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Scritta nello stesso tempo.
Agostino risponde ai cinque quesiti di Onorato, tratti dal Salmo 22, dal Vangelo e da S. Paolo, non risolvendoli uno indipendentemente dall'altro ma relativamente a un sesto, aggiunto da lui stesso, sulla grazia della Nuova Alleanza per confutare i Pelagiani che la negavano ( n. 1-2 ).
Dopo alcune considerazioni sui beni temporali ( n. 3-5 ), introduce la soluzione del quesito relativo all'incarnazione del Verbo, apportatore della grazia della Nuova Alleanza, per cui si diventa figli di Dio ( n. 6-13 ); spiega quindi i vari versetti del Salmo 22, inserendovi lunghe digressioni sulla differenza della spiritualità nell'Antica e nella Nuova Alleanza ( n. 14-73 ).
Espone infine la parabola delle vergini sagge e stolte, sempre in connessione con la grazia della Nuova Alleanza ( n. 74-85 ).
Mi hai proposto, fratello mio dilettissimo Onorato, cinque quesiti da spiegare a fondo e da risolvere, presi qua e là ( nella S. Scrittura ), così come hanno potuto lasciarti perplesso nel leggere o venirti in mente nel meditare, e li hai spiattellati per così dire alla rinfusa sotto i miei occhi.
Se volessi risolverli in una ordinata dissertazione, non uno alla volta e punto per punto, come mi sono stati proposti, ma concatenati e connessi tra loro, come in un solo discorso continuato, potrebbe sembrare un'impresa difficile.
Eppure penso di poter più facilmente risolverli se farò in questo modo.
I quesiti infatti si aiutano l'un l'altro se l'uno dipenderà dall'altro, finché tutti non giungano nel filo ordinato del discorso non isolatamente, in punti separati come se ciascuno si preoccupasse del proprio scopo particolare, ma avendo di mira uno scopo unico e collaborando insieme in virtù del loro rapporto comune e della verità indivisibile.
Era dunque tuo desiderio che ti esponessi e ti spiegassi per scritto - come mi hai ricordato - il significato dell'esclamazione del Signore: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ( Sal 22,2; Mt 27,46; Mc 15,24 ) il senso delle parole dell'Apostolo: ( Prego Dio ) che, radicati e fondati nella carità, possiate comprendere con tutti i santi quale ne sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità; ( Ef 3,17 ) quali siano le cinque vergini stolte e quali le sagge; ( Mt 25,2 ) quali siano le tenebre esterne; ( Mt 22,13 ) come si debba intendere infine l'espressione: Il Verbo si fece carne. ( Gv 1,14 )
Ecco i cinque quesiti da te proposti e da me adesso ricordati.
Se non ti dispiace, aggiungiamone anche un sesto, ed esaminiamo soprattutto " quale sia la grazia della Nuova Alleanza ".
Sarà bene che tutti gli altri quesiti tengano presente quest'ultimo, e ciascuno di essi, come meglio potrà, ci rechi aiuto per la soluzione di questo, non già nell'ordine da te proposto e da me ricordato, ma ciascuno risponda quando sarà necessario, come se fosse chiamato, e adempia il compito che gli spetta.
Cominciano dunque il discorso nel modo seguente.
C'è nell'uomo una vita, per così dire, aggrovigliata nei sensi della carne, dedita ai godimenti materiali, che rifugge i mali fisici e va a caccia dei piaceri.
La felicità di una vita siffatta dura solo per poco; è inevitabile che l'esistenza cominci con la vita carnale, ma dipende dalla volontà il persistervi.
Vi è gettato il bambino uscendo dal seno materno e, per quanto gli è possibile, cerca di evitarne i dolori, ne desidera i piaceri: non è in condizione di fare di più.
Ma quando giunge all'età nella quale in lui si desta l'uso della ragione, con l'aiuto di Dio potrà scegliere volontariamente l'altra vita, la cui gioia risiede nella mente e la cui felicità è intima all'anima ed eterna.
Poiché l'uomo è dotato di un'anima razionale, l'importante è sapere dove preferisce rivolgere con la volontà l'uso della ragione stessa: se verso i beni della natura esteriore e di minor valore o verso i beni della natura interiore e di maggior valore; se vuole cioè tendere al godimento dei piaceri sensuali e temporali o di quelli divini ed eterni.
L'anima umana è situata come nel mezzo, avendo al disopra il Creatore di sé stessa e della natura, al di sotto la natura corporea.
L'anima razionale può fare anche buon uso della felicità temporale e corporale, qualora non si dia in balìa della creatura trascurando il Creatore, ma ponga piuttosto la felicità a servizio della sua bontà.
Allo stesso modo che sono buone tutte le cose create da Dio, a partire dalla creatura razionale sino al corpo più vile, così l'anima razionale si comporta bene nei riguardi di queste qualora osservi l'ordine, e distinguendo, scegliendo, giudicando, subordini le cose più futili alle più nobili, le corporali alle spirituali, le inferiori alle superiori, le temporali alle eterne; eviterà così di far decadere se stessa e il corpo dalla sua nobiltà col disprezzo dei beni superiori e la brama di quelli inferiori ( in tal modo essa diventa più vile ) mentre con l'amore regolato otterrà piuttosto di mutar in meglio se stessa e il corpo.
Poiché tutte le sostanze sono buone per natura, viene onorato il lodevole ordinamento che regna in esse, ma ne viene condannato il colpevole sovvertimento.
L'anima tuttavia, pur usando male delle cose create, non può eludere l'ordinamento stabilito dal Creatore, poiché se essa fa cattivo uso delle cose buone, Egli fa buon uso anche delle cattive; essa quindi, usando male le cose buone, diviene cattiva, mentre Egli rimane sempre buono, usando ordinatamente anche le cose cattive.
Mi spiego: chi si mette fuori dell'ordine mediante l'ingiustizia dei peccati, è fatto rientrare nell'ordine mediante la giustizia dei castighi.
Volendo Dio mostrare come anche la felicità terrena e temporale è suo dono e bisogna solo sperarla da Lui, stimò bene di organizzare nelle prime età del mondo l'Antica Alleanza che fosse adatta all'uomo antico, da cui codesta vita deve necessariamente cominciare.
Ma viene proclamato che la prosperità dei Patriarchi fu concessa per grazia di Dio, sebbene essa avesse attinenza con questa vita transitoria.
Quei doni erano promessi e concessi bensì palesemente, ma segretamente per mezzo di tutti quei doni veniva preannunziata allegoricamente la Nuova Alleanza e ciò veniva compreso dall'intelligenza di alcune poche persone fatte degne del dono della profezia dalla grazia di Dio.
Quei santi dunque vivevano secondo le regole dell'Antica Alleanza, in armonia con ciò che era conveniente a quei tempi, ma già facevano parte della Nuova Alleanza, poiché anche quando vivevano nella felicità temporale, comprendevano che la felicità vera e da preferire era quella eterna: e se ne servivano in rapporto a quella di cui era simbolo, per conseguire quella del premio.
Se talvolta dovevano soffrire delle contrarietà, le sopportavano perché, liberati dall'aiuto evidentissimo di Dio, lo glorificassero come dispensatore di tutti i beni, non solo di quelli sempiterni che religiosamente speravano, ma anche di quelli temporali, che godevano secondo il loro significato profetico.
Ma quando giunse il compimento dei tempi, in cui ormai si rivelava nella Nuova Alleanza la grazia che si nascondeva sotto i veli di quella Antica, Dio mandò il Figlio suo, nato da donna, ( Gal 4,4 ) termine questo con cui nella lingua ebraica, secondo il suo particolare modo di espressione, è chiamata ogni donna, ragazza o maritata.
Per comprendere bene quale Figlio fu inviato da Dio che volle nascere da donna e quanto è grande quel Dio che si degnò di assumere l'umile nostra natura per la salvezza dei fedeli, fa attenzione ora a ( quanto dice ) l'Evangelo: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio.
Tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di quanto è stato creato.
In Lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini, e la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta. ( Gv 1,1-5 )
Questo Dio dunque, Verbo di Dio, per mezzo del quale fu creata ogni cosa, è il Figlio di Dio immutabile, presente dovunque, non racchiuso da nessun luogo né diffuso nelle sue parti dappertutto, come se avesse una parte minore in un luogo più piccolo e una maggiore in un luogo più grande, ma intero ovunque e in tal modo presente pure nella mente degli empi, benché questi non lo veggano, come neppure la luce materiale è percepita dagli occhi dei ciechi, anche se viene loro messa davanti.
Egli risplende dunque anche in quelle tenebre a cui accenna l'Apostolo quando dice: Un tempo siete stati tenebre, ma ora siete luce, per grazia del Signore, ( Ef 5,8 ) ma siffatte tenebre non la accolsero.
Il Verbo assunse pertanto la natura umana, che poteva essere veduta dagli uomini affinché, guariti per mezzo della fede, riuscissero in seguito a scorgere ciò che allora non erano in grado di vedere.
Ma per allontanare il pericolo che l'uomo Cristo, per il fatto stesso di apparire visibilmente, non fosse creduto anche Dio e gli fosse reso solo l'omaggio che si rende a un uomo, per quanto dotato della più alta grazia e sapienza, fu mandato da Dio un uomo, il cui nome era Giovanni.
Questi venne come testimone a rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce, ma l'inviato per rendere testimonianza alla luce. ( Gv 1,6-8 )
A dare testimonianza di Colui che non era soltanto uomo, ma anche Dio, occorreva che fosse inviato un uomo così grande che si potesse dire di lui che fra i nati di donna non era sorto alcuno più grande di Giovanni, ( Mt 11,11 ) affinché si capisse che Colui al quale Giovanni, più grande degli altri, rendeva testimonianza, lo sorpassava in grandezza, perché non era solo uomo, ma anche Dio.
Era dunque luce anche Giovanni, ma tale luce quale il Signore stesso proclamò, quando disse: Egli era la lampada ardente e splendente, ( Gv 5,3 ) come disse pure ai suoi Apostoli: Voi siete la luce del mondo, e per mostrare quale specie di luce essi fossero, soggiunse: Nessuno accende una lucerna e la pone sotto il moggio, ma sul candeliere, per far lume a tutti quelli che sono in casa; così la vostra luce risplenda agli occhi degli uomini. ( Mt 5,14-16 )
Queste similitudini ci sono state offerte per farci capire, per quanto possiamo o, se non riusciamo ancora a capire, per farci credere senza alcun dubbio che l'anima razionale non è la sostanza di Dio, poiché questa è immutabile; essa tuttavia può essere illuminata, ricevendo parte della luce divina.
Le lampade infatti hanno bisogno di essere accese e possono spegnersi.
Perciò l'espressione riferita a Giovanni: Non era lui la luce, sta a significare la luce che non si accende ricevendo la luce, ma quella di cui partecipano tutte le cose che vengono illuminate da essa.
È detto in seguito: Egli era la luce vera; come se volesse rispondere alla domanda in che modo si possa distinguere la luce originaria da quella partecipata, cioè Cristo da Giovanni, soggiunse: Era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. ( Gv 1,9 )
Se illumina ogni uomo, illuminò anche Giovanni.
Per mostrare l'immensa distanza tra Giovanni e la divinità di Cristo: Egli era nel mondo - dice il Vangelo - e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, ma il mondo non l'ha conosciuto.
Non fu il mondo creato da Lui che non lo conobbe poiché solo una creatura dotata di ragione possiede la capacità di conoscerlo, benché anche il nostro mondo visibile, cioè il cielo e la terra, sia stato creato da Lui.
Ma Giovanni, rimproverando il mondo che non lo conobbe, intese alludere agli infedeli che sono nel mondo.
L'Evangelista poi aggiunge: È venuto nella sua casa, ma i suoi non Io hanno accolto. ( Gv 1,11 )
Per " suoi " forse volle intendere gli infedeli stessi che, in quanto uomini, appartengono a Dio dal quale sono stati creati, o forse anche in modo speciale i suoi Giudei, dai quali assunse la natura umana, ma tuttavia non furono tutti ad accoglierlo, poiché l'Evangelista prosegue dicendo: Però a quanti lo hanno ricevuto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome; essi non da sangue né da volontà di carne né da volere d'uomo, ma da Dio sono nati. ( Gv 1,13 )
È questa la grazia della Nuova Alleanza, che era nascosta nell'Antica e non cessò tuttavia di essere profetizzata e annunziata per mezzo di figure simboliche, che l'adombravano, affinché l'anima comprendesse il suo Dio mediante la sua grazia e rinascesse a Lui: nascita, questa, spirituale in quanto non proviene da sangue né da volere d'uomo né da volere di carne, ma da Dio.
Questa nascita si chiama anche adozione.
Noi infatti eravamo qualche cosa prima d'essere figli di Dio e abbiamo ricevuto il beneficio di diventare quello che non eravamo, allo stesso modo che l'adottato, prima dell'adozione, non era ancora figlio di chi lo avrebbe adottato e nondimeno esisteva già per essere adottato.
In questa generazione ch'è dono di grazia non rientra quella del Figlio che, pur essendo Figlio di Dio, venne per farsi figlio dell'uomo e per concedere a noi, che eravamo solo figli dell'uomo, il dono di diventare figli di Dio.
Quando egli divenne ciò che non era, era tuttavia già qualche cosa di diverso, e cioè il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto fu creato, e la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, e Dio presso Dio. ( Gv 1,9 )
Noi pure, per grazia di Lui, siamo diventati ciò che non eravamo, cioè figli di Dio: ma eravamo anche prima qualcosa, sebbene di gran lunga inferiore, cioè figli di uomini.
Egli dunque discese perché noi ascendessimo, e pur restando nella propria natura, divenne partecipe della natura nostra, affinché noi, pur conservando la nostra natura, diventassimo partecipi della sua.
Non è tuttavia da credere che la partecipazione alla natura umana abbia reso inferiore la natura del Verbo, mentre ha reso migliori noi il fatto che partecipiamo della sua natura di Dio.
Dio pertanto inviò il suo Figliuolo nato da donna, nato sotto la Legge. ( Gal 4,4 )
Egli accolse infatti i riti sacri della Legge, per riscattare quelli che erano soggetti alla Legge, cioè coloro che la Legge teneva schiavi della colpa a causa del senso letterale che uccide, dal momento che il precetto non veniva adempiuto prima che lo Spirito vivificasse, ( 2 Cor 3,6 ) poiché l'amore di Dio che adempie il precetto viene diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )
L'Apostolo perciò dopo aver detto: per riscattare quelli che erano soggetti alla Legge, subito aggiunse: perché noi potessimo ricevere l'adozione di figli. ( Gal 4,5 )
Volle cioè distinguere la grazia di questo beneficio dalla natura di Dio, che fu mandato non come Figlio che è tale secondo l'adozione, ma come Figlio eternamente generato, affinché, divenuto partecipe della natura dei figli degli uomini, li adottasse col renderli partecipi anche della sua natura.
Perciò l'Evangelista, dopo aver detto: Diede ad essi il potere di diventare figli di Dio, e dopo aver aggiunto di quale specie di nascita si trattasse, affinché non si intendesse la nascita carnale, e cioè che diede questo potere a coloro che credono nel nome di Lui e rinascono nella grazia spirituale, non dal sangue né da volere di uomo né da volere di carne, ma da Dio, subito mise in risalto il mistero di questo scambio; infatti, come se, rimasti stupiti da un beneficio così grande, non osassimo desiderarlo, l'Evangelista si affrettò ad aggiungere: E il Verbo si fece carne e abitò fra noi. ( Gv 1,14 )
Questa è una delle cinque questioni di cui desideri la spiegazione.
Sembra che Giovanni volesse dire: " O uomini, non disperate di poter diventare figli di Dio, dato che lo stesso Figlio di Dio, cioè il Verbo di Dio, sì fece carne e abitò fra noi.
Rendetegli il contraccambio, diventate spiriti e abitate in Lui, che si fece carne e abitò tra voi ".
Non bisogna più disperare che partecipando della natura del Verbo gli uomini possano diventare figli di Dio, dal momento che il Figlio di Dio, partecipando della natura umana, si fece figlio dell'uomo.
E così noi, mutevoli, diventiamo partecipi del Verbo cambiando in meglio, mentre il Verbo, immutabile, senz'affatto mutare in peggio, divenne partecipe della carne mediante l'anima razionale.
Poiché non è vero, come credono gli Apollinaristi, che Cristo come uomo non ebbe anima, e non l'ebbe razionale; ma la Sacra Scrittura, secondo la sua abitudine, usò il termine " carne " invece di " uomo " per far risaltare meglio l'umiltà di Cristo e per non dare l'impressione di respingere come indegno il termine " carne ".
In verità per il fatto che sta scritto: Ogni carne vedrà la salvezza mandata da Dio, ( Is 40,5 sec. LXX; Lc 3,6 ) non è detto che in questo passo non si devono intendere le anime.
Ora l'Evangelista dicendo: Il Verbo si fece carne, ( Gv 1,14 ) non disse nient'altro di diverso che: il Figlio di Dio si fece figlio dell'uomo.
Il quale - come dice l'Apostolo - essendo della stessa natura di Dio, non considerò questa sua eguaglianza con Dio come una cosa rubata.
Non si tratta infatti di un'usurpazione che potesse giustificare il termine " cosa rubata ", ma era una proprietà della sua natura l'essere uguale a Dio.
Con tutto ciò svuotò se stesso, senza perdere la natura di Dio, ma con l'assumere quella di schiavo: umiliò se stesso rendendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. ( Fil 2,6-8 )
Vedi come l'Apostolo insiste nel mettere in risalto l'uomo ch'è anche Dio, in modo che ne risulti un'unica persona per rappresentare non già la Trinità ma una quaternità senza che s'introduca una quarta persona nella Trinità.
Come il numero delle persone non cresce quando la carne si unisce all'anima per formare un uomo solo, così non cresce il numero delle persone quando l'uomo si unisce al Verbo così da formare un unico Cristo.
Quando perciò leggiamo: Il Verbo si fece carne dobbiamo intendere che si tratta di un'unica persona, non dobbiamo sospettare che la divinità si sia mutata in carne.
Cristo uomo, pertanto, affinché per mezzo suo si rivelasse la grazia della Nuova Alleanza, che non appartiene alla vita temporale ma all'eterna, non doveva manifestarsi con l'aureola della felicità temporale.
