e amore alla realtà: di se stessi, degli altri, di Dio.
Perciò lo strumento formativo più importante deve essere un clima impregnato di verità, cioè di chiarezza, di lealtà, di affetto, di rispetto e di dialogo, affinché la scoperta della propria vocazione sia una conquista progressiva e il risultato di una scelta matura, più che l'effetto di un condizionamento esterno.
L'atmosfera della vita seminaristica contribuirà alla maturazione dei candidati nella misura in cui sarà calda di veri incontri umani, capace di stimolare all'iniziativa e alla responsabilità personale e di portare gradualmente ad un'obbedienza degna dei figli di Dio, cioè convinta e ragionevole.
È quanto mai conveniente inoltre che lo svolgimento della vita del seminario si realizzi in uno stretto rapporto di collaborazione tra educatori e alunni, nel quale siano valorizzate le personalità, le capacità e le competenze dei singoli.
I rapporti di solidarietà e di socialità vengano assunti sia come programma sia come metodo dall'intero seminario.
« I superiori e i professori ( … ) sotto la guida del rettore siano in strettissima unità di spirito e di azione, e tra loro e con gli alunni formino una famiglia tale da tradurre in pratica la preghiera dei Signore: "Che siano una cosa sola" ( Gv 17,11 ) e da alimentare negli alunni la gioia della propria vocazione ».93
Per promuovere una formazione personale, bisogna porre gli alunni in un ambiente favorevole allo sviluppo di tutte le loro qualità e possibilità.
A questo fine una certa divisione in gruppi, che tuttavia rispetti l'unità del seminario, è consigliata in determinate situazioni.94
In tal modo possono più facilmente essere riannodati ed esercitati i rapporti di solidarietà, realizzando l'esperienza di un'opportuna divisione di compiti, secondo le risorse di ciascuno al servizio del bene comune: vengono così delineati gli orientamenti propri di ognuno verso l'avvenire.
I gruppi possono essere organizzati in corrispondenza alle reali necessità di ciascuna diocesi, e quindi ai futuri campi di ministero, acquistando in tal modo una funzionalità dinamica e pastorale: intorno ad essi potrebbero animarsi diversi circoli di interessi umani e apostolici, facilmente convertibili in fattori di attività formativa, atti a creare vincoli di amicizia e di lavoro.
Tutto ciò darebbe ricchezza e vitalità alla formazione.
La vita comunitaria del seminario quindi, mentre educa alla vita di fede, prepara ad entrare nel presbiterio diocesano, ad integrarvisi progressivamente, non solo di diritto, ma anche di intelligenza, di cuore e di animo.
Ciò richiede che il seminario sia esso stesso una comunità, che avvia allo spirito e al lavoro comuni di un corpo pastorale unico e diverso; che sia sufficientemente integrato nella vita diocesana e favorisca l'effettiva partecipazione della diocesi alla formazione dei futuri sacerdoti.
Il clima di libertà, il rispetto della persona, la valorizzazione dell'iniziativa del singolo, non devono essere interpretati come una liberazione da ogni specie di disciplina.
Il seminarista, che sceglie il suo stato liberamente, deve anche liberamente accettarne i condizionamenti e rispettarli.
La disciplina fa parte della struttura spirituale sia del seminarista sia del sacerdote, durante tutta la vita: « Tale disciplina ( … ) non deve essere sopportata solo come un'imposizione dall'esterno, ma, per così dire, interiorizzata, inserita nel complesso della vita spirituale come una componente indispensabile ».95
Il che non significa che la stessa sia puramente interiore, essendo anche « personale e comunitaria »,96 esteriore.97
Ma se la disciplina proposta dal regolamento rimane importante, il centro dell'educazione è offerto dal rapporto educativo, umano e cristiano, tra educatore e seminarista.
Simile prospettiva non implica l'abbandono dell'educando a se stesso, non esonera l'educatore dall'essere presente, anzi lo richiede in un modo molto più intimo.
Infatti, l'educatore non può farsi sostituire dalla disciplina ferrea, dalla regola minuziosa, dalla sorveglianza rigida; egli deve guidare e potenziare l'educando attraverso il rapporto amichevole, mediante il colloquio confidenziale, badando alle situazioni che l'alunno vive.98
È necessario adattare i principi generali a ciascun caso in particolare.
Non c'è un'educazione valida per tutti: a volte il superiore responsabile, per la conoscenza personale che ha del suddito, può lasciare che questi vada avanti anche accettando un certo rischio, poiché un'intima certezza gli dice che il giovane finirà per capire ciò che giova e ciò che non giova, meglio che non attraverso rigide imposizioni; altre volte, invece, interverrà con decisione per salvare chi presume di sé e si espone senza motivo a pericolo grave.
La scelta del celibato deve essere animata da magnanimità, dalla consapevolezza che è importante dedicare interamente la propria vita ad un grande amore, il quale abbraccia insieme Dio, il Cristo e le anime; dalla consapevolezza che, se il celibato è un prezioso dono del Signore, da impetrarsi con umiltà,99 è anche un dono dell'uomo a Dio.
Questa generosità aprirà il cuore del seminarista in un modo sempre più crescente alla preghiera, all'adorazione e alla contemplazione di Colui che è il termine della propria donazione e sarà fonte di continua gioia e giovinezza.100
Il seminario introdurrà quindi gli alunni alla pratica abituale e spontanea dell'incontro e del colloquio con Dio nel Cristo.
E questo nei molteplici modi della preghiera, dell'azione liturgica, della parola meditata, dello studio sulla persona del Cristo come centro di ogni riflessione di fede e di teologia.
Una vita centrata in Dio mediante l'orazione è un imperativo categorico della vita di consacrazione.
Il seminarista e il sacerdote dovranno avere pertanto in alto grado quel dono di pietà, che è in sostanza un grande amore per il Signore, e rimarranno sempre i testimoni privilegiati della bellezza e della gioia del rapporto immediato con il Dio della rivelazione.
Il celibe per vocazione, che abbandona la preghiera, che rompe cioè i rapporti interpersonali con Dio, sta sull'orlo della rovina del suo celibato.
Questa relazione fondamentale con il Signore, alimentata alle sorgenti della preghiera stessa della Chiesa e divenuta profondamente personale per mezzo di esercizi appropriati, è di capitale importanza, perché un sacerdote possa essere a suo agio nelle relazioni di direzione spirituale.
Senza una relazione con Dio, ricca di sana vita spirituale, il sacerdote non può essere capace di aiutare efficacemente i fedeli.
Nell'aggiornamento delle forme di pietà occorre mirare a scoprire, al di là delle pratiche, ciò che ne è stata la ragion d'essere, adattando i mezzi alle esigenze psicologiche e pastorali d'oggi.
Si favorisca la spontaneità capace di aprirsi all'amore amichevole con il Cristo nell'incontro intimo con il Padre.101
La pietà, maggiormente orientata verso il mistero della salvezza, sia concretamente inserita nella vita, di cui non deve costituire solo un momento, ma essere l'anima che la vivifica integralmente.
Pur dando il giusto posto alla preghiera spontanea, va tenuto presente che è un'illusione e un errore fondamentale di psicologia e di ascetica credere che l'orazione, fatta nel momento della personale inclinazione, sia per ciò stesso più fruttuosa e che, viceversa, quella richiesta dalla regola comune non solo sia meno fruttuosa, ma produca anche la disaffezione dalla stessa.
Va certo coltivata la preghiera spontanea, ma soprattutto va suggerito il modo di renderla personale, interiore.
Bisogna che la pedagogia religiosa faccia vivere le pratiche di pietà come ricerca di vita evangelica, nella quale sinceramente si pone il colloquio con il Padre, per mezzo del Cristo, nello Spirito Santo.102
I seminaristi vanno formati a partecipare e vivere intensamente la vita liturgica e sacramentale, e non semplicemente ad assistere alle sacre funzioni.