Ecco il perché dell'umiltà della sua passione, dei flagelli, degli sputi, degli oltraggi, della crocifissione, delle ferite e, come se fosse stato vinto e soggiogato, perfino della morte, affinché i suoi fedeli apprendessero quale premio della loro pietà dovessero chiedere e sperare da Dio, di cui erano diventati figli; per far loro comprendere che non dovevano servire Dio con lo scopo di ottenere qualcosa di temporale, di conseguire la felicità terrena, gettando via e calpestando la propria fede per stimarla degna solo di una ricompensa così bassa.
Ecco perché Dio onnipotente, nella sua infinitamente benefica Provvidenza, concesse la felicità terrena anche agli empi, perché non fosse ricercata dai buoni come una cosa di gran valore.
Ecco perché il Salmo settantaduesimo ci presenta una persona che si pente dopo aver servito un tempo Dio senza retta intenzione ma per la ricompensa terrena, perché vedendo che per causa di essa gli empi prosperavano e spiccavano tra gli altri, ne era rimasto turbato e aveva cominciato a pensare che Dio non si curasse della sorte degli uomini.
Avendolo però richiamato da questo pensiero l'autorità dei santi che hanno di mira solo Dio, prese a riflettere attentamente e a penetrare un mistero si grande, che non gli fu svelato durante la sua afflizione, finché non entrò nel santuario di Dio e non ebbe la chiara visione degli ultimi avvenimenti, fino a quando cioè, ricevuto lo Spirito Santo, non imparò a desiderare beni migliori e comprese quale tremendo castigo fosse destinato agli empi, anche a quelli che avessero prosperato in una felicità che inaridisce - per così dire - come paglia.
Leggi e medita attentamente questo Salmo settantaduesimo, esposto da me la notte precedente la festa del beatissimo Cipriano.
Cristo, vero uomo e vero Dio, dalla cui umanità piena di misericordia e dal cui aspetto di schiavo dovremmo imparare che cosa si deve disprezzare in questa vita e sperare nell'altra, perfino nella passione, nella quale i suoi nemici gli sembravano potenti e vincitori, fece sua la voce della debolezza umana, con cui nello stesso tempo veniva crocifisso il nostro uomo vecchio, affinché il corpo del peccato venisse distrutto, ( Rm 6,6 ) ed esclamò: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ( Sal 22,2 )
Anche questo è uno dei cinque quesiti propostimi da te.
Con questo versetto comincia il Salmo ventunesimo, composto tanto tempo prima dal Profeta sulla passione di Cristo e sulla rivelazione della grazia da Lui portata, per far diventare fedeli gli uomini e salvarli.
Volendo il Signore dimostrare che la profezia di questo salmo si riferiva a Lui, ne pronunciò ad alta voce il primo versetto, quando pendeva sulla croce.
Io lo esporrò spiegandolo versetto per versetto, affinché tu possa capire che la grazia della Nuova Alleanza non era taciuta neppure nel tempo in cui veniva adombrata da un velo nell'Antica Alleanza.
Poiché il contenuto è riferito alla persona di Cristo per quanto concerne la natura di servo, per mezzo della quale veniva portata la nostra salvezza.
Anche di Lui aveva detto Isaia: Egli porta la nostra infermità e per amor nostro si trova immerso nei dolori. ( Is 53,4 )
Col linguaggio dunque della nostra infermità, che il nostro Capo aveva fatta sua, Egli esclama in questo punto del salmo: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Poiché uno è abbandonato per il fatto che non è esaudito, come credeva essere stato abbandonato Paolo, non essendo stato esaudito riguardo a quanto chiedeva; ma con la stessa voce della nostra infermità sentì dirsi dal Signore: Ti basta la mia grazia, poiché la forza si perfeziona nella debolezza. ( 2 Cor 9,2 )
Egli infatti nell'elevare la sua preghiera è abbandonato in quanto non è esaudito.
Gesù fece sua questa voce, che è la voce cioè della sua Chiesa che doveva essere trasformata dall'uomo antico in quello nuovo, la voce cioè della sua debolezza umana, cui dovevano essere negati i beni dell'Antica Alleanza, perché imparasse ormai a desiderare e a sperare i beni della Nuova Alleanza.
Fra i beni dell'Antica Alleanza che riguardano l'uomo antico, v'è quello per cui si desidera soprattutto il prolungamento di questa vita temporale, per conservarla un po' più a lungo, giacché non è possibile vivere per sempre.
Ecco perché tutti sanno bensì che arriverà il giorno della morte, ma tutti o quasi tutti cercano di differirlo, anche coloro i quali credono che vivranno una vita più felice dopo la morte: tanta è la forza che esercita la dolce unione del corpo con l'anima!
Nessuno ebbe mai in odio la propria carne ( Ef 5,29 ) e perciò l'anima non vorrebbe distaccarsi neppure momentaneamente dalla debolezza del corpo, quantunque speri di riaverlo alla fine, eternamente, senza alcuna infermità.
Per tale motivo una persona timorata di Dio, la quale pur sottomessa con la mente alla legge di Dio, con la carne contrae i desideri peccaminosi, ai quali l'Apostolo vieta di obbedire, ( Rm 7,25 ) con la riflessione dell'anima desidera bensì ardentemente di essere sciolto dal corpo e di essere con Cristo ( Fil 1,23 ) ma con la sensibilità fisica si ribella e rifugge e, se fosse possibile, non vorrebbe essere spogliato ( del corpo ), ma avere un altro vestito sul primo, affinché ciò che è mortale fosse assorbito dalla vita, ( 2 Cor 5,4 ) vorrebbe cioè pure che il corpo, senza dover morire, fosse trasportato dalla sua infermità terrena allo stato di immortalità.
Ma l'espressione con cui si desidera una lunga durata della vita umana, è l'espressione dei peccati ed è lontana dalla salvezza, di cui non possediamo ancora la realtà, ma di cui nutriamo già la speranza, a proposito della quale sta scritto: Poiché siamo stati salvati nella speranza: ma non sarebbe più speranza se si vedesse ciò che si spera. ( Rm 8,24 )
Perciò nel salmo di cui parliamo, dopo le parole: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? rivolgi verso di me il tuo sguardo!, immediatamente si soggiunge: Lontano dalla mia salvezza è la voce dei miei peccati, vale a dire " questa è la voce delle mie colpe, che mi allontana dalla salvezza promessa dalla grazia della Nuova Alleanza, non dell'Antica ".
Tuttavia la frase potrebbe essere punteggiata anche così: Dio mio, Dio mio, rivolgi a me il tuo sguardo; perché mi hai abbandonato e stai lontano dalla mia salvezza?, come se dicesse: " Abbandonandomi, cioè non esaudendomi, ti sei allontanato dalla mia salvezza, vale a dire dalla salvezza di questa vita presente ".
Allora bisognerebbe intendere diversamente l'inciso verbale delictorum meorum, cioè: le parole da me pronunciate sono peccaminose poiché sono le parole dei miei desideri carnali.
Cristo pronunzia queste parole in nome del suo corpo, che è la Chiesa, le pronunzia in nome della debolezza della carne di peccato, che Egli trasformò in quella che prese dalla Vergine e che ha solo la somiglianza della carne del peccato.
Parla così lo sposo in nome della sposa medesima, poiché la unì a sé in qualche modo.
Anche nella frase d'Isaia: Mi cinse la mitra come ad uno sposo e mi adornò con le gioie come una sposa, ( Is 61,10 ) le parole mi cinse e mi adornò, sembrano la voce di uno solo, e tuttavia nello sposo e nella sposa intendiamo Cristo e la Chiesa.
Ma essi: saranno due in una sola carne, mistero grande - come dice l'Apostolo - in rapporto a Cristo e alla Chiesa; ( Ef 5,32 ) ormai non saranno più due individui, ma una carne sola. ( Mt 19,6 )
Se formano una carne sola, per analogia anche la loro voce è una sola.
Perché cerchi qui, o debolezza umana, la voce del Verbo che creò tutte le cose?
Ascoltavi piuttosto la voce della carne che fu creata tra tutte le cose, poiché il Verbo si fece carne ed abitò in mezzo a noi. ( Gv 1,14 )
Ascoltavi piuttosto la voce della medicina, da cui vieni guarito, perché tu sia in grado di vedere Dio.
Essa ha rinviato la possibilità di vedere Dio, mentre lo ha inviato per farlo vedere come uomo, l'ha consegnato perché fosse ucciso, ma l'ha presentato perché fosse imitato, l'ha sottratto alla vista perché Gli si credesse e con questa fede l'occhio della mente venisse guarito per vedere Dio.
Perché dunque disdegniamo di ascoltare dalla bocca del Capo la voce del corpo?
Quando soffriva per la Chiesa, era la Chiesa che soffriva in Lui; così pure quando la Chiesa soffriva per Lui, era Lui stesso che soffriva con la Chiesa.
Come abbiamo udito la voce della Chiesa che soffriva in Cristo: Dio mio, Dio mio, rivolgi a me il tuo sguardo; perché mi hai abbandonato? ( Sal 22,2 ) così abbiamo udito anche la voce di Cristo che soffriva nella Chiesa: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? ( At 9,4 )
Quando perciò Dio non esaudisce le preghiere di conservarci o farci ottenere i beni temporali, Egli ci abbandona in quanto non ci esaudisce; ma non ci abbandona per l'acquisto di beni migliori, che vuole che noi comprendiamo, preferiamo e bramiamo.
Ecco perché il salmo prosegue dicendo: Grido a Te durante il giorno senza che Tu mi esaudisca; ( Sal 22,3 ) così anche la notte, e anche qui è sottinteso: " senza che Tu mi esaudisca ".
Bada a ciò che soggiunge: e non ( lo farai ) per la mia insipienza.
Il senso è questo: non mi esaudirai allorché, durante il giorno, cioè nella prosperità, ti chiedo di non perderla, e neppure mi esaudirai di notte, cioè nelle avversità, ( quando ti supplico ) che torni la prosperità perduta.
Ma tu non fai questo, perché io non cada nell'insipienza, ma piuttosto perché sappia ormai cosa debba aspettarmi, desiderare e chiederti mediante la grazia della Nuova Alleanza.
Io grido che non mi siano tolti i beni temporali: Ma tu abiti nel santuario, o gloria d'Israele. ( Sal 22,4 )
Non voglio cioè che Tu mi faccia abbandonare le passioni, con cui ricerco la felicità carnale.
Ma questi desideri appartengono all'immondezza dei tempi antichi, mentre tu chiedi la purezza dei tempi nuovi.
Tu non abbandoni allorché non esaudisci i desideri impuri, poiché chiedi l'amore in cui abitare: l'amore di Dio è diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato largito. ( Rm 5,5 )
Perciò tu abiti nel santuario, o gloria d'Israele, gloria di coloro che ti vedono, perché non si vantano di sé ma di Te.
Che cosa infatti posseggono senza averlo ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
Chi si gloria, si glori dunque nel Signore. ( 1 Cor 1,31 )
Questa è la grazia della Nuova Alleanza.
Nell'Antica Alleanza, quando Tu o Signore, dimostravi che la felicità terrena e temporale si doveva chiedere e sperare da Te solo: In Te sperarono i nostri antenati; sperarono e li liberasti; alzarono a Te le loro grida e furono salvati; sperarono in Te e non furono confusi. ( Sal 22,5-6 )
In realtà colmasti di ricchezze i Patriarchi che vivevano in mezzo a popoli ostili, li liberasti dai nemici, facesti riportare loro gloriose vittorie e li salvasti dai diversi pericoli di morte.
Sostituisti a uno di loro, perché non fosse colpito dalla spada, un montone. ( Gen 22,13 )
Facesti alzare sano da un immondezzaio un altro di essi e gli rendesti il doppio di quanto aveva perduto. ( Gb 42,10 )
Conservasti sano e salvo un terzo in mezzo a leoni affamati. ( Dn 14,30 )
Udisti cantare le tue lodi con voce di gratitudine da altri che camminavano tra le fiamme. ( Dn 3,51 )
I Giudei aspettarono che miracoli simili si compissero in Cristo, per aver la prova ch'era veramente Figlio di Dio.
Nel libro della Sapienza sono poste in bocca ad essi queste parole: Condanniamolo alla morte più ignominiosa: ci sarà chi ascolterà le sue parole.
Se veramente è Figlio di Dio, questi lo difenderà e lo salverà dalle mani dei nemici.
Così pensarono - dice la S. Scrittura - ma sbagliarono, poiché rimasero accecati dalla loro malizia. ( Sap 2,18-21 )
Considerando solo il tempo dell'Antica Alleanza e la felicità temporale dei loro antenati, nella quale Dio mostrò che anche i doni da largire erano suoi, non capirono che era prossimo il tempo in cui sarebbe stato rivelato per mezzo di Cristo, che è precisamente Dio ( il quale dona anche agli empi i beni temporali ) a dare ai giusti i beni eterni.
Considera che cosa il Salmista, dopo aver detto: I nostri antenati sperarono in Te: sperarono e li liberasti, innalzarono a Te le loro grida e furono salvati, sperarono in Te e non rimasero confusi, aggiunge: Ma io sono un verme e non un uomo. ( Sal 22,7 )
Ciò sembra detto da Cristo semplicemente per metter in risalto la sua umiltà, per mostrarsi un essere quanto mai abietto e disprezzato agli occhi dei persecutori.
Ma non bisogna trascurare la sublimità e la profondità del significato misterioso e mistico soprattutto delle parole, che si adattano a un così grande Salvatore nella rivelazione fatta dal Profeta.
Gli esegeti precedenti hanno dato di ciò una spiegazione molto sottile: che cioè Cristo volle essere preannunciato con questo termine perché il verme nasce dalla carne senza accoppiamento dei due sessi, come nacque Lui dalla Vergine.
Ma Giobbe, nel suo libro, parlando delle creature celesti che al cospetto di Dio non sono pure nemmeno esse, esclama: Quanto più è putredine l'uomo ed è verme il figlio dell'uomo! ( Gb 25,5 )
Con la parola " putredine ", volle significare " mortalità ", che già reca congenita la necessità del morire, in cui l'uomo fu cacciato dal peccato.
Chiamò poi " verme nato dalla putredine ", quasi " putrido " il figlio dell'uomo, vale a dire " mortale per la sua mortalità ".
Per questo ci esortò a ricercare nelle parole del salmo un altro significato, fermo restando l'altro che non si deve condannare, in modo che consideriamo attentamente l'espressione: Ma io sono verme, e ciò che soggiunge: non uomo, alla stregua di quanto ricordato dal libro di Giobbe, come se dicesse: Ma io sono figlio dell'uomo e non uomo.
Non perché Cristo non sia uomo, poiché l'Apostolo dice di Lui: Uno solo è il Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo. ( 1 Tm 2,5 )
Infatti ogni figliuolo dell'uomo è uomo, ma la parola " uomo " si riferisce ad un individuo che era uomo senza essere figlio dell'uomo, cioè Adamo.
Forse dunque è stato detto: Ma io sono un verme e non uomo, cioè: io sono figlio dell'uomo e non uomo, come se dicesse: " Io sono Cristo, in cui tutti sono vivificati, non Adamo, in cui tutti muoiono". ( 1 Cor 15,22 )
Ormai quindi imparate, o uomini, a bramare la vita eterna mediante la grazia della Nuova Alleanza.
Perché volete, come se fosse chissà quale gran cosa, essere liberati dalla morte dal Signore, come lo furono i vostri antenati nella fede quando Dio Voleva far capire che Egli era il solo dispensatore anche della felicità terrena?
Quella felicità appartiene all'uomo antico, il quale ebbe inizio con Adamo: Ma io sono verme, non uomo, sono Cristo, non Adamo.
Siete stati antichi per la vostra discendenza dall'uomo antico; siate nuovi per mezzo dell'uomo nuovo: siete nati uomini da Adamo, ma siete rinati figli degli uomini da Cristo.
Non senza motivo il Signore nel Vangelo chiama se stesso molto familiarmente " figlio dell'uomo " ( Mt 17,9-12 ) anziché " uomo ", né senza motivo in un altro salmo si legge: Tu, o Signore, salverai gli uomini e i giumenti, come hai moltiplicato la misericordia, o Dio! ( Sal 36,7-8 )
Da Te infatti proviene anche la salute, che è comune agli uomini e ai giumenti, ma gli uomini nuovi ne hanno una propria, che concerne la Nuova Alleanza, diversa da quella comune alle bestie.
Gli uomini nuovi la posseggono interamente, poiché a proposito di essa è detto in seguito nel salmo: Ma i figli degli uomini spereranno sotto l'ombra delle tue ali.
Saranno inebriati dall'opulenza della tua casa e li farai bere al torrente delle tue delizie.
Poiché presso di Te è la sorgente della vita e nella luce tua vedranno la luce. ( Sal 36,8-10 )
Dicendo qui: Figli degli uomini, sembra distinguere gli " uomini ", dai " figli degli uomini ".
In realtà li volle chiamare " uomini " riguardo alla felicità che procede dalla salute comune agli uomini e ai giumenti, per far capire che appartenevano al primo uomo, da cui ebbe inizio l'età antica e la morte, e che fu uomo senza essere figlio dell'uomo.
Agli uomini nuovi invece che sperano un'altra felicità, cioè l'ineffabile gioia della sorgente della vita eterna e la luce dell'eterna luce, il Salmista diede il secondo nome, e li chiamò " figli degli uomini " piuttosto che " uomini ", il nome cioè col quale volle essere chiamato più familiarmente il Signore di coloro per i quali si manifestò una grazia così mirabile.
Non credere però che ci sia una regola quasi fissa nel modo di esprimersi della Bibbia, da osservare come norma perpetua, di modo che, dovunque tu leggerai il termine uomini o figli di uomini, tu debba interpretarlo sempre secondo la distinzione da noi fatta, ma dovrai attenerti al contesto, per cui se il senso è chiaro, lo si abbraccia, se invece è oscuro, lo si rintraccia.
Così ad esempio, nel passo citato del salmo, chi non è impressionato dall'intenzione di distinguere?
Dopo d'avere detto: In Te sperarono i nostri antenati e tu li liberasti; a Te alzarono le loro grida e furono salvati; in Te sperarono e non furono confusi; soggiunge: Ma io… Non dice " Ed io ", bensì: Ma io.
Che vuol dire dunque colui che si distingue in questo modo?