Se un giovane non si trovasse nella disposizione di cercare e seguire il Cristo, la liturgia gli apparirebbe forse una fastidiosa esteriorità.
Al contrario, gli esercizi di pietà e gli atti liturgici vanno programmati e proposti in modo che siano convenienti ai giovani, e questi li compiano con animo lieto e volonteroso,103 perché educati al senso liturgico come ad un modo comunitario di vivere in Dio.
Il ministero del sacerdote, prima ancora di essere opera dell'uomo, è opera del Cristo in persona; perciò il sacerdote deve compierlo secondo lo spirito di lui, sommo sacerdote e pastore eterno.
Da ciò si comprende quale profondità debba regnare nell'intimità tra il Cristo e il sacerdote.
Ora tutta l'opera educativa nel seminario tende a fare acquistare questa perfezione: vivere interiormente la vita del Signore e prepararsi ad esercitare il ministero sacerdotale nel suo spirito.104
Ponendosi in presenza di Dio nel Cristo, il seminarista ami meditare la parola rivelata, cercando di applicarla alle situazioni del giorno, sia da solo sia in gruppo.105
Si abitui a considerare tutta la vita cristiana ( costumi, istituzioni, persone e dottrina ) alla luce del vangelo, nella consapevolezza che è la parola di Dio che giudica e converte la Chiesa.
E a questo principio ispirerà tutta l'attività personale e apostolica.
La comunione con il Redentore non consiste solo in una comunione con il suo pensiero, ma soprattutto in una comunione con la sua vita di carità, di cui il mistero pasquale è come l'atto centrale, l'espressione più autentica e più forte ( Rm 6,2-11 ).
Dopo il battesimo, il cristiano e tanto più il sacerdote non possono rimanere semplici spettatori di questo mistero, ma devono parteciparvi configurandosi a Colui che è morto per i peccati e risuscitato per la gloria del Padre, diventando così sua manifestazione nel mondo ( Fil 3,8-11; 2 Cor 4,10; 2 Cor 3,18 ).
Questa partecipazione battesimale e presbiterale si realizza solo con il concorso dello Spirito Santo, poiché il mistero pasquale non diviene nostro che per opera di Colui che ne è l'artefice, cioè lo Spirito Santo.
Questa spiritualità deve guidare dal di dentro la vita di coloro che sono chiamati al sacerdozio ministeriale.
Al seminarista d'oggi è particolarmente necessaria una « sintesi vitale di fede », personalmente scoperta e capace di illuminare la sua vita concreta; una fede la quale non si limiti ad aderire a determinati contenuti, ma sia esercizio cristiano di scelta e di fiducia nel Cristo e nella sua Chiesa.
Una grave crisi affettiva sacerdotale presuppone sempre un indebolimento o un offuscamento della fede.
Lo studio della teologia è chiamato a favorire lo spirito di fede nei seminaristi.
Si curi perciò un'introduzione al mistero del Cristo106 e alla storia della salvezza, che, mentre giova alla formazione spirituale del seminarista, deve presentargli una visione unitaria e organica degli studi sacerdotali.
La scuola quindi deve cercare di offrire al giovane, mediante un'esposizione sistematica, un sapere organico teologico e, insieme, una iniziazione alla ricerca ( biblico-patristica, storica, sociologica ), così da far acquistare un senso personale critico di valutazione del pensiero moderno.
Il tutto serva sempre a coltivare una fede profonda, aperta alle necessità dell'oggi, e sempre alimentata dall'amore del Cristo operante nella sua Chiesa.107
Questi appelli, riguardanti il clima spirituale del seminario, non possono essere considerati come estranei al problema della formazione alla castità.
Se il seminario non riesce a realizzare un tale clima e se il futuro sacerdote non ne risulta come impregnato, la castità, privata della sua linfa, non ha veramente alcuna prospettiva di sopravvivenza.