Ma io sono verme - dice - e non uomo.
Come se dicesse: per coloro che esaudisti e liberasti, avesti in pregio la felicità consentanea all'Antica Alleanza, da largire all'uomo antico, che cominciò da Adamo.
Io invece sono verme, cioè " figlio dell'uomo ", non uomo come Adamo, che non fu figlio dell'uomo.
Perciò nel salmo subito dopo si legge: Io sono l'obbrobrio degli uomini e il rifiuto della plebe.
Tutti coloro che mi vedevano, mi schernivano, sogghignavano con le labbra e scotendo la testa dicevano: Ha sperato in Dio, lo liberi lui, lo salvi, giacché lo ama. ( Sal 22,7-9 )
Ciò gli empi lo dicevano con le labbra, non col cuore, insultando ( Cristo ) per quello che non si verificava, non prestando fede al miracolo che si sarebbe avverato.
Sì avverò invece, ma come doveva avverarsi nel figlio dell'uomo, in cui era necessario che la speranza della vita eterna fosse rivelata in maniera conforme alla Nuova Alleanza, non come aspettavano i Giudei.
E siccome vedevano che il miracolo non si avverava, lo insultavano come un vinto, poiché appartenevano all'Antica Alleanza e all'uomo, in cui tutti muoiono, non al figlio dell'uomo, in cui saranno vivificati.
L'uomo difatti causò la morte a sé e al figlio dell'uomo, mentre con la sua morte e risurrezione arrecò vita all'uomo il figlio dell'uomo, obbrobrio degli uomini e rifiuto della plebe sino alla morte.
Volle soffrire al cospetto dei nemici questa umiliazione, perché lo stimassero abbandonato e venisse messa in risalto la grazia della Nuova Alleanza, per mezzo della quale avremmo potuto imparare a cercare un'altra felicità, che in questa vita è nella fede, ma dopo sarà nella visione di Dio.
Finché siamo nel corpo, dice l'Apostolo, siamo come esuli lontani da Dio, poiché camminiamo per fede, non già nella visione. ( 2 Cor 5,6-7 )
Adesso perciò viviamo nella speranza, ma in seguito saremo nella reale esistenza.
Cristo infine non volle manifestare ad estranei - estranei dico non per natura, ma per colpa, che è sempre contro la natura -, ma ai suoi discepoli la propria risurrezione, che non doveva essere differita tanto in là come la nostra, perché apprendessimo dall'esempio della sua carne che cosa dovremmo sperare per la nostra.
Morì dunque al cospetto degli uomini, ma risorse al cospetto dei figli degli uomini, poiché il morire è proprio dell'uomo, mentre il risorgere è proprio solo del figlio dell'uomo.
Poiché allo stesso modo che tutti muoiono in Adamo, così tutti saranno vivificati in Cristo. ( 2 Cor 1,22 )
Per esortare quindi con l'esempio della sua carne i suoi fedeli a disprezzare la felicità temporale per quella eterna, sopportò pazientemente sino alla morte i suoi persecutori e i suoi carnefici che lo beffeggiavano, come se fosse vinto e soppresso.
Col risuscitare poi la sua carne, col mostrarla ai discepoli che la videro e toccarono, con l'ascendere al cielo sotto i loro sguardi, volle confermarne la fede e mostrare loro con l'evidenza della verità che cosa dovevano aspettare e annunciare al mondo.
Coloro, invece, da parte dei quali aveva sofferto tanti mali sino alla morte e che si vantavano di averlo quasi vinto e soppresso, li lasciò in quella convinzione ma in modo che chiunque di essi volesse ottenere la salvezza eterna, credesse ciò che, riguardo alla sua risurrezione dalla morte, predicarono coloro che ne erano stati testimoni oculari attestandolo con la prova irrefutabile dei miracoli e che per testimoniare la loro predicazione non esitarono a sostenere tormenti della stessa specie.
Anche Giacomo, uno degli Apostoli di Cristo, nella sua Lettera, dove esorta i fedeli ancora viventi dopo la passione e risurrezione di Cristo, fece vedere la differenza del piano salvifico di Dio nell'Antica e nella Nuova Alleanza, dicendo: Avete sentito la pazienza di Giobbe e avete visto la fine ( riservatagli ) dal Signore. ( Gc 5,11 )
Non lo disse certo perché i fedeli sopportassero pazientemente i mali temporali con la speranza di riavere i beni, come quelli che - a quanto leggiamo nella S. Scrittura - ricevette Giobbe. ( Gb 42,10 )
Difatti egli si salvò dalle piaghe e dalla putredine e gli furono restituiti al doppio tutti i beni perduti.
Nel libro di Giobbe è anche esaltata la fede nella risurrezione, poiché i figli a lui restituiti, non in numero doppio, ma nello stesso numero di prima, significavano che sarebbero risorti anche quelli che aveva perduti: cosicché anche per questi ultimi, aggiunti ai primi, si poteva parlare di restituzione al doppio.
Affinché dunque non sperassimo una tale rimunerazione quando soffriamo mali temporali, non disse: " Avete sentito la pazienza e la fine di Giobbe", ma disse: Avete sentito la pazienza di Giobbe e avete sentito la fine ( riservatagli ) dal Signore, come se dicesse: sopportate i mali temporali come Giobbe, ma in premio della vostra pazienza non sperate i beni temporali che Giobbe ebbe raddoppiati, bensì gli eterni, che si avverarono prima nel Signore.
Giobbe era uno dei Patriarchi, che invocarono aiuto e furono salvati.
Quando Cristo dice: Io però sono un verme … indica abbastanza bene con quale specie di salvezza vuol farci intendere che quelli furono salvati, in rapporto alla quale Egli fu precisamente abbandonato.
Ciò non vuol dire che gli antichi Patriarchi non avessero parte alla salvezza eterna, ma allora era nascosto ciò che si sarebbe rivelato per opera di Cristo.
Poiché nell'Antica Alleanza c'è un velo che sarà tolto solo quando si sarà passati a Cristo.
Allorché fu crocifisso, anche il velo del tempio si squarciò in due, ( Mt 27,51 ) per significare ciò che l'Apostolo disse del velo dell'Antica Alleanza: poiché in Cristo viene eliminato. ( 2 Cor 3,14 )
In realtà anche presso gli antichi Patriarchi rifulsero, benché assai rari, esempi di pazienza spinta sino alla morte, a cominciare dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, ( Lc 11,5 ) ma Gesù nostro Signore dice che del loro sangue sarà chiesto conto anche a coloro che continueranno a vivere nella iniquità dei loro antenati, da cui quegli innocenti furono uccisi.
Neppure nella Nuova Alleanza mancò né manca tuttora una schiera di buoni fedeli, che sono molto potenti per la prosperità temporale e sperimentano nei confronti di essa la bontà e la misericordia di Dio, che li elargisce con gran generosità, ma che tengono presenti i precetti dell'Apostolo, ministro della Nuova Alleanza, ai ricchi di questo mondo: di non essere orgogliosi né di sperare nell'instabilità delle ricchezze, ma in Dio vivo che ci dà in abbondanza ogni cosa perché ne godiamo; di far del bene, di essere ricchi di opere buone, liberali nel dare, di partecipare agli altri ì nostri beni, di accumulare un bel capitale per il futuro per acquistare la vera vita. ( 1 Tm 6,17 )
Tale vita apparve manifesta non solo nello spirito di Cristo, ma anche nella sua carne, quando risuscitò dalla morte, non come quella che i Giudei distrussero in Lui, quando Dio non lo liberò dalle loro mani e quando, a giudicare dal suo grido: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?, sembrò che lo avesse abbandonato.
Egli esclamò così per fare propria la voce dei suoi martiri, i quali avrebbero rifuggito dal morire, come Gesù predisse anche a Pietro: Un altro ti cingerà e andrai dove non vorrai; volendo indicare con quale morte avrebbe reso gloria a Dio. ( Gv 21,18 )
Poiché dunque avrebbero avuto l'impressione di essere stati abbandonati momentaneamente da Dio, perché non avrebbe voluto esaudire il loro desiderio, si sarebbero lasciati sfuggire dal petto le stesse parole che il Signore si fece uscire dalla sua bocca nell'approssimarsi della passione, facendo ugualmente propria la voce dei suoi martiri: Tuttavia non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu, Padre. ( Mt 26,39 )
In chi, se non nel nostro Capo, avrebbe dovuto apparire da principio per quale particolare specie di vita noi siamo Cristiani?
Ecco perché Egli non esclamò: " Dio mio, Dio mio, mi hai abbandonato! ", ma ci volle avvertire che si deve ricercare il motivo, quando aggiunse: Perché mi hai abbandonato? cioè: per quale motivo, per quale causa?
Una ragione c'era di certo, e non piccola,
perché Dio salvasse Noè dal diluvio, ( Gen 6, 5-7.23 )
Loth dal fuoco piovuto dal cielo, ( Gen 19,12-25 )
Isacco dal colpo di spada sospeso sulla sua testa, ( Gen 22,1-13 )
Giuseppe dalla calunnia della moglie del padrone e dal carcere ( Gen 22,7-18; Gen 41,14 ),
Mosé dagli Egiziani, ( Es 14 )
Raab dalla rovina della città, ( Gs 6,16-25 )
Susanna dai falsi testimoni, ( Dn 13,1-61 )
Daniele dai leoni, ( Dn 14,27-38 )
i tre giovani dalle fiamme ( Dn 3,8-94 )
e altri Patriarchi i quali invocarono aiuto e furono salvati, ( Sal 22,6 )
e invece non salvasse Cristo dalle mani dei Giudei e lo lasciasse in balìa dei carnefici fino alla morte.
Per qual motivo questo, se non per ciò che dice il medesimo salmo poco dopo: Perché ciò non sia occasione di insipienza per me, cioè per il mio corpo, per la mia Chiesa, per i più piccoli dei miei fratelli?
Anche nel Vangelo infatti egli disse: Quanto avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avrete fatto a me. ( Mt 25,40 )
Come disse: perché non sia occasione di insipienza per me, così pure disse: l'avrete fatto a me; come disse: perché mi hai abbandonato?, così pure disse: Chi accoglie voi, accoglie me; e chi disprezza voi, disprezza me. ( Lc 10,16 )
Dio dunque ci abbandona per non farci diventare felici e per farci capire che dobbiamo essere seguaci di Cristo non per questa vita nella quale a volte Dio ci abbandona nelle mani dei persecutori sino alla morte, ma per la vita eterna poiché noi vediamo che ciò è successo prima a Cristo, dal cui nome ci chiamiamo Cristiani.
Ecco: è proprio così; eppure tanti vorrebbero essere Cristiani non per altro che per godere la prosperità di questa vita; e perciò, non appena essa li abbandona, abbandonano anch'essi la fede.
Che avverrebbe se nel nostro stesso Capo non ci fosse un esempio così luminoso?
Da qual maestro potremmo apprendere a disprezzare i beni materiali per quelli celesti, distogliendo il nostro sguardo da ciò che si vede, per volgerlo a ciò che non si vede?
Poiché le cose visibili sono temporali, le invisibili eterne. ( 2 Cor 4,18 )
Con quelle parole Cristo si degnò di parlare in persona dei Cristiani.
Per quanto riguarda Lui, come avrebbe voluto essere salvato da quella ora, dal momento ch'era venuto proprio per quell'ora? ( Gv 12,27 )
Come poteva parlare così, come se gli capitasse ciò che non voleva, dal momento che aveva il potere di dare la vita e di riprendersela né alcuno gliela avrebbe potuta strappare, ma di sua volontà la dava e la riprendeva, come dice nel Vangelo? ( Gv 10,18 )
Ma senza dubbio in quella esclamazione di Cristo eravamo noi uomini e il Capo parlava a nome del corpo suo senza separarci da ciò che voleva indicare col suo lamento, dato che le due nature, divina e umana, sono strettamente unite.
Considera poi la preghiera innalzata dal Signore nel seguito del salmo: Sei tu, che mi hai tratto fuori dal seno materno, speranza mia fin da quando suggevo il latte della mamma; dal grembo materno sono stato gettato nelle tue braccia; sin dal seno di mia madre tu sei il mio Dio; ( Sal 22,10-11 ) come se dicesse: Da una condizione ad un'altra e da un bene a un altro tu mi hai fatto passare, affinché tu fossi il mio bene in cambio dei beni terreni di questa mortalità, che mi è toccata in sorte nel seno di mia madre, di cui ho succhiato le mammelle.
La condizione da cui mi hai tratto fuori è quella dell'uomo vecchio, e i beni della nascita carnale sono quelli lontano dai quali tu sei la mia speranza; poiché, rimasto privo di essi, io mi sono rivolto a Te.
E: dal seno materno, cioè dai beni che ho cominciato a godere fin dal seno materno, sono stato gettato nelle tue braccia cioè " passando a Te, affidandomi tutto a Te ".
Perciò staccato dal seno di mia madre, cioè dai beni della carne, presa nel seno di mia madre, Tu sei il mio Dio, affinché, staccato da tali beni, tu sia il mio bene.
Con questa espressione è come se avesse detto, ad esempio: " Abbandonata la terra, abito il cielo ", cioè da quaggiù sono emigrato lassù.
Questa è la nostra trasformazione in Lui, in quanto mediante la Nuova Alleanza mutiamo vita, passando dalla vita dell'uomo vecchio a quella del nuovo.
Volendo Cristo significare ciò, col mistero della sua passione e risurrezione trasformò la carne dallo stato di mortalità a quello d'immortalità, mentre non mutò la vita dell'uomo vecchio in quella del nuovo, dato che egli non fu mai nell'iniquità da cui dover passare alla santità.
Non sono mancati tuttavia alcuni i quali hanno pensato che l'espressione: Dal seno di mia madre sei tu il mio Dio, si debba riferire al nostro Capo, poiché il Padre intanto è il suo Dio in quanto Cristo è uomo per la natura di schiavo, non in quanto gli è uguale nella natura divina.
Ecco perché dice: Dal seno di mia madre sei tu il mio Dio, come se dicesse: " Da quando sono diventato uomo, sei tu il mio Dio ".
Ma che senso avrebbe l'espressione: Tu mi hai tratto dal seno, se la si riferisse a Gesù stesso, nato dalla Vergine? come se non fosse Dio ( nella cui provvidenza risiede la successione dei tempi d'ogni nascita ) a trarre fuori dal seno materno gli altri bambini.
O quando disse: Tu mi hai tratto dal seno di mia madre, volle forse indicare il parto della Vergine, in cui fu miracolosamente serbata intatta la verginità, affinché non sembrasse incredibile ad alcuno ciò che accadde meravigliosamente, quando si dice che fu opera di Dio?
Che vorrebbe poi dire: Speranza mia fin da quando poppavo il latte di mia madre?
Come si potrebbe riferire anche questo al Capo stesso della Chiesa, come se la sua speranza, riposta in Dio, fosse cominciata solo quando poppava e non anche prima, quando era ancora nel suo seno?
Poiché quella speranza non può essere altra che quella per cui Dio lo avrebbe fatto uscir fuori trionfante dai morti.
Tutto ciò è detto in rapporto alla natura umana assunta da Cristo.
O forse per il fatto che si dice che le poppe delle donne cominciano a riempirsi di latte fin dal concepimento, volle che s'intendesse così fin dalle mammelle; come se dicesse: " da quando presi la carne, per la quale dovevo sperare l'immortalità ", in modo cioè che in Lui non c'era la speranza prima, quando era nella natura di Dio, in cui non c'è nulla che si debba mutare in meglio, ma solo da quando cominciò a prendere il latte della madre, da quando cioè prese la carne, concepita nella speranza di una condizione che si sarebbe avverata quando dalla morte sarebbe passato all'immortalità?
Ma non so proprio in che modo si possa adattare a Cristo l'espressione: Sono stato gettato nelle tue braccia appena uscito dal grembo materno, come se quando era nel seno materno non si trovasse in Dio, nel quale viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, ( At 17,28 ) o come se l'anima razionale di Lui cominciasse a sperare in Dio solo da quando la sua carne uscì dal seno materno; salvo che non si debba credere che l'anima razionale, mancante ancora a Lui nelle viscere materne, gli sopravvenisse solo dopo la nascita; e poiché la stessa anima, aggiunta alla carne già nata, era unita a Dio, bisognerebbe credere che fosse stato detto in relazione alla medesima carne: In te sono stato estratto dal seno materno, vale a dire: ho avuto in sorte, uscendo dal seno materno, l'anima che era unita a te.
Ma chi oserebbe precipitarsi temerariamente in una tale opinione, dal momento che la maniera, con cui ha origine o arriva l'anima, rimane nascosta nel mistero così profondo della natura, che è meglio ricercarla sempre, durante tutta la nostra vita, anziché presumere di averla scoperta una buona volta?
Abbiamo già detto come le parole del salmo possano intendersi nel senso della nostra trasformazione in Cristo.
Se però si può o si potrà dire qualcosa di meglio su tale argomento, non abbiamo prevenzioni per la bravura di nessuno né siamo gelosi della scienza di alcuno.
Vedi come le parole che seguono: Non allontanarti da me, poiché la tribolazione è vicina, ( Sal 22,12 ) chiariscono il senso dell'espressione precedente: Perché mi hai abbandonato?
In qual modo poteva essere abbandonato da Cristo, Colui al quale è detto: Non allontanarti da me, se non perché l'abbandono riguardava la prospettiva temporale dell'antica vita?
Viene invece pregato perché non si allontani né deluda la speranza della vita eterna.
Ma cosa vuole dire perché la tribolazione è vicina, come se fosse ancora imminente la sua passione, mentre si comprende che queste parole profetiche del Salmista riferite a Cristo furono pronunciate nel mezzo della sua passione?
Il Salmista dopo qualche versetto dirà la frase che nel Vangelo sta scritta in modo chiarissimo: Si spartirono le mie vesti e tirarono a sorte la mia tunica. ( Sal 22,19 )
Ciò avvenne quando Cristo pendeva già sulla croce. ( Mt 27,35 )
Che significa dunque l'esclamazione di Cristo, pronunciata nel mezzo della sua passione: La tribolazione è vicina?
Certamente ci vuol far capire che quando la carne è nei dolori e nelle pene, allora l'anima deve sostenere una grande battaglia di pazienza e per non soccombere deve lottare e pregare.