Il seminarista ha bisogno di essere immerso in un ambiente di carità apostolica.
È compito del seminario fargli sperimentare come la sostanza del vivere sacerdotalmente nel celibato e cristianamente nello spirito del Cristo si riduca ad un unico denominatore: praticare e testimoniare la carità ecclesiale nel Signore.
La carità vissuta, dono dello Spirito Santo, consente di educare, convertire e santificare sé e gli altri.108
I superiori del seminario devono svelarsi al seminarista non tanto come coloro che danno ordini, direttive, ammonimenti e punizioni, quanto piuttosto come coloro che suscitano unione caritativa nei sudditi, testimoniandola soprattutto con la condotta personale.
Nella misura in cui si hanno responsabilità direttive, si è tenuti anche ad essere principio più profondo di unità caritativa.109
Il seminarista, qualora abbia gustato la carità del Signore attraverso il volto sacerdotale del suo educatore, saprà esprimerla domani nel presbiterio in unione con il vescovo e comunicarla ai propri fedeli.110
Per la stessa carità, sperimentata in seminario e nella diocesi, il sacerdote vivrà serenamente la sua vita celibataria, senza nostalgia della vita nello stato laicale.111
La formazione spirituale da impartirsi ai seminaristi deve essere orientata al fine pastorale e concepita in funzione della futura vita sacerdotale.
I sacerdoti sono dei qualificati costruttori della comunità ecclesiale: per tale ministero non solo è stata loro conferita una potestà spirituale ( 2 Cor 10,8; 2 Cor 13,10 ), ma essi stessi sono tenuti ad « avere con tutti dei rapporti improntati alla più delicata bontà, seguendo l'esempio del Signore ».112
La vita comunitaria del seminario, animata da sincera carità cristiana, irradiante una grande virtù apostolica, dovrà essere come una preparazione, quasi un preludio, a questa comunione fraterna nel lavoro apostolico.113
Per questa ragione gli alunni si sentiranno legati alla diocesi, interessandosi dei suoi problemi pastorali, acquistando così una spiritualità diocesana, radicata cioè nel futuro campo di lavoro.114
L'unione a Dio nella preghiera, l'amore del silenzio e delle cose spirituali non impediscono, ma richiedono un interesse apostolico per le vicende della società umana e per i segni dei tempi, che costituiscono un appello alla carità pastorale del futuro sacerdote, al suo servizio sincero e disinteressato.115
Il seminarista colga il rapporto che c'è tra il suo celibato volontario e la carità apostolica.
Infatti, il celibato volontario è una testimonianza d'amore, « una risposta d'amore all'amore » del Cristo, in cui la capacità di donazione, che è soltanto della creatura umana, riceve dalla grazia una nuova incomparabile forza.116
La perfetta castità è vissuta dal sacerdote « non per disprezzo del dono della vita, ma per amore superiore alla vita nuova sgorgante dal mistero pasquale ».117
Il sacrificio dell'affetto umano è, in tal caso, compiuto per il Signore e quindi per la Chiesa, anzi per tutta l'umanità, alla quale il sacerdote sacrifica altri vincoli e pur legittimi affetti.118
L'esempio del supremo pastore mette in evidenza quanto ha di sovrumano la missione redentrice nella quale i sacerdoti devono entrare.
La radice primordiale della condizione pastorale e del suo esercizio non può essere che una consacrazione vivente e totale al Cristo, dato dal Padre al mondo.119
Il sacramento che costituisce pastori fa, di un battezzato, un « eletto dal Cristo » per la salvezza dei fratelli, un « impegnato » di Gesù Cristo nell'amore fraterno ( Fil 3,12; Gal 1,10; Gal 5,13 ).
Una vita di totale sottomissione alle esigenze dell'amore del Signore dispone all'azione della grazia, e il vivere sempre meno per sé e sempre più per lui la fa fruttificare ( 2 Cor 5,14-15 ).
I pastori devono essere continuamente formati ad una disponibilità e ad un'energia di donazione, che, per sua natura, è totalitaria; devono sapere che il « sì » detto al vescovo, che impone le mani, è l'assenso all'impegno permanente e virtualmente totale dell'Amore salvatore.
Nella preghiera sacerdotale di Gesù è impossibile dissociare il « per loro » dall' « io consacro me stesso ».
Così deve essere anche nella formazione dei sacerdoti: non si dissocerà la consacrazione a Dio dal servizio dei fratelli, ma anzi si fonderà totalmente questo in quella.
I seminari hanno sempre cercato di preservare gli alunni dall'influsso mondano, favorendo un clima di raccoglimento adatto alla loro vita interiore.
Accanto a questa preoccupazione - in ogni tempo valida e doverosa - si sente anche la necessità di porre il seminarista in contatto con il mondo nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali vive la famiglia umana.
Infatti, tra le esigenze fondamentali della formazione seminaristica vi è questa: che non si può, né si deve, pretendere di mantenere delle separazioni che sono diventate chimeriche.
Non si può fare astrazione dalla situazione delicata, qualche volta critica, della fede nel mondo attuale.
I giovani non possono ignorare la realtà del mondo in cui sono chiamati ad operare, e non devono ignorarlo, perché la presentazione della fede non può non tener conto delle condizioni degli uomini ai quali si rivolgeranno.
Perciò la formazione dei futuri sacerdoti dovrà comportare una lucidità, una franchezza, un coraggio e certe caratteristiche che non richiedeva nel passato.120
Il seminarista dovrà essere aiutato a superare i possibili rischi, le deviazioni e gli equivoci mediante una formazione positiva, teologicamente fondata, circa le scelte che egli si prepara a fare definitivamente con la sacra ordinazione.
Ciò che lo spinge a prendere la decisione fondamentale di abbracciare il sacerdozio sarà non il timore o l'ignoranza del mondo o il disconoscimento delle realtà, ma una serena visione di ciò che è la sua persona inserita nel mondo e delle sue relazioni con gli altri.
L'isolamento totale nel seminario impedisce al seminarista di assimilare il senso dei problemi della propria generazione;
tende a creare convenzionalità di rapporti vicendevoli secondo prefissate norme di comportamento;
priva il candidato della possibilità di maturare responsabilmente la sua vocazione, raffrontandosi con l'ambiente esterno;
non facilita una conoscenza concreta della vita e degli uomini, tra i quali il seminarista svolgerà il suo apostolato;121
non gli consente di comprendere le tentazioni degli uomini, così che da sacerdote non sentirà interesse per i problemi degli altri;
espone i giovani al pericolo di formarsi uno spirito di ceto privilegiato.
Il rapporto umano non è unicamente uno strumento di apostolato; esso è un valore a sé stante sotto l'aspetto teologico.
Il cristiano, immagine di Dio nel Cristo, è chiamato ad essere nel mondo espressione dell'amore del Cristo per gli uomini; nell'amore per gli altri, infatti, egli si realizza nel Cristo come nuova creatura.
Lo stesso stato sacerdotale esprime la missione a vivere caritativamente in contatto amichevole, in intimità serena, in affetto fraterno e in comunione familiare.
Proprio per la necessità che l'educazione si compia a contatto con gli uomini d'oggi, il magistero ecclesiale ha invitato a formare i seminaristi alla socialità; ha raccomandato la loro formazione alle virtù umane sociali, quali l'amicizia, la lealtà, la fedeltà alla parola data, la capacità di donarsi agli altri con generosità e costanza.122
In ordine ai candidati alla vita sacerdotale, la famiglia ha un ruolo importante e offre occasioni decisive: ad esempio, la possibilità di scoprire concretamente il senso, il valore e i sacrifici dell'amore umano; la fondamentale esperienza e stimolazione di un rapporto affettivo; la possibilità di conoscere particolari aspetti della psicologia femminile.