In effetti non v'è nulla che tocchi più da vicino l'anima quanto la propria carne: perciò chi è giunto al grado di perfezione, per cui disprezza questo mondo, quando soffre in un'altra parte non soffre nulla, poiché può ricorrere alla vigile ragione quando perde i beni esteriori, che senza dubbio sono lontani dall'anima del saggio, non attaccato alla cupidigia e può quindi non darsi pensiero della perdita dei beni, perché non ne sente dolore.
Ma quando perde i beni essenziali del corpo, cioè la vita e la salute, la tribolazione è ormai vicinissima ai beni dello spirito, mediante i quali esso nell'intimo è per così dire il dominatore del corpo.
Che potrebbe fare l'anima con qualsiasi mezzo per non affliggersi, quando è ferito o bruciato il corpo, a cui essa è unita tanto strettamente, che può patire, ma non fare a meno di sentire dolore?
Perciò anche il diavolo, seguendo la medesima tattica per fare del male, prese prima in suo potere i beni esteriori di quell'uomo giusto, di tentare il quale aveva chiesto il permesso al Signore.
Quando glieli ebbe tolti e distrutti, vedendolo incrollabile poiché aveva esclamato: Il Signore me li ha dati, il Signore me li ha tolti; come è piaciuto al, Signore è accaduto; sia benedetto il nome del Signore, ( Gb 1,21 ) chiese il permesso di tormentare anche con ulcere la sua carne.
Impegnò allora con lui una lotta per colpirlo nei beni che più toccavano l'anima, cioè in quelli del corpo.
Se per caso Giobbe perdendoli avesse ceduto e se l'anima si fosse piegata verso l'empietà, anche i beni dello spirito sarebbero stati perduti, e questo era lo scopo del tentatore nell'incalzare sempre più da vicino, incrudelendo sul corpo di Giobbe: fargli perdere cioè i beni dell'anima.
Alla fine quell'uomo paziente, in una tentazione così forte, pur parlando spesso in tono profetico, quando la tribolazione cominciava a minacciare i beni dell'animo, parlava ben diversamente da quando gli erano stati distrutti i beni esteriori, ( Gb 1,11 ) tra i quali i figli che non aveva perduti, ma che lo avevano preceduto nell'altra vita.
L'anima del martire trasformata in Cristo, appena comincia ad essere tribolata nella carne, invoca ad alta voce Dio, da cui è stata abbandonata nella felicità terrena, ma che vive con Lui nella speranza della vita eterna dicendo: Non allontanarti da me, poiché la tribolazione è vicinissima.
Essa non riguarda i miei campi, l'oro, il gregge, il tetto o le pareti né la perdita dei miei famigliari; ma riguarda la mia carne a cui sono strettamente unito e legato e di cui non posso non avere le sensazioni.
Essa mi stimola assai da vicino, per farmi perdere la virtù della pazienza.
Non allontanarti da me, poiché non c'è chi mi aiuti: ( Sal 22,12 ) né un amico né un parente né lode di uomini né ricordo del piacere trascorso né alcuno di quei beni da cui è sorretto chi ha perduta la felicità terrena, neppure la forza umana che è nell'animo mio; poiché se tu mi abbandoni, che è mai la forza dell'uomo?
14. Cos'è infatti l'uomo se tu non ti ricordi di lui? ( Sal 8,5; Eb 2,6 )
Mi hanno circondato molti giovenchi, cioè la parte bassa del popolo.
Mi hanno accerchiato grossi tori, ( Sal 22,13 ) e cioè i superbi e i ricchi, i maggiorenti del popolo.
Hanno spalancato contro di me la loro bocca, ( Sal 22,14 ) gridando: Crocifiggi, crocifiggi! ( Lc 23,21 )
Come leone che sbrana e ruggisce; ( Sal 22,14 ) i Giudei infatti arrestarono Cristo e lo trascinarono, conducendolo davanti al governatore, e ruggirono chiedendone a gran voce la morte.
Mi sono disciolto come acqua, ( Sal 22,15 ) come se i persecutori mi fossero piombati addosso come un fiume in piena.
Tutte le mie ossa si sono disperse. ( Sal 22,15 )
Che cosa sono le ossa se non i sostegni del corpo?
Ma il corpo di Cristo è la Chiesa: quali sono infine i sostegni della Chiesa, se non gli Apostoli, che altrove sono chiamati colonne? ( Gal 2,9 )
Anch'essi furono dispersi quando Cristo era condotto alla passione o dopo la sua passione e morte.
Il mio cuore si è sciolto come cera in mezzo alle mie viscere. ( Sal 22,15 )
È difficile capire come si possano adattare queste parole al nostro Capo, Salvatore del proprio corpo, poiché non capita che il cuore umano si sciolga come cera se non a causa di una grande paura.
E come sarebbe potuta capitare una cosa simile a Lui, che aveva il potere di deporre e di riprendere la propria vita? ( Gv 10,18 )
Ma certo egli espresse in sé la condizione di debolezza dei suoi o di quelli che tremano per paura della morte come Pietro stesso che, mentre presumeva tanto di sé, finì col negare tante volte Cristo; o di quelli che si consumano in una tristezza che è fonte di salvezza, come successe ancora a Pietro allorché amaramente pianse.
Infatti anche la tristezza scioglie per così dire, il cuore, e per questo dicono che anche in greco fu chiamata λύπη.
Cristo forse volle intendere un profondo mistero, per indicare col termine " suo cuore " le sue Scritture nelle quali fu reso manifesto il suo piano di salvezza, prima del tutto nascosto, allorquando con la passione adempì ciò che era stato predetto di Lui dai Profeti.
Si sciolsero dunque le Scritture, quando ogni profezia si adempì con la sua venuta, nascita, passione, risurrezione e glorificazione.
Chi non comprende questi misteri nei Profeti, dal momento che sono accessibili perfino alla mentalità della moltitudine carnale?
Forse con l'espressione: Nel mezzo delle mie viscere voleva indicare proprio quella moltitudine in modo che nel corpo di Lui, che è la Chiesa, la moltitudine carnale e più debole occupi per così dire il posto del ventre.
Ma se la parola " ventre " conviene meglio alle persone spirituali, è stato spiegato che l'interpretazione delle Scritture spetta piuttosto a coloro che sono giunti a un grado più alto di perfezione, quando cioè il " cuore di Lui ", ossia la Scrittura, che ne contiene il pensiero, nell'intimo del loro spirito, cioè nella loro mente si scioglie come cera ossia si spiega, si discute e si espone al calore del loro spirito.
Il mio vigore è inaridito come un vaso di terracotta. ( Sal 22,16 )
La terracotta è rassodata dal fuoco: così anche la forza del corpo di Cristo non si consuma al fuoco, come la paglia, ma come l'argilla si rassoda nella sofferenza come nel fuoco.
La fornace sperimenta i vasi del vasaio, dice la Scrittura in un alto passo, e così pure la prova della tribolazione saggia gli uomini giusti. ( Sir 27,6 )
E la mia lingua si attaccò alle mie fauci. ( Sal 22,16 )
Può darsi che qui sia indicato il silenzio che anche un altro Profeta esalta quando canta: Stette senza proferir parola, come agnello davanti a chi lo tosa. ( Is 53,7 )
Ma se per " lingua " intendiamo le persone che sono nel corpo suo che è la Chiesa, per mezzo delle quali Cristo divulga il suo Vangelo, essi aderiscono alle sue fauci quando non si allontanano dai suoi insegnamenti.
Come potrà adattarsi al Capo della Chiesa l'espressione seguente: E mi hai condotto nella polvere della morte, ( Sal 22,16 ) dal momento che il suo corpo, che risuscitò il terzo giorno, non si dissolse affatto in polvere?
Neppure gli Apostoli interpretarono diversamente ciò ch'è detto in un altro salmo: Non permetterai che il tuo Santo vegga la corruzione, ( Sal 16,10; At 2,25 ) se non nel senso che la sua carne, che risuscitò, non fu soggetta a corruzione.
Parimenti in un altro salmo si canta: A chi servirà il mio sangue, se cado nella corruzione?
Canterà forse la polvere le tue lodi, o annunzierà la tua verità? ( Sal 30,10 )
Vuol dire insomma che, se dopo la morte fosse stato ridotto in polvere come tutti gli altri e la sua carne fosse stata riservata solo per la risurrezione finale, sarebbe stato inutile che Egli versasse il suo sangue, poiché la sua morte non sarebbe giovata a nulla né sarebbe stata annunziata la verità di Dio, che aveva predetto la sua immediata risurrezione.
Che cosa vuol dire dunque la frase di questo versetto: E mi hai condotto nella polvere della morte, se non intendiamo per corpo di Cristo la Chiesa nella quale coloro, che subirono o subiscono il martirio per il nome di Cristo, non risorgono subito come Lui, ma sono ridotti nella polvere del sepolcro e risorgeranno quando verrà il tempo annunziato nel Vangelo con le parole: Verrà l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la voce di Lui e usciranno fuori? ( Gv 5,28 )
È anche possibile che con l'espressione polvere di morte, volesse intendere sotto il velo dell'allegoria i Giudei stessi nelle cui mani fu abbandonato Cristo.
Sta scritto infatti: Non sarà così degli empi, non sarà così; ma saranno come polvere che il vento disperde dalla faccia della terra. ( Sal 1,4 )
16.39 - Spiega il Sal 22,17-18
Poiché un gran numero di cani - continua il salmo - mi ha circondato; una turba di maligni mi ha accerchiato; ( Sal 22,17 ) come se gli stessi Giudei, che aveva chiamati " polvere di morte " in cui fu ridotto, li chiamasse ancora " gran numero di cani " e " turba di maligni ", chiamandoli cioè " cani ", in quanto questi abbaiano per lo più furiosamente contro chi non fa loro alcun male e con cui non hanno dimestichezza.
Nei versetti che seguono pare di leggere il Vangelo.
È infatti prefigurata la crocifissione di Cristo nella frase: Hanno forato le mie mani e i miei piedi, hanno contato tutte le mie ossa; poi mi hanno guardato e contemplato. ( Sal 22,17-18 )
In realtà furono forati con chiodi le mani e i piedi e, mentre veniva disteso sulla croce, in qualche modo furono contate le sue ossa.
Fu osservato e guardato attentamente per indovinare che cosa gli sarebbe accaduto e se mai venisse Elia a salvarlo. ( Mt 27,49 )
Il seguito del salmo: Si divisero le mie vesti e tirarono a sorte la mia tunica, ( Sal 22,19 ) non ha bisogno di spiegazione.
Le parole immediatamente seguenti sono proprie di chi prega, tanto in persona del Capo, vale a dire dell'Uomo Mediatore, quanto in persona del corpo, cioè della Chiesa, che Egli chiama anche " l'unica sua ". ( Sal 22,21; Sal 35,17 )
Tu o Signore, non allontanare da me il tuo aiuto. ( Sal 22,20 )
Questa preghiera è fatta per il corpo di Cristo, la cui risurrezione non fu rimandata a lungo, come per gli altri.
Volgi lo sguardo in mia difesa, ( Sal 22,20 ) perché non gli facciano del male i nemici che, con l'uccidere la carne mortale, hanno l'impressione di aver fatto qualcosa di grande.
Ma non possono nuocere se, con l'aiuto della grazia di Dio, l'anima vinta non acconsente con essi al male.
Così fu predetto anche altrove: La terra - cioè la carne terrena - fu consegnata in potere dell'empio. ( Gb 9,24 )
Libera dalla spada l'anima mia. ( Sal 22,21 )
La framea è una spada corta. Certo Cristo non fu ucciso con questo tipo di spada, ma sulla croce, e il suo fianco fu colpito non con una spada corta, ma con la lancia.
Il Salmista dunque usò la parola framea in senso figurato per la " lingua dei persecutori ", come è detto in un altro salmo: La loro lingua è spada affilata. ( Sal 57,5 )
Siccome perciò la lingua dei maligni trionfò relativamente alla sua carne, prega che essa non sia di danno all'anima, quando esclama: Libera dalla spada l'anima mia.
In tal modo, se questa preghiera profetica si riferisce a Cristo, Capo del nostro corpo, appare non tanto la petizione di un povero, quanto la predizione allegorica di un fatto futuro.
Può darsi pure che poiché il suo corpo, cioè la Chiesa, avrebbe dovuto subire atroci persecuzioni, usò la parola spada, con cui furono soprattutto trucidati i martiri: spada da cui vuole che le loro anime siano liberate, affinché non abbiano paura di coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima, ( Mt 10,28 ) e non consentano ad azioni illecite.
Può darsi ancora che abbia chiamato framea la " lingua dei nemici " nelle sofferenze dei martiri, dalle quali vuole che sia salvata l'anima sua, cioè l'anima del suo corpo, l'anima dei suoi santi.
Le parole che seguono: Salva dal potere del cane l'unica mia, ( Sal 22,21 ) mi pare che non possano riferirsi meglio che " all'unica Chiesa ".
Il Salmista chiamò cane il mondo che latra non a ragion veduta, ma per abitudine contro la verità solitamente sconosciuta.
Questa infatti è la natura dei cani: non abbaiano contro quelli che conoscono, siano buoni o cattivi, ma s'arrabbiano se vedono persone sconosciute, anche se non fanno alcun male.
Con l'espressione manu canis, significò " il potere del mondo ", il cui regno, che sarebbe divenuto nemico del suo corpo, cioè della Chiesa, Egli denotò con la figura simbolica del leone, nelle parole che seguono: Salvami dalla gola del leone. ( Sal 22,22 )
Ecco perché sta scritto: Non c'è differenza tra le minacce del re e l'ira del leone, ( Pr 19,12 ) sebbene l'apostolo Pietro paragoni il diavolo a un leone che rugge e va attorno in cerca della preda da divorare. ( 1 Pt 5,8 )
Il Salmista, volendo mostrare che i superbi di questo inondo si opporranno agli umili Cristiani, subito dopo dice: Libera dalle corna dei bufali la mia debolezza.
I bufali sono simbolo dei " superbi ", poiché la superbia odia l'unione con gli altri, e ogni superbo, per quanto è in lui, brama d'essere il solo a dominare dall'alto.
Considera ormai dove sia per Cristo il frutto non solo d'essere stato abbandonato, perché non fosse esaudito nella felicità terrena e non gli fosse imputato a insipienza, ma affinché sapessimo che cosa dobbiamo desiderare per la grazia della Nuova Alleanza, ma anche quello d'essere stato non già abbandonato, bensì esaudito quando disse a Dio: Non allontanarti da me, Signore, mentre prima aveva detto: Perché mi hai abbandonato?
Queste frasi sarebbero in contraddizione tra loro, se la prima non fosse riferita ad una cosa e la seconda ad un'altra.
Presta attenzione e ascolta per quanto puoi percepire e comprendi per quanto puoi capire e quanto io stesso valgo a spiegarti una verità così grande, o meglio quanto mi concede Colui che ci esaudisce, non solo per i meriti di Cristo, che come uomo è mediatore tra noi e Dio, ( 1 Tm 2,5 ) ma anche con Cristo, che come Dio è uguale a Dio ed ha il potere di fare - come dice l'Apostolo - più di quello che chiediamo e comprendiamo. ( Ef 3,20 )
Considera in questo salmo la grazia della Nuova Alleanza; considera che cosa dell'utilità di quell'abbandono, di quella tribolazione, di quella preghiera ci sia fatto comprendere, ci sia messo in risalto, ci sia spiegato.
Considera che cosa leggiamo tanto tempo prima predetto e che cosa vediamo già adempiuto: Annunzierò - dice - il tuo nome ai miei fratelli; canterò le tue lodi in mezzo all'assemblea. ( Sal 22,23 )
I fratelli sono quelli di cui si legge nel Vangelo: Va' e di' ai miei fratelli. ( Gv 20,17 )
L'assemblea è quella che poco prima aveva chiamata " unica ", cioè l'unica Chiesa cattolica, che si diffonde in lungo e in largo su tutta la terra e che crescendo si espande sino alle nazioni più lontane, per cui nel Vangelo si predice: Questo Vangelo sarà predicato in tutto il mondo, per essere di testimonianza a tutte le nazioni: e allora verrà la fine. ( Mt 24,14 )
Quando poi il Salmista dice: Canterò vuole intendere " il cantico nuovo ", di cui si fa parola in un altro salmo: Cantate al Signore un cantico nuovo; cantate al Signore, o voi tutti sulla terra. ( Sal 96,1 )
Qui si trova la spiegazione delle due espressioni: quale cioè sia il cantico che il Salmista disse di voler intonare, e in mezzo a quale assemblea.
Canterò, si riferisce al cantico nuovo, l'altra espressione a tutta la terra.
Il Signore stesso infatti canta in noi, poiché noi, cantiamo per mezzo di Lui, come dice l'Apostolo: Volete avere una prova del Cristo che parla in me? ( 2 Cor 13,3 ) " In mezzo alla Chiesa ", si può riferire alla sua eccellenza e alla sua stessa manifestazione, giacché tutte le cose con quanto maggiore evidenza sono note, tanto più si dice che sono in medio, cioè di pubblico dominio.
L'espressione si adatta bene anche alle persone di vita interiore nella Chiesa, in quanto essere interiore equivale ad essere nel mezzo.
Non canta il cantico nuovo chi lo fa squillare solo con le labbra, ma chi lo canta, come ci esorta l'Apostolo: Cantate e salmeggiate nei cuori vostri al Signore. ( Ef 5,19 )
Questa gioia è dentro di noi, dove si canta e si ode la voce della lode; con tale voce viene lodato Colui che dev'essere amato per puro amore, con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, e che infiamma d'amore per Lui chi lo ama, mediante la grazia del suo Spirito Santo.
Cos'altro è infatti il cantico nuovo, se non un inno di lode a Dio?
Il seguito del salmo dimostra ciò con più evidenza; infatti, dopo aver detto: Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ( Sal 22,23 ) poiché nessuno ha mai visto Dio all'infuori del Figlio Unigenito che è nel seno del Padre e lo ha rivelato, ( Gv 1,18 ) dopo aver aggiunto: Ti canterò nel mezzo della Chiesa, spiegò in che modo cantò, cioè che cantò in noi, quando progrediamo nella conoscenza del nome che annunziò ai suoi fratelli; e che egli cantò la lode di Dio in noi, lo dimostrò subito dicendo: O voi che temete il Signore, lodatelo. ( Sal 22,24 )
Chi mai lo loda veramente, se non chi lo ama sinceramente?
Dunque è come se dicesse: " Voi, che temete il Signore, amatelo ".
Poiché Dio disse all'uomo - come sta scritto - È saggezza ( solo ) la pietà verso Dio. ( Gb 28, 28 sec. LXX )
Ora, la pietà verso Dio è il culto reso a Dio, e il culto gli si rende solo amandolo.
La somma e vera sapienza è riposta dunque nel primo comandamento: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima. ( Mt 22,37 )
Perciò la sapienza è lo stesso amore di Dio e si diffonde nei nostri cuori solo per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato. ( Rm 5,3 )
Inoltre: principio della sapienza è il timore di Dio. ( Sal 92,10 )
Ora, il timore non ha luogo nell'amore, ma il perfetto amore scaccia via il timore. ( 1 Gv 4,18 )
Perciò il timore, penetrando dapprima nel nostro cuore, scaccia la libidine che abbiamo di compiere il male e lascia posto all'amore, sicché, quando questo arriva come padrone, il timore si allontana, perché l'amore vi prenda stabile possesso.
Dunque: Voi, che temete il Signore, lodatelo, ( Sal 22,24 ) affinché onoriate il Signore non come schiavi, ma come figli; imparate ad amare Colui che temete e così potrete lodare l'oggetto del vostro amore.
Gli uomini dell'Antica Alleanza, che avevano timore di Dio a causa della lettera che atterrisce ed uccide, ma che non possedevano ancora lo Spirito Santo che vivifica, ( 2 Cor 3,6 ) correvano con sacrifici al tempio e immolavano vittime cruente, che simboleggiavano il sangue futuro, in virtù del quale siamo stati redenti, senza sapere che cosa era prefigurato da quelle vittime.
Ora invece, voi che nella grazia della Nuova Alleanza temete il Signore, lodatelo.
Il Signore medesimo, in un altro salmo, preannunciando il cambiamento di quei sacrifici, che allora venivano offerti come un'ombra del sacrificio futuro, affermò: Non accetterò dalle tue mani vitelli né montoni dai tuoi greggi. ( Sal 50,9 )
E qualche versetto dopo, per mostrare quale sarebbe stato il sacrificio della Nuova Alleanza, quando quelli antichi sarebbero cessati, dice: Offri a Dio un sacrificio di lode e adempi i tuoi voti fatti all'Altissimo. ( Sal 50,14 )
E alla fine del medesimo salmo dice: Il sacrificio di lode mi glorificherà: esso è la via per cui mostrerò all'uomo la mia salvezza. ( Sal 50,23 )
La salvezza di Dio è Cristo, che ancora bambino il vecchio Simeone riconobbe in ispirito e prese fra le braccia e quindi esclamò: Ora, o Signore, lascia andare in pace il tuo servo, secondo la tua promessa, poiché i miei occhi hanno veduto la tua salvezza. ( Lc 2,29-30 )
Voi, dunque, che temete il Signore, lodatelo; stirpe di Giacobbe, tutta intera rendi a Lui gloria. ( Sal 22,24 )
Non bastò al Salmista dire: stirpe di Giacobbe, ma vi aggiunse: intera, perché non s'intendesse solo quella degli Israeliti che avrebbero avuto fede in Lui.
La stirpe di Giacobbe è la medesima che quella di Abramo.
L'Apostolo si rivolge a tutti i credenti in Cristo e non solo ai fedeli d'Israele, quando dice: Voi dunque siete progenie di Abramo, eredi secondo la promessa. ( Gal 3,29 )
Egli ricordò la prefigurazione della Nuova Alleanza, là dove scrisse: In Isacco sarà chiamato a te il Discendente, ( Rm 9,7 ) vale a dire: non Ismaele, figlio di una schiava.
A proposito dei due figli di Abramo, uno schiavo, l'altro libero, e delle due mogli, una schiava, l'altra libera, S. Paolo scrivendo ai Galati dice che allegoricamente vi sono raffigurate le due Alleanze. ( Gal 4,22-24 )
Ecco perché asserisce: I figli di Dio non sono i figli della carne, ma come discendenti di Abramo sono considerati invece i figli della promessa.
Questa infatti è la parola della promessa: Io verrò verso questo tempo e Sara avrà un figlio. ( Rm 9,8; Gen 18,10 )
Sarebbe troppo difficile e lungo spiegare minutamente perché i figli della promessa, che appartengono ad Isacco, siano considerati come appartenenti alla grazia della Nuova Alleanza.
Toccherò nondimeno di sfuggita l'argomento, sul quale con tanto maggior frutto mediterai, quanto più lo avrai considerato con animo devoto.
Dio non promette tutto ciò che predice, poiché Egli predice anche ciò che non fa di persona, avendo la prescienza di tutto ciò che avverrà.
Predice anche i peccati degli uomini, che può conoscere in anticipo, ma non fare.
Promette invece le cose che farà Egli stesso, non le cattive.
Chi mai infatti promette il suo male?
Sebbene dunque Dio ai malvagi infligga pene, non peccati, bensì castighi, tuttavia Egli più che prometterli, li minaccia.
Elargisce e conosce prima ogni cosa, ma i peccati li predice, i supplizi li minaccia, i benefici li promette.
I figli della promessa sono dunque i figli del beneficio.
Questa è la grazia che viene concessa per puro amore, non per meriti derivanti dall'umana attività, ma per la bontà della sua liberalità.
Noi quindi rendiamo grazie a Dio nostro Signore per il fatto che nel sacrificio della Nuova Alleanza è racchiuso il gran mistero della salvezza.
Potrai conoscere dove, quando e in che modo esso viene offerto solo quando sarai battezzato.
Il Salmista continua col dire: Lo tema tutta la stirpe d'Israele. ( Sal 22,25 )
Giacobbe o Israele era un'unica persona con due nomi: anche qui vi è un gran mistero, ma non può essere detto tutto in una sola lettera; già mi sono spinto troppo oltre, senza aver fatto ancora alcun cenno delle altre tre questioni, cioè delle tenebre esteriori, della larghezza, lunghezza, altezza e profondità dell'amore di Cristo; delle cinque vergini prudenti e delle cinque stolte.
Ma tornando al Salmista, ciò che prima aveva chiamato: L'intera stirpe di Giacobbe, nel versetto seguente lo chiama: Tutta la stirpe d'Israele.
Ma perché mai prima aveva detto: glorificatelo, e poi: Lo tema Israele? Il rendere gloria va di pari passo col cantare le lodi, a proposito della qual cosa il Salmista aveva già detto: O voi che temete il Signore, lodatelo, parole da me esposte ampiamente; nella lode c'è infatti l'amore e la carità di Dio, la quale, quando è perfetta, scaccia via il timore. ( 1 Gv 4,18 )
Perché dunque il Salmista dice per la seconda volta: Lo tema tutta la stirpe di Israele?
Infatti come afferma l'Apostolo, voi non avete ricevuto lo spirito di schiavitù per cadere di nuovo nel timore. ( Rm 8,15 )
L'Apostolo stesso però raccomanda il timore all'ulivo selvatico, innestato nell'ulivo domestico, cioè ai pagani che furono innestati nella radice di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, affinché anch'essi diventassero Israele, cioè appartenessero alla stirpe di Abramo. ( Rm 11,17-20 )
Anche il Signore stesso, nel Vangelo, a proposito di quel centurione che, pur essendo pagano, aveva creduto in Lui, predisse l'innesto dell'ulivo selvatico, dopo che ormai erano stati recisi i rami naturali a causa della loro superbia e infedeltà. In quella occasione infatti Cristo disse: Io vi dico, in verità: non ho trovato tanta fede in Israele, e aggiunse: Perciò vi dico che molti verranno dall'Oriente e dall'Occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli; i figliuoli del regno saranno invece gettati nelle tenebre di fuori.
Qui vi sarà pianto e stridore di denti. ( Mt 8,10-11 )
Volle così indicare che l'ulivo selvatico è innestato a causa della sua umiltà. Difatti il centurione aveva detto: Non sono degno che Tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. ( Mt 8,8 )
Volle invece indicare che i rami naturali sono recisi per causa della superbia di coloro che, disconoscendo la giustizia di Dio e volendo stabilire la propria, non sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )
Di coloro che sono gonfi di un vano orgoglio è stato detto che andranno nelle tenebre di fuori poiché, pur vantandosi di discendere dalla stirpe di Abramo, non vollero diventare discendenti di Abramo per essere figli della promessa; non accolsero in sé la fede della Nuova Alleanza, dove la giustizia di Dio è esaltata, ma vollero stabilire la propria giustizia.
Essi, pieni di presunzione per i propri meriti e per le proprie azioni, hanno disdegnato d'essere figli della promessa, vale a dire figli della grazia, figli della misericordia, affinché chi si gloria, si glori nel Signore, ( 1 Cor 1,31; 2 Cor 10,17 ) credendo in Lui, che giustifica l'empio, ( Rm 4,5 ) cioè che lo rende pio da empio che era, affinché la fede che ha, gli sia ascritta a giustizia, ( Rm 4,5 ) e si adempia in lui non ciò che pretendeva il suo merito, ma il beneficio che gli fu promesso dal Signore.
Discutendo con coloro che venivano innestati per grazia di Dio nell'ulivo, l'Apostolo osserva: Tu dici: Sono stati tagliati i rami, perché vi fossi innestato io.
Bene, sono stati tagliati a causa della loro incredulità.
Tu però stai in piedi per mezzo della fede; non inorgoglire, ma temi. ( Rm 11,19-20 )
L'innesto è un beneficio di Dio, non un merito tuo.
Anche in un altro passo l'Apostolo afferma: Per la grazia siete stati salvati, mediante la fede, e ciò non per vostro mezzo, ma per dono di Dio; non in virtù delle opere, affinché nessuno per caso si vanti.
Noi infatti siamo fattura di Lui, creati in Gesti Cristo per ( fare ) opere buone, predisposte da Dio affinché camminiamo in esse. ( Ef 2,8-10 )
Nella grazia così intesa c'è anche il timore, per cui si dice: Non insuperbirti, ma temi. ( Rm 11,20 )
Questo timore è ben diverso da quello servile, che viene scacciato dalla carità di Cristo: ( 1 Gv 4,18 ) il primo ci fa temere di cadere nel tormento del supplizio: l'altro invece ci fa temere di perdere la grazia del benefizio.
È vero che ai fedeli appartenenti alla Nuova Alleanza l'Apostolo rivolge le parole da me ricordate poc'anzi: Non avete infatti ricevuto uno spirito di schiavitù, per ricadere nel timore, ma avete ricevuto lo spirito di adozione di figli, per cui gridiamo: Abba, Padre, ( Rm 8,15 ) cioè, finché abbiamo la fede, che opera per mezzo della carità, ( Gal 5,6 ) non tanto col temere il castigo, quanto con l'amare la giustizia; dato però che l'anima non diviene giusta se non compartecipando dell'Essere migliore, il quale giustifica l'empio ( cosa mai possiede l'anima che non abbia ricevuto? ) non deve inorgoglirsi, attribuendosi ciò che appartiene a Dio, come se non l'avesse ricevuto. ( 1 Cor 4,7 )
Ecco perché è stato detto: Non t'inorgoglire, ma temi.
Questa specie di timore è prescritta anche a quelli che, vivendo conforme alla fede, sono eredi della Nuova Alleanza e sono chiamati alla libertà.
Avere di sé un'alta opinione è come dire inorgoglirsi.
L'Apostolo lo mostrò chiaramente in un altro passo, dove disse nel senso opposto: Non nutrendo un'alta opinione di voi ma avendo gli stessi sentimenti degli umili. ( Rm 12,16 )
Dicendo: avendo gli stessi sentimenti degli umili mostrò chiaramente che con l'espressione: avendo un'alta opinione di sé, non disse altro che " inorgogliendosi ".
Nell'amore non c'è il timore, poiché l'amore perfetto scaccia il timore, ( 1 Gv 4,18 ) quello servile però, per cui ci si astiene da un'azione cattiva per paura del castigo e non per amore della giustizia.
L'amore, al quale ripugna l'iniquità, anche se gli sia proposta l'impunità, caccia via da sé questo timore servile, ma non scaccia il timore per cui l'anima teme di perdere la grazia, in virtù della quale avviene che essa non provi compiacenza nel peccare: il timore, per cui essa teme che Dio l'abbandoni, anche se non la punisce con strazianti dolori.
Questo timore è casto: l'amore non lo ripudia, anzi lo richiede.
Di esso sta scritto: Il timore del Signore è casto e rimane nei secoli dei Secoli. ( Sal 19,10 )
Il Salmista non avrebbe detto che rimane per sempre, se non avesse conosciuto un altro timore che non rimane per sempre.
E a ragione lo chiamò " casto ", poiché è una proprietà dell'amore, con cui aderisce a Dio l'anima, la quale in un altro salmo dice: Tu hai mandato in perdizione chiunque tradisce la tua fede; per me invece il mio bene è stare unita a Dio. ( Sal 73,27-28 )
Anche la moglie che cova brame da adultera, sebbene non commetta adulterio per timore del marito, pecca tuttavia con la volontà, pur astenendosi dall'azione.
La moglie onesta invece nutre un altro timore: teme anch'essa il marito, ma castamente.
L'una ha paura che sopraggiunga il marito minaccioso, l'altra che parta offeso.
Alla moglie che non lo ama, è molesta la presenza del marito, mentre alla moglie che lo ama, la sua assenza.
Tutta la stirpe d'Israele tema dunque Dio col timore casto, che rimane in eterno.
Temano Colui che amano, senza inorgoglirsi, ma con gli stessi sentimenti degli umili: con timore e tremore operino la loro propria salvezza, poiché è Dio quello che opera in essi il volere e l'operare, secondo il suo beneplacito. ( Fil 2,13 )
Questa è la giustizia di Dio, questo è il dono che Dio fa all'uomo quando giustifica l'empio.
I superbi Giudei, ignorando questa giustizia di Dio e volendo stabilire la propria giustizia, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )
A causa di questa loro superbia essi sono stroncati dal ceppo, perché al loro posto sia innestato l'umile ulivo selvatico.
I Giudei se ne andarono nelle tenebre di fuori, ( Mt 8,12 ) su cui verte uno dei tuoi quesiti, mentre dall'Oriente e dall'Occidente arrivarono molti che sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli. ( Mt 8,11 )
Presentemente essi sono nelle tenebre di fuori e per conseguenza non si deve disperare della loro conversione ma, se la trascureranno, andranno nelle tenebre di fuori, dove non ci sarà possibilità di conversione, poiché Dio è luce e in Lui non ci sono affatto tenebre. ( 1 Gv 1,5 )
Egli è la luce del cuore, non degli occhi del corpo; non è neppure affatto quale possiamo immaginarlo rappresentandocelo come questa luce visibile, benché anch'essa possa essere veduta, ma ben diversamente, in modo del tutto differente.
Poiché chi potrebbe spiegare a parole quale luce sia la carità?
Chi lo potrebbe dimostrare con un esempio, preso da quelle cose che sono a portata dei sensi fisici?
O che forse non è luce l'amore di Cristo?
Ascolta l'apostolo Giovanni che disse precisamente ciò che ho ricordato poc'anzi: Dio è luce e in Lui non ci sono per nulla tenebre. ( 1 Gv 1,5 )
Egli disse ancora: Dio è amore. ( 1 Gv 4,8 )
Perciò, se Dio è luce ed è amore, è certamente amore la stessa luce che si diffonde nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )
Lo stesso Apostolo dice: Chi odia il proprio fratello, rimane nelle tenebre. ( 1 Gv 2,11 )
Queste sono le tenebre, nelle quali sono andati a finire il diavolo e gli angeli suoi a causa dell'enorme loro superbia.
La carità non è gelosa, non si gonfia. ( 1 Cor 13,4 )
Non è gelosa perché non si gonfia.
Appena infatti precede il tronfio orgoglio, subito tiene dietro la gelosia, poiché la superbia è madre dell'invidia.
Il diavolo e gli angeli suoi, allontanatisi dalla luce e dal fervore della carità, spintisi troppo oltre nella superbia e nell'invidia, si irrigidirono nella durezza del ghiaccio.
Ecco perché sono raffigurati simbolicamente nell'Aquilone.
Ecco perché, mentre il diavolo opprimeva sotto il suo dominio il genere umano, nel Cantico dei Cantici si predice la grazia futura del Salvatore: Lèvati su, o Aquilone, e vieni tu, o Austro, soffia nel mio giardino e stilleranno aromi. ( Ct 4,16 )
Lèvati su, o Aquilone, che irrompesti con furia, che gravi sui tuoi sudditi e opprimi chi è in tuo potere: lèvati su, affinché, alleggeriti dal tuo peso, si sollevino coloro di cui curvasti le anime, opprimendole.
E vieni tu, o Austro dice invocando lo spirito di grazia che soffia dal Sud, come dalla regione calda e luminosa, affinché stillino gli aromi.
Ecco perché l'Apostolo disse: Noi siamo in ogni luogo il profumo di Cristo. ( 2 Cor 2,15 )
Ecco perché in un salmo si legge pure: Cambia, o Signore, la nostra schiavitù come il torrente al soffio dell'Austro. ( Sal 126,4 )
Cambia cioè la schiavitù degli uomini che erano soggetti al diavolo, quasi sotto il soffio dell'Aquilone, dove per l'eccesso dell'iniquità si erano raffreddati e in certo modo congelati.
Ecco perché anche il Vangelo dice: Poiché crescerà l'iniquità, la carità di molti si raffredderà. ( Mt 24,12 )
Ma al soffio dell'Austro il ghiaccio si scioglie e scorrono i torrenti; il che vuol dire che una volta rimessi i peccati, i popoli corrono in massa verso Cristo in virtù dell'amore.
Ecco perché sta scritto: Come il ghiaccio nei giorni sereni, così si scioglieranno i tuoi peccati. ( Sir 3,17 sec. LXX )
La creatura razionale, sia trattandosi di spirito angelico, sia di anima umana, è così fatta che non può essere per se stessa il bene capace di renderla beata; ma se la sua natura mutevole si volge al bene immutabile, diviene felice; se invece gli volge le spalle, diviene infelice.
Il suo allontanarsi è il suo vizio; il suo avvicinarsi è la sua virtù.