Per l'educazione del candidato è particolarmente importante, oggi, il tempo che egli trascorre in famiglia, non solo durante le vacanze estive, ma anche durante l'anno scolastico.
È il tempo di facili e svariati incontri sociali, in cui egli svolge attività di svago o di lavoro e di apostolato; in cui sperimenta la validità e l'opportunità dei consigli ricevuti in seminario.
Questa funzione educativa, qualora venga debitamente esercitata, ha anche l'effetto di potenziare la responsabilità e la vita spirituale dei familiari e dei sacerdoti della parrocchia.
La famiglia dovrebbe essere il « giardino » in cui le vocazioni sorgono e crescono, « come il primo seminario », e dovrebbe essere la migliore collaboratrice del seminario.123
Tuttavia, vanno tenute presenti molte e gravi carenze educative delle famiglie d'oggi, per cui tante volte è proprio la famiglia a distruggere quanto il seminario tenta di edificare.
Per poter fare affidamento sulla famiglia, come fattore integrativo e sostenitore della formazione e della perseveranza del futuro sacerdote, occorre svolgere un'adeguata pastorale familiare.
Uno degli obiettivi principali della pastorale delle vocazioni ecclesiastiche consiste precisamente nel suscitare la collaborazione delle famiglie, in particolare nel creare nei genitori la coscienza dell'apporto che essi sono in grado e in dovere di dare per favorire il sorgere e il crescere delle vocazioni sacre.
Il compito dei genitori in rapporto alla vocazione ecclesiastica dei figli è molteplice, perché essi sono chiamati a preparare, coltivare e difendere le vocazioni, che Dio suscita nella loro famiglia.
Devono quindi arricchire se stessi e la loro famiglia di importanti valori spirituali, morali e pedagogici, quali una religiosità convinta e profonda, una condotta morale esemplarmente cristiana, una coscienza apostolica ed ecclesiale, una buona preparazione pedagogica e un'esatta concezione della vocazione.
Nella comunità ecclesiale il cristiano vive la sua esperienza di fede e coglie l'invito a collaborarvi per estendere i benefici della salvezza.
Una comunità di vita in cui i vari ruoli, sia dei sacerdoti sia dei laici, siano correttamente vissuti, e in cui la presenza del Signore sia al centro di ogni attività, aiuterà ciascuno a prendere coscienza della dimensione ecclesiale della propria vocazione.
Anche la comunità parrocchiale, quindi, è chiamata a dare una valida collaborazione allo sbocciare delle vocazioni sacerdotali, alla loro perseveranza e al loro graduale inserimento nell'azione apostolica con tutte le forze vive della comunità stessa.124
Detto scopo sarà conseguito efficacemente a queste condizioni: se la parrocchia formerà una vera comunità, caratterizzata da fede viva, debitamente orientata verso la realizzazione del regno di Dio; se i sacerdoti della parrocchia influiranno sull'animo dei giovani con l'esempio di una vita santa e con l'impegno dell'azione pastorale; se i fedeli si interesseranno del problema vocazionale, pregheranno per le vocazioni, per la santificazione dei sacerdoti e porteranno un efficace contributo alle esigenze pastorali della comunità ecclesiale.
Il seminario dovrà essere una comunità aperta alla vita d'oggi, cioè dovrà mantenere contatti e collegamenti in varie direzioni: con la famiglia degli alunni, con il mondo giovanile, con la vita ecclesiale, sia locale sia universale, e con i problemi dell'umanità.125
Dicendo che il seminario non è una istituzione « chiusa », ma « aperta », si intende parlare di un'apertura non in modo acritico, ma in modo riflesso.
Ciò significa anzitutto che gli alunni siano formati in maniera da diventare capaci di un genuino contatto umano e sacerdotale con gli uomini, capaci di un'apertura di spirito verso i loro problemi e capaci di dialogo.126
Il sacerdote è chiamato ad operare nel mondo, capirlo, accoglierlo, ma insieme a svolgervi una missione che lo distingue da esso.
Non può essere in tutto « come loro ».