La natura quindi non è cattiva, poiché la creatura dello spirito vitale razionale, anche se privata del bene che comunicandosi ad essa la rende beata, cioè anche se difettosa, vale sempre più della sostanza materiale ch'è la più nobile di tutte, cioè vale più della luce percepita dai nostri occhi carnali, poiché anch'essa è una sostanza fisica.
Qualsivoglia natura incorporea è superiore a qualsiasi corpo: non per la mole, che è qualità propria solo dei corpi, ma per un'energia che sorpassa ogni immaginazione, che l'anima medita e rimugina tra sé, dopo averla attinta dai sensi corporei.
Ma come nei corpi medesimi quelli inferiori, quali la terra, l'acqua ed anche l'aria, diventano migliori quando ricevono parte di un corpo migliore, cioè quando sono illuminati dalla luce e vengono ravvivati dal calore, così le nature razionali incorporee diventano migliori partecipando del Creatore, quando s'uniscono a Lui per mezzo dell'amore purissimo e santissimo; se invece sono affatto prive di questo, vivono nelle tenebre e, in qualche modo, induriscono.
Per conseguenza gli infedeli sono tenebre ma se, ricevendo prima una certa illuminazione, si rivolgono a Dio per mezzo della fede, diventano luce.
Se inoltre, progredendo in questa luce, dalla fede giungeranno alla visione, per meritare di vedere ciò che hanno creduto, per quanto è possibile vedere un bene così grande, allora riceveranno la perfetta immagine di Dio.
A questi fedeli l'Apostolo dice: Una volta eravate tenebre; ora invece siete luce nel Signore. ( Ef 5,8 )
D'altra parte il diavolo ed i suoi angeli sono tenebre esterne per gli infedeli, poiché si sono allontanati più di essi dall'amore di Dio, sono andati a finire nella superbia e nella ostinazione.
E poiché nel giudizio finale Cristo, a quelli che separerà alla sua sinistra, dirà: Andate nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, ( Mt 25,41 ) vuol dire che sono destinati ad unirsi agli spiriti maligni e a dannarsi con loro nelle tenebre di fuori, che è come dire che condivideranno lo stesso castigo riservato al diavolo e agli angeli suoi.
Contrario a queste pene è il premio promesso al servitore buono: Entra nella gioia del tuo Signore, ( Mt 25,23 ) sicché quanto più le tenebre del demonio sono esterne, tanto più interna è la luce di Dio.
Queste realtà non si devono immaginare erroneamente situate in luoghi distinti tra loro, poiché gli spazi materiali sono occupati solo dalla mole dei corpi.
Non e di tal natura lo spirito vitale, non lo è l'anima razionale, molto meno lo è Dio, benignissimo creatore e ordinatore giustissimo di tutte le cose.
Quando diciamo che siffatte cose si avvicinano o si allontanano, entrano o escono, lo diciamo in rapporto alla volontà e al sentimento che le muove.
Siccome gl'infedeli trovano piacere nel compiere azioni cattive, cioè tenebrose, e dovrà seguire un castigo che li tormenti, perciò quando il Signore parlò delle tenebre esterne, aggiunse: Ivi sarà pianto e stridore di denti, ( Mt 8,12 ) affinché gl'iniqui non s'illudessero scioccamente di poter godere anche nel loro supplizio i piaceri che assaporano nella vita terrena, quando per l'infedeltà e l'ingiustizia diventano tenebre; poiché di loro propria volontà godono ingiustamente dei beni, saranno giustamente torturati dai mali contro la propria volontà.
Per tenebre esteriori si possono anche intendere le pene corporali, poiché il corpo è più esterno all'anima; sicché i mali dell'anima dei quali la mente, lontana dalla luce di carità, si compiace nel peccato, sono le " tenebre esterne ", mentre i mali del corpo, da cui alla fine l'anima sarà tormentata in eterno, sono le " tenebre più esterne " di cui hanno paura solo coloro che sono schiavi di una paura servile.
Mi spiego: se a questi ultimi fosse lecito voltarsi e rivoltarsi sempre impunemente nelle tenebre esterne dei peccati, non vorrebbero mai di certo avvicinarsi a Dio né essere illuminati né unirsi a Lui per mezzo dell'amore, nel quale risiede un timore casto, che rimane per i secoli dei secoli.
Questo timore non dà tormento ma unisce più tenacemente l'anima a quel bene che essa non potrà trascurare senza perdersi.
Lo tema tutta la stirpe d'Israele.
Considera il motivo che il Salmista vi aggiunge: Poiché non disprezzò né rigettò la preghiera del povero. ( Sal 22,25 )
Chiama " povero " l'" umile ".
Ecco perché sta scritto: Non t'inorgoglire, ma temi il Signore. ( Rm 11,20 )
Lo tema dunque tutta la stirpe d'Israele, poiché non disprezzò la preghiera di colui che non insuperbì, ma ebbe timore.
Queste parole si possono adattare anche al nostro Capo, poiché il Salvatore del corpo, pur essendo ricco, si fece povero per noi, affinché diventassimo ricchi con la sua povertà. ( 1 Cor 8,9 )
Si fece povero assumendo la natura di schiavo, con cui innalzò anche la sua preghiera; come schiavo si umiliò, divenuto ubbidiente sino alla morte. ( Fil 2,8 )
Considera quindi le parole del Salmista: Poiché non rigettò né disprezzò la preghiera del povero né voltò via il suo volto da me. ( Sal 22,25 )
Che senso ha dunque l'espressione: Perché mi hai abbandonato?, se è detto che non distolse il volto dal povero, se non che non ci abbandona neppure allorché ci abbandona non esaudendoci in rapporto ai beni temporali; e lo fa per non farci diventare stolti, perché si sappia che cosa ci toglie e che cosa ci dona?
Non disprezzò - dice - né rigettò la preghiera del povero né distolse il suo volto da me e, quando alzai a Lui il mio grido, mi esaudì.
[ Dio ] fece dunque ciò di cui poco prima era stato pregato, quando [ Cristo ] nella sua preghiera aveva detto: Non ti allontanare da me.
Se lo esaudì, fece di certo ciò che domandava e perciò non si allontanò affatto.
Non lo, abbandonò dunque Colui che lo abbandonò in un altro modo, per farci capire piuttosto la maniera con cui dobbiamo non volere essere abbandonati.
A te innalzerò la mia lode. ( Sal 22,26 )
Che male possono farmi coloro che m'insultano come un vinto, perché mi hai abbandonato nei beni temporali?
Ti loderò in una grande assemblea, non grande quanto questa Sinagoga, che schernisce la morte di Colui che fu abbandonato, ma nella Chiesa grande, sparsa tra tutte le genti, che crede nella risurrezione di Colui che non fu abbandonato.
Questa è l'unica Chiesa che prega di essere sottratta al potere della carne, di cui precedentemente aveva detto: Ti canterò in mezzo all'assemblea.
Quando il Salmista dice: Ti loderò, intende dire senz'altro per mezzo di coloro che lo loderanno, a nome dei quali egli parla.
Il termine confessio indica non solo la confessione dei peccati, ma anche la lode di Dio, come Cristo stesso esclama nel Vangelo: Ti renderò lode o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti, e le hai rivelate ai piccoli. ( Mt 11,25 )
Il Salmista soggiunge: Scioglierò i miei voti in presenza di quelli che lo temono.
I poveri mangeranno e saranno saziati; quelli che cercano il Signore lo loderanno. ( Sal 22,26-27 )
Quelli che lo cercano sono i piccoli, di cui parlò Cristo: hai rivelato queste cose ai piccoli.
Coloro che lo temono sono i poveri, cioè gli umili che non si inorgogliscono, ma lo temono di quel timore casto, per cui non si ha paura del castigo ma si conserva la grazia.
Dicendo: I miei voti Cristo volle intendere il sacrificio del proprio corpo, che è il Sacramento dei fedeli.
Ecco perché dopo aver detto: Scioglierò i miei voti in presenza di coloro che lo temono, aggiunse subito: I poveri mangeranno e si sazieranno.
Saranno infatti saziati del pane che discende dal cielo coloro che, unendosi a Lui e serbandone la pace e l'amore, ne imitano l'umiltà e perciò sono poveri.
Per questa povertà e sazietà si distinsero soprattutto gli Apostoli.
E loderanno il Signore - dice - coloro che lo cercano, quelli cioè che comprendono di essere saziati non per proprio merito, ma per la grazia di Cristo.
In effetti cercano il Signore perché non appartengono al numero di quelli che cercano il proprio interesse, non quello di Cristo Gesù. ( Fil 2,21 )
Infine, sebbene la carne di quanti lodano il Signore soffra tribolazioni temporali e la morte, i loro cuori vivranno in eterno.
Questa vita del cuore non è riposta nei sensi corporei: vive recondita nella luce interiore, non nelle tenebre esteriori, nel fine della Legge, non nell'inizio del peccato.
Ora fine della Legge è l'amore che viene da un cuore puro, da una coscienza buona e da una fede sincera: ( 1 Tm 1,5 ) è l'amore che non è geloso né si gonfia, ( 1 Cor 13,4 ) poiché non insuperbisce, ma teme e perciò è intimamente unito al timore casto, che dura per i secoli dei secoli.
L'inizio di ogni peccato è invece la superbia, ( Sir 10,15 ) per cui il diavolo andò a finire irreparabilmente nelle tenebre esteriori e, sia per invidia verso l'uomo, sia perché gli consigliò una simile superbia, lo fece decadere e lo abbatté.
Riguardo all'uomo è detto nella Sacra Scrittura: Perché insuperbisce chi è terra e cenere?
Poiché nella sua vita gettò via le sue interiora, ( Sir 10,9 ) Dicendo: nella propria vita, intese dire la vita tutta propria, per così dire personale, di cui si diletta ogni superbo.
Ecco perché la carità, avendo di mira più l'interesse comune che quello privato, si dice che non cerca il proprio tornaconto. ( 1 Cor 13,5 )
Di essa vivono in eterno i cuori, saziati per così dire dal pane celeste, del quale Colui stesso che li sazia affermò: Se non mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue, non avrete la vita in voi. ( Gv 6,54 )
Giustamente dunque vivranno in eterno i cuori di quelli che se ne saziano.
La vita è Cristo, che abita nei nostri cuori, per ora mediante la fede, in seguito anche mediante la visione beatifica.
I fedeli lo vedono quaggiù oscuramente, come in uno specchio, allora però lo vedranno faccia a faccia. ( 1 Cor 13,12 )
La carità quindi si esercita a volte nelle opere buone dell'amore, per cui si estende in tutte le direzioni possibili per venire in aiuto, e questa è la sua larghezza; altre volte con la sua natura longanime sopporta le avversità e persevera nella difesa della verità, e questa è la sua lunghezza; tutto ciò essa compie per il conseguimento della vita eterna, a lei promessa nell'alto dei cieli, e questa è la sua profondità.
Questa carità, nella quale in qualche modo siamo radicati e fondati, ( Ef 3,17 ) ha un'origine recondita dove non si possono scandagliare le cause della volontà di Dio per grazia del quale siamo stati salvati, non per le opere di giustizia fatte da noi, ma in virtù della sua misericordia. ( Tt 3,5 )
Egli per sua volontà ci ha generati mediante la parola di verità ( Gc 1,18 ) e questa sua volontà è nascosta nel mistero.
L'Apostolo quasi spaventato dalla profondità di questo segreto, disse: O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio!
Come sono imperscrutabili i suoi disegni e impenetrabili le sue vie!
Chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? ( Rm 11,33-34 )
E questa è la profondità dell'amore.
Altezza è parola generica, per indicare ciò che è eccelso e profondo, ma quando è usata nel senso di " alto ", mette in risalto la superiorità di ciò che è sublime; quando invece nel senso di " profondo ", mette in risalto la facoltà dello scandaglio della conoscenza umana.
Di Dio disse pure il Salmista: Quanto sono magnifiche le tue opere o Signore!
Assai profondi sono i tuoi disegni. ( Sal 92,6 )
E ancora: I tuoi disegni sono come un abisso profondo. ( Sal 36,7 )
Ecco perché l'Apostolo disse queste parole, che tra gli altri quesiti mi hai proposti da risolvere: Per questo motivo io piego le ginocchia davanti al Padre di nostro Signore Gesti Cristo, da cui prende nome ogni paternità nei cieli e sulla terra, perché in proporzione della ricchezza della sua gloria vi conceda di essere potentemente corroborati nella virtù per mezzo dello Spirito suo e faccia si che Cristo abiti nell'uomo interiore mediante la fede nei cuori vostri affinché, radicati e fondati nella carità, siate capaci di capire con tutti i santi, quale sia la lunghezza, la larghezza, l'altezza e la profondità, e possiate conoscere l'amore di Cristo, superiore a ogni conoscenza, così da essere ripieni di tutta la pienezza di Dio. ( Ef 3,14-19 )
Considera attentamente tutte le parole di questo passo: Per questo - dice l'Apostolo - piego le ginocchia davanti al Padre del Signore nostro Gesù Cristo, da cui prende il nome ogni paternità nei cieli e sulla terra …
Tu ne vuoi sapere il perché.
L'Apostolo lo aveva chiarito poco prima: Per questo vi chiedo di non perdervi d'animo a causa delle afflizioni che soffro per voi.
Questo è dunque il desiderio di Paolo, che non si perdessero d'animo per le afflizioni che l'Apostolo pativa per essi e perciò piegava le ginocchia davanti al Padre.
L'Apostolo spiega in seguito donde possano attingere forza, per non perdersi d'animo: Perché Egli vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di fortificarvi nella virtù mediante lo Spirito suo.
Questa è la ricchezza di cui Paolo esclamò: O profondità della ricchezza di Dio! ( Rm 11,33 )
Noi ignoriamo le cause di questa ricchezza ( di grazia ): per cui senza alcun merito precedente, che cosa possediamo, senza averlo ricevuto?
L'Apostolo poi soggiunge che cosa egli desidera: Nell'uomo interiore dice - abiti Cristo mediante la fede nei vostri cuori.
Questa è la vita dei cuori, per cui viviamo per i secoli dei secoli, dall'inizio della fede sino al termine ultimo della vita che è la visione di Dio.
Affinché, - dice - radicati e fondati nella carità, siate capaci di comprendere con tutti i santi.
Essa è la comunione di una repubblica divina e celeste: di essa si saziano i poveri, che non cercano interessi propri, ma quelli di Gesù Cristo; che non vanno a caccia di vantaggi per sé, ma pensano all'interesse comune, in cui risiede la salvezza di tutti.
Parlando infatti del pane, di cui si saziano i fedeli, l'Apostolo dice in un altro passo: Uno solo è il pane e noi, pur essendo molti, formiamo un corpo solo. ( 1 Cor 10,17 )
Affinché siate capaci di comprendere, dice l'Apostolo. Che cosa?
Quale sia la larghezza nelle opere buone, con cui, come ho già detto, la benevolenza si estende sino ad amare i nemici; quale sia la lunghezza, per sopportare le molestie con longanimità, conforme alla larghezza della carità; quale sia l'altezza, acciocché in cambio di queste opere buone, si speri il premio eterno del cielo, non la vana ricompensa nel tempo; quale sia infine la profondità, da cui deriva la gratuita grazia di Dio, secondo l'inscrutabile e segreto disegno della sua volontà.
In questo profondo amore di Dio siamo radicati e fondati: Siamo radicati, per essere il campo da coltivare; siamo fondati, per essere l'edificio da costruire, e poiché questa non è opera dell'uomo, lo stesso Apostolo avverte in un altro passo: Voi siete il campo di Dio, voi siete l'edificio di Dio. ( 1 Cor 3,9 )
Tutto ciò si compie quando, durante il nostro pellegrinaggio terreno, la fede agisce per mezzo della carità.
Ma nella vita futura la perfetta e completa carità, senza soffrire più alcuna pena, non crede per fede ciò che non vede, né desidera nella speranza ciò che non possiede, ma contemplerà in eterno la bellezza della Verità che non muta mai, e l'unica sua eterna occupazione, priva d'inquietudini, sarà quella di lodare ciò che ama e di amare ciò che loda.
L'Apostolo, continua dicendo: Che siano capaci di conoscere anche l'amore di Cristo, superiore ad ogni conoscenza, affinché vengano riempiti di tutta la pienezza di Dio. ( Ef 3,19 )
In questo testo sacro ci viene mostrata la figura della croce.
Cristo, che morì perché lo volle, mori pure nel modo che volle.
Non senza ragione quindi scelse questo genere di morte, ma solo per apparire anche in ciò maestro della larghezza, lunghezza, altezza e profondità del suo amore.
La larghezza sta nella traversa che s'inchioda sopra la croce e simboleggia le opere buone, giacché su di essa vengono distese le mani.
La lunghezza è nella parte che si vede dall'alto della croce sino a terra: ivi si sta per così dire dritti, cioè si persiste e si persevera; virtù che è attributo della longanimità.
L'altezza, è nella parte della croce che, a partire dal punto dove è inchiodata la traversa, sopravvanza verso l'alto, cioè verso il capo del crocifisso, poiché l'aspettativa di coloro che sperano è rivolta verso il cielo.
La parte della croce che non è visibile, perché confitta nella terra non si scorge, ma da cui si eleva tutto l'insieme, significa la profondità della grazia concessa gratuitamente.
Gli ingegni di molti si logorano nel tentativo di spiegare questo mistero, sicché alla fine l'Apostolo dice loro: Chi sei tuo, o uomo, che osi contraddire Dio? ( Rm 9,20 )
Vivranno dunque in eterno i cuori dei poveri saziati: intendo dire degli umili brucianti di carità, non intenti al proprio interesse ma contenti nella gioia della comunità dei santi.
Questo si verificò dapprima negli Apostoli.
Ma da quel che segue vedi quanti popoli essi conquistarono lodando Dio, cioè predicando la grazia di Dio, poiché è detto: Coloro che lo cercano, loderanno il Signore. ( Sal 22,27 )
Si ricorderanno - continua a dire il Salmista - e si convertiranno al Signore tutti i popoli più lontani della terra; davanti a Lui cadranno in adorazione tutte le famiglie delle genti, poiché al Signore appartiene il regno ed Egli dominerà sulle genti. ( Sal 22,28-29 )
Cristo, irriso e crocifisso, acquista questo regno e lo consegnerà alla fine a Dio Padre, non già per restarne privo egli stesso, ma per far giungere alla visione ( da cui non si allontanò mai dal Padre a lui uguale ) ciò che seminò nella fede, quando venne inferiore al Padre.
Mangiarono e lo adorarono tutti i ricchi della terra. ( Sal 22,30 )
Per ricchi della terra dobbiamo intendere i " superbi ", se più sopra giustamente intendevamo per " poveri " gli " umili ", dei quali è detto nel Vangelo: Beati i poveri nello spirito, perché di loro è il regno dei cieli, ( Mt 5,3 ) poiché essi sono miti, piangono, hanno fame e sete di giustizia, sono misericordiosi, puri di cuore, pacifici, soffrono persecuzioni a causa della giustizia, a ciascuna delle quali asserzioni Cristo aggiunse una beatitudine particolare. ( Mt 5,3-12 )
Nel versetto del salmo, al contrario, bisogna intendere nei ricchi della terra i " superbi ".
Non senza motivo furono distinti in modo che, mentre a proposito dei poveri il Salmista disse: Mangeranno e si sazieranno, per i ricchi si espresse in altro modo: Tutti i ricchi della terra mangeranno e lo adoreranno.
Anche questi si sono accostati alla mensa di Cristo e ne ricevono il corpo e il sangue: ma lo adorano soltanto, non se ne saziano, poiché non lo imitano.
Pur cibandosi di un povero, disdegnano di essere poveri, per quanto Cristo abbia sofferto per noi lasciandoci l'esempio, perché ne seguissimo le orme! ( 1 Pt 2,21 )
Ma proprio perché si umiliò e si fece ubbidiente non solo fino alla morte, ma alla morte sulla croce, i ricchi lo disprezzano, si rifiutano di soffrire simili umiliazioni a causa della superbia e non della grandezza d'animo, della debolezza e non della forza di carattere.
Ma siccome Dio lo risuscitò dai morti e gli diede un nome superiore ad ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio degli esseri del cielo, della terra e degli inferi, ( Fil 2,9 ) anche i ricchi, spinti dalla fama della sua eccelsa grandezza e dalla gloria del suo nome nella Chiesa diffusa per ogni dove, vengono essi pure alla mensa, mangiano e adorano; tuttavia non si saziano, perché non hanno fame e sete di giustizia: poiché solo questi ultimi saranno saziati.
D'altronde la piena sazietà si avrà solo nella vita eterna quando, dopo l'esilio terreno, giungeremo dalla fede alla visione di Dio, dall'immagine riflessa nello specchio, all'immagine vera, dal mistero alla verità senza velo.
Tuttavia si può dire con ragione che si sazia della povertà di Cristo chi, per la sua giustizia, cioè per la partecipazione del Verbo eterno, incominciata frattanto per mezzo della fede, non solo, disprezza tutti i beni temporali con temperanza, ma sopporta anche i mali con pazienza.
Tali furono i peccatori e i pubblicani, poiché Dio scelse le cose umili di questo mondo, per confondere le forti. ( 1 Cor 1,27 )
Riferendosi ad essi il Salmista disse: I poveri mangeranno e saranno sazi.
Essi però non tennero solo per sé questa sazietà, poiché, mandandola, per così dire, fuori del cuore strapieno, lodarono il Signore, cioè predicarono cercando Lui, non gli interessi personali, e infiammandosi di carità per Lui; perciò il mondo fu così vivamente colpito della loro predicazione, che si ravvidero e si convertirono al Signore tutti i popoli più lontani della terra e tutte le famiglie caddero in adorazione al suo cospetto, poiché al Signore appartiene il regno ed egli dominerà i popoli. Per questa espansione della Chiesa anche i superbi o ricchi della terra furono indotti a mangiare e, benché non sazi, tuttavia adorarono.
Noi vediamo adesso che i fatti rivelati dal salmo nel passo esaminato si compiono secondo la successione con cui sono esposti dal Salmista.
Il Salmista soggiunge: Al cospetto di Lui procomberanno tutti quelli che discendono in terra; ( Sal 22,30 ) cioè tutti quelli che, amando i beni terreni, non ascendono al cielo, poiché non fanno ciò che raccomanda l'Apostolo: Se siete risorti con Cristo, cercate le cose del cielo dove Cristo è assiso alla destra del Padre; abbiate gusto per le cose del cielo, non per quelle della terra. ( Col 3,1 )
Quanto più i ricchi hanno l'impressione d'essere felici per i beni terreni, tanto più discendono in terra, cioè si ingolfano nei beni terreni.
E perciò cadranno al cospetto di Lui, cioè agli occhi di Dio, non agli occhi degli uomini, che li reputano più grandi e più elevati dei comuni mortali.
L'anima mia - dice il Salmista - vivrà per Lui; ( Sal 22,31 ) per Lui senz'altro, non per sé stessa, come l'anima dei superbi che ripongono la loro gioia nel bene privato e, nella loro stolta superbia, abbandonano il bene comune a tutti, ch'è Dio.
Evitiamo appunto tale insipienza e cerchiamo di godere del bene comune a tutti, anziché compiacerci del nostro interesse privato affinché quelli che vivono, non vivano più per sé stessi - come dice l'Apostolo - ma per Colui che è morto e risuscitato per loro. ( 2 Cor 5,15 )
Lo scopo per cui Cristo si fece mediatore fu quello di riconciliarci mediante l'umiltà con Dio, dal quale ci eravamo allontanati per causa della nostra empia superbia.
In realtà nella Sacra Scrittura non c'è solo il passo da me citato poc'anzi: Principio di ogni peccato è la superbia, ( Sir 10,15 ) ma si legge anche: Il principio della superbia dell'uomo è d'apostatare da Dio. ( Sir 10,14 )
Nessuno dunque viva per se stesso, ma per Cristo facendo non la propria, ma la sua volontà, e persistendo nel suo amore allo stesso modo che anch'egli fece la volontà del Padre e rimane nel suo amore.
Queste cose ci raccomandò nel suo Vangelo ( Gv 15,10 ) esortandoci col suo esempio.
Se Cristo stesso, ch'è eguale al Padre nella natura di Dio, affermò nondimeno di voler fare la volontà del Padre e non la propria nella natura di schiavo che assunse per amor nostro, quanto più noi, calpestando la nostra volontà personale, da cui siamo ottenebrati, dobbiamo accostarci alla luce comune che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, ( Gv 1,9 ) perché i nostri volti siano illuminati e non abbiano ad arrossire e perché l'anima nostra viva per Lui?
Nell'emistichio seguente poi il Salmista, riferendosi a noi, soggiunse: E la mia stirpe servirà Lui, poiché chi semina il buon seme è il Figlio dell'uomo; il buon seme inoltre sono i figli del regno.
Tutto ciò che è detto in questo salmo non si riferiva al tempo presente, ma era una profezia degli avvenimenti futuri, come appare dai fatti realmente accaduti; ecco perché il Salmista ha voluto concluderlo in modo da far capire che non esponeva avvenimenti del suo tempo né narrava fatti passati, ma prediceva il futuro: Sarà annunziata al Signore - dice - la generazione futura e i cieli annunzieranno la sua giustizia al popolo che nascerà e che il Signore ha fatto. ( Sal 22,32 )
Non dice: Sarà annunziato il Signore alla generazione ventura, ma: Sarà annunziata al Signore la generazione futura; il che non va inteso nel senso che viene annunziata a lui qualche cosa che egli non sappia, affinché la sappia; ma al modo che gli angeli annunziano non solo a noi i benefici di Dio, ma anche a Lui le nostre preghiere.
Poiché così troviamo in un passo della Sacra Scrittura dove l'angelo parla agli uomini: Io gli presentai il ricordo della vostra preghiera, ( Tb 12,12 ) non perché Dio conosca i nostri desideri o le nostre necessità solo in quel momento: Poiché il Padre vostro - dice il Signore - sa quello che vi necessita, prima che glielo chiediate, ( Mt 6,8 ) ma perché è una necessità della creatura razionale sottomessa a Dio di riferire le cause temporali alla vita eterna, sia chiedendo ciò che ha bisogno le sia fatto, sia consultandolo su ciò che deve fare.
Questo è il sentimento di devozione, perché essa stessa venga saldamente formata, non perché Dio venga informato.
Ciò è pure una prova che la creatura razionale non è per se stessa il bene, per cui possa essere beata, ma lo è quello immutabile, partecipando del quale diviene anche sapiente.
Può darsi che la frase: Sarà annunziata al Signore la generazione futura, corrisponda press'a poco alla seguente: " Piaceranno al Signore coloro che annunzieranno per Lui, non per sé", di modo che " annunziare al Signore " avrebbe il senso uguale a " vivere per il Signore ".
Così fu detto: Chi mangia, mangia in onore del Signore e chi non mangia, non mangia a gloria del Signore.
L'Apostolo soggiunge: e rende grazie a Dio, ( Rm 14,6 ) per far capire il significato dell'inciso a gloria del Signore che cioè lo fa per dar lode a Dio.
Solo allora si opera con rettitudine, con giustizia e spirito religioso, quando si compie un'opera buona in lode di Colui, per grazia del quale ci è concesso di compierla.
La frase: Sarà annunziata al Signore la generazione futura, anche conservando la stessa disposizione delle parole, si potrebbe intendere anche come se dicesse: " Sarà annunziata una generazione che verrà per il Signore ", cioè la generazione dei buoni e dei santi, poiché la generazione degli empi e dei birbanti non verrà per il Signore, ma per se stessa.
Tuttavia neppure in questo caso ci allontaniamo dal medesimo significato, per cui s'intende la partecipazione dell'anima al bene comune: che cioè la creatura razionale e mutevole non diviene beata se dal suo proprio bene mutevole non si rivolga, con umile pietà, al bene immutabile e comune che è Dio, da cui si allontanò con superba empietà, e gli resti fedele.
Progredendo in questo sentimento, qualunque opera buona compia, la compie in onore di Dio, cioè in lode di Lui, da cui ha ricevuta la grazia per farla.
Ne segue il rendimento di grazie, che si celebra nell'intimo segreto dei fedeli.
Conferma del senso dato poc'anzi è il seguito del versetto: Annunzieranno la sua giustizia al popolo che nascerà, che il Signore ha fatto.
Nelle parole: Annunzieranno la sua giustizia ritroviamo ripetuta l'affermazione precedente: Sarà annunziata al Signore la generazione ventura.
La generazione, di cui il Salmista predice la venuta, è quella dei buoni e dei santi, che sono tali per la giustizia di Dio, non per quella propria: Affinché non vi siano di quelli che, ignorando la giustizia di Dio e volendo stabilire la propria, non si sottomettano alla sua giustizia. ( Rm 10,3 )
La giustizia di Dio risalta ( per contrasto ) nelle parole: ignorando la giustizia di Dio, cioè quella che per sua grazia ci rende giusti.
Quando viviamo giustamente, siamo credenti in Lui che giustifica l'empio per la giustizia ch'egli ci dona, ( Rm 4,5 ) non per quella eterna e incommutabile giustizia per cui Dio è giusto.
In questo senso la giustizia, di cui parliamo e che è dono di Dio e ci permette di essere giusti, è indicata in quel salmo dov'è scritto: La giustizia tua è come i monti di Dio. ( Sal 36,7 )
I monti di Dio sono i " suoi santi ", dei quali altrove si dice: Ricevano i monti la pace per il popolo tuo. ( Sal 72,3 )
La Sacra Scrittura usa molte altre espressioni simboliche a proposito di questi monti, che ora sarebbe troppo lungo ricordare.
La giustificazione degli uomini da parte di Dio avviene secondo un disegno troppo occulto per noi, poiché è effetto della grazia accordata per suo amore.
Se è grazia, non è frutto di opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. ( Rm 11,6 )
Le opere buone cominciano dal momento in cui siamo giustificati.
Noi non siamo giustificati per il fatto ch'esse precedessero, e questa è la profondità di cui ho parlato molto più sopra.
Ecco perché nel medesimo salmo, dopo aver detto: La giustizia tua è simile a quella dei monti di Dio, il Salmista soggiunge: I tuoi giudizi sono come un grande abisso. ( Sal 36,7 )
Poi passa a parlare della salvezza comune agli uomini e alle bestie, poiché anch'essa è frutto della misericordia di Dio, e dice: Farai salvi, o Signore, uomini e bestie.
Come si è moltiplicata la tua misericordia! ( Sal 36,7-8 )
Ciò per farci capire che anche la salvezza eterna e immortale ( di cui parla l'Apostolo dicendo: Siamo stati salvati nella speranza ( Rm 8,24 ) ), la riceviamo gratuitamente allo stesso modo che la salvezza comune agli uomini e alle bestie, non in considerazione delle nostre opere, affinché nessuno insuperbisca, poiché le opere buone le compiamo in, virtù della giustificazione di Dio stesso: Noi siamo creature di Lui, creati in Cristo Gesù per fare opere buone, che Dio stesso ha predisposte perché camminassimo in esse. ( Ef 2,10 )
La salvezza eterna ci è data dunque per puro amore; a proposito di essa in un altro salmo è detto: Del Signore è la salvezza, e sopra il tuo popolo ( scenda ) la tua benedizione. ( Sal 3,9 )
Come dunque quando si legge: Del Signore è la salvezza, non si intende per salvezza quella per cui Dio è salvo, ma quella per cui sono salvi coloro che egli fa salvi; cosi quando si legge: Ignorando la giustizia di, Dio e volendo stabilire la propria, ( Rm 10,3 ) non deve intendersi la giustizia per cui Dio è giusto, bensì quella per cui sono giusti gli uomini che sono da lui giustificati con la sua grazia.
Per questo sono salvi perché giusti, poiché l'affermazione: Non hanno bisogno del medico quelli che stanno bene ma i malati, la spiegò con le parole successive, dicendo: Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. ( Mt 9,12-13 )
Non ci fece dunque salvi in considerazione delle opere di giustizia che compimmo noi, ma per sua misericordia, mediante il lavacro che ci rigenera. ( Tt 3,5 )
In virtù di questa grazia siamo stati salvati nella speranza. ( Rm 8,24 )
Nel salmo, già citato, si soggiunge: Ma i figliuoli degli uomini spereranno all'ombra delle tue ali.
Saranno inebriati dall'opulenza della tua casa ed al torrente delle tue delizie sazierai la loro sete; poiché presso di Te è la sorgente della vita, e nella tua luce vedremo la luce.
Diffondi la tua misericordia su coloro che Ti conoscono e la tua giustizia sui retti di cuore. ( Sal 36,8-11 )
A questa giustizia di Dio è contraria la superbia, per cui si ripone la fiducia nelle proprie opere.
Ecco perché il Salmista aggiunge: Non si avvicini a me il piede del superbo. ( Sal 36,12 )
Questa giustizia, in virtù della quale i suoi fedeli sono giusti vivendo nel frattempo mediante la fede, finché, giunta a perfezione la giustizia, siano condotti alla visione di Dio, come lo saranno anche all'immortalità del corpo con la perfetta salute, è la grazia della Nuova Alleanza.
Ecco perché l'Apostolo in un altro passo dice: Per Cristo noi fungiamo da ambasciatori, come se Dio esortasse per mezzo nostro; per amore di Cristo vi scongiuriamo di riconciliarvi con Dio, ( 2 Cor 5,20-21 ) e poi soggiunge: Dio rese peccato a nostro favore Colui che non conosceva il peccato, cioè lo rese vittima per i nostri peccati.
Difatti nella Legge stessa si chiamavano peccati le cose che si offrivano per espiarli.
Per farci diventare giustizia di Dio in lui, ossia affinché nel corpo suo, cioè nella Chiesa di cui egli è il capo, noi fossimo la giustizia di Dio che quelli hanno ignorata e, volendo stabilire la propria, ossia gloriandosi come di opere proprie, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )
Per questo motivo, nel salmo che esaminiamo, il Salmista alle parole Annunzieranno la sua giustizia fece seguire queste altre: Per il popolo che nascerà, che il Signore ha fatto. ( Sal 22,32 )
Qual'è infatti il popolo che il Signore non abbia fatto, in quanto uomini, se egli ha creato anche gli animali, se da lui proviene ogni vita e fu fatta e creata ogni natura?
Ma le parole: il popolo che il Signore ha fatto vanno intese non solo nel senso che sono stati creati da lui come uomini, ma che sono stati resi anche giusti, secondo le parole di Paolo più di una volta ricordate: Noi siamo creature di Dio, creati in Gesù Cristo per le opere buone, predisposte da Dio perché camminassimo in esse. ( Ef 2,10 )
Viene ricordata la condizione dell'anima razionale in quanto soggetta a mutare, acciocché sappia che senza la partecipazione al bene immutabile non può essere giusta né salva né sapiente né beata e con la sola propria volontà non può essere per se stessa il bene, ma il male.
Poiché per mezzo della propria volontà non solo si allontana dal bene immutabile e, allontanandosene, si vizia, ma non è nemmeno in grado di guarire da se stessa, bensì unicamente per gratuita misericordia del suo Creatore, che, facendola vivere in questa vita nella fede, la fortifica nella speranza della Salvezza eterna.
Perciò non s'innalzi in superbia ma tema, e con casto timore si unisca a Dio che la purificò dalla propria impurità, con cui amò disordinatamente i beni materiali, come infetta per fornicazione spirituale.
Non s'inorgoglisca per le lodi degli uomini, per non appartenere al numero delle vergini stolte, ( Mt 25,3 ) che godono delle lodi altrui ed operano il bene per vanagloria, non per dovere della propria coscienza, dove è loro testimone Iddio.
È questo l'ultimo quesito che mi hai proposto.
L'anima razionale appartenga invece al numero delle vergini sagge e possa dire come l'Apostolo: La nostra gloria è questa: la testimonianza della nostra coscienza. ( 2 Cor 1,12 )
Questo vuol dire portare con sé l'olio, non andarlo a comprare dai venditori, cioè dagli adulatori.
Poiché gli adulatori sogliono vendere la propria lode come olio agli stolti.
Di questo olio si legge nel salmo: Il giusto mi correggerà nella sua misericordia; ma l'olio del peccatore non impinguerà il capo mio. ( Sal 141,5 )
Preferisce essere ripreso caritatevolmente dal giusto e venire, per così dire, schiaffeggiato da lui, anziché essere lodato dall'adulazione del peccatore, sicché il capo gli cresca alto in superbia.