Vivendo nel mondo in modo responsabile, il sacerdote vi si sente solidale e, allo stesso tempo, solitario.
La sua opera si apre simultaneamente sulla comunità umana e sulla comunione dei santi: vive fra gli uomini, ma mantenendosi al cospetto di Dio.127
Il seminarista deve essere educato a vivere nell'ambiente profano con spirito sacerdotale e formato in modo da saper assumere comportamenti propri, vivendo fra gli altri ed esprimendovi risposte personali suggerite dall'io interiore spirituale.
Il processo educativo del seminario tenderà quindi a sviluppare la capacità di autonomia spirituale di fronte alle pressioni ambientali.
Gli alunni dal tempo del seminario impareranno a mettersi in contatto con gli uomini con sguardo apostolico.
A tale fine, il Concilio Vaticano II ha auspicato che i seminaristi vengano introdotti nell'apostolato, non tanto per integrare le forze operanti parrocchiali, quanto soprattutto per creare in essi una mentalità pastorale all'incontro con gli altri, per suscitarvi il gusto della carità apostolica come anima del proprio dovere e per incrementarvi l'assillo di ricercare un metodo apostolico adatto alle necessità nuove.128
Perché si possano conseguire tali obiettivi di formazione, è necessario che le parrocchie scelte per le esercitazioni pastorali siano veramente capaci di suscitare nel seminarista lo spirito missionario, la carità apostolica e una tecnica aggiornata attraverso una revisione critica.129
La stessa vita celibataria deve essere collegata con la personale missione apostolica.
Per conseguire uno scopo così alto, qual è la formazione pastorale del sacerdote, occorrono educatori qualificati, animatori che assistano gli alunni e siano responsabili della riflessione e dell'impegno pastorale.
Nessuna regola e nessuna apertura è concepibile, se i seminari non dispongono di uomini che abbiano il senso e il dono dei veri educatori.130
Gli strumenti di comunicazione sociale hanno un ruolo importante nella formazione dell'uomo d'oggi, e anche del sacerdote, non essendo evidentemente estranei al problema della formazione alla castità perfetta: essi, infatti, sono oggi assai largamente impiegati anche al servizio della sessualità.
Il problema quindi tocca l'aspetto personale del sacerdote che userà, volente o nolente, di questi strumenti e sarà soggetto al loro influsso; tocca anche l'aspetto pastorale del sacerdote il quale, come pastore, sa che detti strumenti contribuiscono ad informare, a formare e maturare in senso sociale i suoi fedeli, e che egli deve essere in grado di aiutarli sia a trarre profitto da queste nuove risorse sia a guardarsi da ciò che il loro influsso potrebbe avere di nocivo.131
Non soltanto per la propria formazione, ma anche per una vera preparazione all'apostolato conviene che gli aspiranti al sacerdozio siano iniziati all'uso degli strumenti di comunicazione sociale; e, in generale, siano esercitati nell'arte di comunicare a voce e in iscritto il pensiero agli uomini del nostro tempo in modo adatto alla mentalità moderna.
Evidentemente si tratta di un problema di enorme ampiezza e gravità, se si tiene conto della reale situazione della stampa attuale e della diffusione e incisività della radio e della televisione.
L'ambiente esterno e quello interno di una comunità seminaristica sono strettamente dipendenti dall'uso di questi strumenti, i quali largamente influiscono sulla formazione o sulla deformazione dei candidati al sacerdozio.
Il problema pedagogico degli strumenti di comunicazione sociale non può quindi ridursi soltanto ad una regolamentazione disciplinare nell'uso dei medesimi: è soprattutto un problema di educazione positiva, di riflessione sul fenomeno sociale nel quale siamo immersi; problema di preparazione e di cultura di maestri capaci di curare questo aspetto della formazione.
Si tratta non solo di limitare i danni di uno strumento, che può essere pericoloso, ma di educare uomini adatti a vivere responsabilmente nella concretezza della realtà quotidiana.
Indice |