Mi sembra una risposta propria di chi prende in giro, quella data dalle vergini sagge alle stolte: Andate piuttosto dai venditori e compratevelo.
Così in un libro della Sapienza sta scritto ciò che Dio dice a coloro che lo disprezzano: Io riderò sopra la vostra perdizione. ( Pr 1,26 )
Alla richiesta d'olio delle vergini stolte, le sagge risposero non per difetto di speranza, ma con umiltà: Per paura che non basti né a voi né a noi.
Infatti chi potrebbe presumere tanto della sua coscienza, da essere certo che gli possa bastare nel giudizio di Dio, se Dio stesso non giudicasse con misericordia i misericordiosi?
Poiché il giudizio sarà senza misericordia per colui che non ha avuto misericordia. ( Gc 2,13 )
Le lampade simboleggiano poi le opere buone, di cui il Signore dice: Le vostre opere buone splendano al cospetto degli uomini e glorifichino il vostro Padre celeste. ( Mt 5,16 )
L'intenzione delle vergini sagge nel volere che le loro opere buone siano viste dagli uomini ha per scopo non già che ne ricevano lode esse, ma che sia data gloria a Dio, dal quale hanno ricevuto la grazia di fare il bene.
Per questo motivo godono anche del bene interiore, sotto lo sguardo di Dio, ove l'elemosina resta in segreto, affinché il Padre che vede nel segreto dia la sua ricompensa. ( Mt 6,4 )
Per lo stesso motivo le lampade non si estinguono mai, perché sono alimentate dall'olio interiore, cioè dall'intenzione della buona coscienza, per cui si compie sotto lo sguardo di Dio e per la sua gloria tutto ciò che risplende nelle buone opere agli occhi degli uomini.
Le lampade delle vergini stolte invece, che non portano con sé l'olio, si estinguono, cioè le buone opere non risplendono di luce costante qualora cessi la lode degli uomini, per la quale le compivano, avendo di mira solo che fossero viste dagli uomini, non che venisse glorificato il Padre celeste.
L'intenzione di dar gloria a Dio è invece di perenne gloria per l'anima, che sa di essere debitrice a Dio se fu giustificata nel compiere le opere buone, e perciò vuol essere lodata in rapporto al Signore, non in rapporto a se stessa.
Altrove l'uomo di Dio canta: L'anima mia si glorierà nel Signore, ( Sal 33,2 ) affinché chi si gloria, si glori nel Signore. ( 1 Cor 1,31; 2 Cor 10,17; Ger 9,24 )
Ma che vuol dire quanto è scritto nel passo del Vangelo, che cioè, siccome lo sposo tardava, le vergini si addormentarono tutte? ( Mt 25,5 )
Se intenderemo questo sonno come il raffreddamento della carità, ( Mt 24,12 ) a causa delle cresciute iniquità, in seguito al ritardo del giudizio che dovrà pronunciare Cristo, in qual modo porremo tra esse le vergini sagge, essendo esse piuttosto tra quelle di cui è detto: Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvo? ( Mt 24,13 )
Fu detto dunque: Si addormentarono tutte, perché non solo gli stolti, che operano il bene al cospetto degli uomini per, la lode umana, ma anche i saggi, che agiscono perché Dio sia, lodato, hanno da sopportare questa morte; poiché muoiono le persone di tutte e due le categorie.
Questa morte è spesso chiamata nelle Scritture dormitio a causa della risurrezione futura che sarà per così dire un risveglio.
Ecco perché l'Apostolo dice: Non voglio, o fratelli, che siate nell'ignoranza circa la sorte di coloro che si addormentano, ( 1 Ts 4,13 ) e in un altro passo: Parecchi di essi sono ancora vivi; alcuni invece si addormentarono. ( 1 Cor 15,6 )
Si trovano ancora a tal riguardo molti altri passi espliciti delle Scritture dell'Antico e del Nuovo Testamento in cui la morte è indicata con questo termine.
Ecco perché anche Virgilio chiama: Il sonno fratello della morte;1 e se farai attenzione, troverai molti altri esempi anche negli scrittori profani, nei quali la morte è paragonata al sonno.
Il Signore dunque ha voluto indicare che ci sarebbe stato un tempo in cui tra le tribolazioni di questa vita, si dovrà aspettare e sperare da un momento all'altro il suo arrivo come vicino e imminente e al quale dovranno prepararsi coloro che sembrano appartenere alla sua famiglia.
Questo intese dire, parlando alle vergini che andarono incontro allo sposo e alla sposa. ( Mt 25,1 )
Lo sposo è il Figlio di Dio, ma la sposa può essere il corpo che prese dalla Vergine e col quale verrà ( nel giudizio finale ); può essere anche la Chiesa, che apparirà luminosa allorché le membra concorreranno a formarne l'intero corpo e a causa del loro concorso apparirà in tutta la sua grandezza.
Cristo le chiamò vergini riguardo alla continenza; erano dieci, cinque da una parte e cinque dall'altra, in rapporto al numero dei sensi corporei, nei quali risiede la continenza quando ci si astiene dei piaceri turpi e illeciti.
Le lampade, come ho già detto, sono le opere buone, soprattutto quelle di misericordia, come pure è la lodevole condotta che rifulge anche al cospetto degli uomini.
Ma ciò che più conta è l'intenzione con cui si agisce: perciò Cristo chiama sagge alcune vergini, stolte le altre.
Ma le distingue dal fatto che le stolte non presero con sé l'olio, mentre le sagge lo portarono nei loro recipienti, cioè nei loro cuori dove appunto avviene la partecipazione dell'intimo e supremo bene.
Ecco perché in un salmo, dopo la frase: Offrite sacrifici di giustizia e sperate nel Signore, il Salmista soggiunge: Molti dicono: Chi ci farà vedere il bene? ( Sal 4,6 )
Il Salmista poi, al fine di farci capire per amore di quale bene dobbiamo compiere le opere della giustizia, cioè offrire il sacrificio di giustizia, dice: La luce del tuo volto è impressa in noi, o Signore, tu hai infuso la gioia nel mio cuore. ( Sal 4,7 )
Chi, partecipando in qualche misura di questo bene e sforzandosi di parteciparvi con maggiore pienezza e perfezione, compie il bene e vive lodevolmente al cospetto degli uomini, ha con sé l'olio che non fa estinguere le sue opere buone, ma al contrario le fa splendere anche agli occhi degli uomini; poiché in lui non si raffredda la carità col crescere dell'iniquità, ma persevera sino alla fine.
Le vergini stolte non hanno con sé quest'olio, poiché attribuendosi il merito di qualche loro opera buona, si gonfiano necessariamente di superbia e per questo vizio trovano tanto piacere nella lode umana, che, se compiono del bene, sembrano essere infiammate e illuminate solo dalla gloria mondana.
Siccome lo sposo tardava, si addormentarono tutte. Cristo non verrà quando
ce lo aspettiamo, ma
a mezzanotte, quando è molto buio, cioè quando non si sa se verrà. Perciò il
Vangelo dice: A mezzanotte
si levò un grido: Ecco, viene lo sposo, uscitegli incontro.
( Mt 25,6 )
Questo grido è senza dubbio il simbolo della tromba, a cui accenna l'Apostolo dicendo: Squillerà la tromba e i morti sorgeranno incorruttibili. ( 1 Cor 15,52 )
Con la parola " tromba " vuole farci intendere un segnale evidentissimo e lampante, che in un altro passo l'Apostolo chiama la voce di un arcangelo e la tromba di Dio. ( 1 Ts 4,16 )
Nel Vangelo questa tromba è chiamata anche la voce del Signore stesso Gesù Cristo; la udranno quelli che sono nei sepolcri e ne verranno fuori. ( Gv 5,28 )
A questa voce dunque si alzano tutte le vergini, sia le sagge che le stolte, e preparano le lampade, cioè si preparano a rendere conto del loro operato.
Ma quando risuonerà squillante quel grido e risorgeranno i morti, poiché non vi sarà più alcun dubbio del giudizio ormai imminente e stringente, le lodi umane non saranno più di nessun conforto.
Non vi sarà tempo di discutere di un tale o di giudicare di un altro né compiacere o sostenere un altro, dal momento che ognuno porterà il proprio fardello ( Gal 6,5; Sal 62,13; Mt 16,27; 1 Cor 3,8 ) e penserà a rendere conto delle proprie azioni.
L'animo delle vergini stolte si lascerà bensì trascinare dalla propria abitudine ma, in mancanza delle lodi umane, verrà meno.
Esse infatti non dissero sinceramente: La mia lode è presso di te; ( Sal 22,26 ) o: L'anima mia si vanterà nel Signore, ( Sal 34,3 ) né si gloriarono nel Signore, ma disconoscendo la giustizia di Dio, cercarono di accampare una giustizia propria. ( Rm 10,3 )
Questa è la ragione per cui chiedono alle vergini sagge l'olio, cioè qualche conforto, ma non lo trovano né lo ricevono, poiché quelle rispondono di non sapere se basti a loro medesime la buona coscienza, per cui si attendono misericordia dal divino giudice; quando questi si sarà assiso sul trono, chi mai potrà gloriarsi di avere un cuore puro o di essere mondo da peccato, se la misericordia non sorpassa la severità del giudizio? ( Gc 2,13 )
Questa misericordia scenderà su coloro che fecero le opere di pietà con l'intenzione di essere trattati con indulgenza da Colui, dal quale sapevano di aver avuto quanto possedevano, ( 1 Cor 1,31 ) né si gloriavano come se non lo avessero avuto in dono ma lo possedessero da sé, per potersene compiacere a guisa degli stolti che si compiacciono di se stessi come di un bene datosi da sé per adulazione o per errore, e sono lodati come fossero qualcosa.
Chi però crede di essere qualcosa, mentre non è nulla - dice l'Apostolo - inganna se stesso.
Ciascuno consideri seriamente il proprio operato e allora troverà motivo di gloriarsi solo in se stesso e non in un altro; ( Gal 6,3 ) questo vuol dire portare l'olio con sé: non dipendere dalla lode altrui.
Ma quale gloria potrà avere in sé medesimo, se non possederà Colui, in onore del quale si canta: Tu sei la gloria mia ed innalzi il mio capo, ( Sal 3,4 ) affinché, come spesso occorre dire, chi si gloria, si glori nel Signore? ( 1 Cor 1,31 )
Ecco perché la sapienza, che risiede nelle vergini sagge, secondo quanto predisse il Salmista allorché apostrofò i dispregiatori che rifiutano di accogliere la dottrina che salva: Io riderò della vostra perdizione, ( Pr 1,26 ) dice ora alle vergini stolte: Andate piuttosto dai venditori e compratevelo da voi, ( Mt 25,9 ) come se dicesse: ove sono coloro che v'ingannavano con falsissime lodi, allorché vi lasciavate ingannare voi stesse poiché vi gloriavate in voi, non nel Signore?
Inoltre la frase della Scrittura: Ma mentre quelle andavano a comprare l'olio, venne lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui, mi sembra debba intendersi nel senso che per un colpevole sentimento dell'animo le vergini stolte avevano un gran desiderio di vanagloria che ricercarono con superbia e leggerezza di mente.
Questo desiderio è indicato appunto nella frase già detta: Mentre andavano a comprare, venne lo sposo ed entrarono con lui a nozze quelle che erano pronte.
Per pronte intendi le vergini che portavano in cuore la vera fede e la vera pietà, con cui potessero unirsi al numero e alla società dei santi, che si gloriano non in sé, ma nel Signore, e potessero entrare con loro nella gloria, di cui nel Vangelo è detto: Entra a godere la gioia del tuo Signore. ( Mt 25,21-23 )
In questa gioia sarà la perfetta partecipazione al bene immutabile di cui in terra abbiamo per così dire un pegno mediante la fede, per vivere secondo questa grazia, in quanto viviamo per Dio, non per noi.
Pertanto riguardo alla frase che segue e cioè: All'ultimo vennero anche le altre vergini, dicendo: Signore, Signore, aprici! ( Mt 25,11 ) non è detto che prima andassero a comprare l'olio, poiché non c'era più possibilità, e poi venissero, ma che implorarono misericordia troppo tardi, quando era già tempo di giudicare e separare i buoni dai reprobi.
Giusta poi è la risposta data a loro: In verità vi dico: Non vi conosco. ( Mt 25,12 )
Lo dice colui al quale nulla è nascosto.
Ma io non vi conosco non può voler dire altro che: voi non mi conoscete, dal momento che avete preferito aver fiducia in voi piuttosto che in me.
Quando si dice che Dio ci conosce, è Dio stesso che ci dà la sua conoscenza, per farci capire che non possiamo attribuirci neppure il merito di conoscere Dio, ma anche per tale conoscenza siamo debitori alla sua misericordia.
Ecco perché l'Apostolo, avendo detto in un passo: Voi ora conoscete Dio si corresse aggiungendo: o meglio siete stati conosciuti da Dio. ( Gal 4,9 )
Che altro volle far intendere con ciò se non che è stato Dio stesso a darci la conoscenza di lui?
Nessuno poi conosce Dio, tranne chi comprende essere lui il supremo e incommutabile bene, per la cui partecipazione diviene buono.
Questa è appunto la conclusione del salmo già spiegato: Annunzieranno la giustizia sua al popolo che nascerà, che il Signore ha fatto. ( Sal 22,32 )
Lo stesso concetto è ribadito in un altro salmo: È stato Lui a farci e non già noi. ( Sal 94,3 )
Una simile espressione non deve essere riferita alla natura, per cui siamo uomini e della quale Dio medesimo è il creatore, come lo è del cielo, della terra, delle stelle e di tutti gli esseri animati, ma piuttosto all'affermazione dell'Apostolo: Siamo fattura di Lui, creati in Gesù per le opere buone, predisposte da Dio perché in esse camminassimo. ( Ef 2,10 )
Penso che ti siano stati risolti con sufficiente chiarezza i tuoi cinque quesiti nella lunga spiegazione del mio per così dire sesto quesito, che mi son posto riguardo alla grazia del Nuovo Testamento per cui il Verbo si fece carne, ( Gv 1,14 ) cioè il Figlio di Dio si fece uomo col prendere la nostra natura senza perdere la sua, affinché fosse concessa anche a noi, che lo accogliamo, la possibilità di diventare figli di Dio da uomini che eravamo, cambiati in meglio per la partecipazione del bene immutabile, al fine di avere non la felicità temporale, ma l'adozione della vita eterna, ch'è la sola beata.
Ho creduto quindi opportuno esporre il salmo profetico, il cui primo versetto fu ricordato da Cristo nella sua passione, mostrando in che modo Dio ci abbandona e in quale altro modo non si allontana da noi, conducendoci ai beni eterni, col darci talora utilmente i beni temporali, talora sottraendoli, pure utilmente.
Vuole in tal modo che impariamo a non restare legati a questi beni e a non disprezzare la luce interiore che una proprietà della vita nuova, per cui anche un salmo s'intitola: Per l'aiuto del mattino, quasi a indicare la luce nuova, per non compiacerci di abitare nelle tenebre esterne, donde sono sospinti in tenebre più esterne coloro che dai beni esterni non si volgono a quelli interiori, e per evitare che uniti al diavolo e ai suoi angeli siamo puniti con l'estrema condanna.
Comprendendo dunque che in questa vita siamo come in esilio, crocifiggiamoci al mondo, stendendo le braccia nella larghezza delle opere buone, perseverando sino alla fine nella longanimità e avendo il cuore proteso verso l'alto, dov'è Cristo che siede alla destra di Dio ( Col 3,1-2 ), attribuendo tutto ciò non a noi, ma alla misericordia di lui, i cui profondi disegni sorpassano le forze di chiunque li scruti.
Tale è la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità non vanamente immaginarie, ma utilmente vere, da cui possiamo giungere anche all'eccelsa sapienza dell'amore di Cristo ed essere riempiti di tutta la pienezza di Dio. ( Ef 3,19 )
Non credo che la mia sia stata una preoccupazione superflua, se approfittando dei quesiti da te propostimi, ho voluto darti una spiegazione piuttosto lunga della grazia della Nuova Alleanza.
Poiché essa ha degli avversari che, turbati dalla profondità di questo mistero, non vogliono attribuire a Dio, ma piuttosto a sé stessi, il merito d'essere buoni.
Non sono persone che si possano facilmente tenere in poco conto, vivono anzi nella continenza e meritano lode per le opere buone.
E nemmeno credono, come i Manichei e moltissimi altri eretici, a un falso Cristo, ma al Cristo vero, uguale e coeterno al Padre, ch'è venuto sulla terra e si è fatto veramente uomo, e del quale aspettano pure il ritorno, ma ignorano la giustizia di Dio e vogliono stabilire la propria. ( Rm 10,3 )
Non senza ragione il Signore chiamò vergini ( poiché vivevano in continenza ) tanto quelle che entrarono con lui al convito nuziale, quanto quelle contro cui chiuse le porte, rispondendo loro: Non vi conosco; ( Mt 25,10-13 ) ne enumerò cinque per gruppo, perché avevano domato le passioni della carne che si servono dei cinque sensi; sono tutte fornite di lampade a causa della splendidissima lode acquistata con le opere buone e con la loro buona condotta agli occhi degli uomini: le une e le altre vanno incontro allo sposo, poiché aspettano e sperano nell'arrivo di Cristo.
Tuttavia chiamò sagge le une, stolte le altre, poiché le sagge portavano l'olio nei recipienti, mentre le stolte non lo portavano con sé.
Sotto tanti riguardi erano uguali, ma solo in questo diverse.
È per questo solo motivo che il Vangelo impose loro titoli diversi e contrari.
Quale legame più stretto di rassomiglianza può esserci tra vergini e vergini, cinque da una parte e cinque dall'altra, tutte fornite di lampade, le une e le altre incontaminate e incamminate egualmente incontro allo sposo?
E che c'è di più opposto quanto le sagge e le stolte?
E ciò si capisce facilmente, poiché le prime portano l'olio nei recipienti, cioè la conoscenza della grazia di Dio nei loro cuori, in quanto sanno che nessuno può essere continente, se Dio non glielo concede, ( Sap 8,21 ) e reputano ch'è effetto di sapienza conoscere da chi provenga tale dono; le altre al contrario, senza ringraziare Colui che largisce tali beni, si perdettero in vani pensieri, il loro cuore insensato si ottenebrò e, mentre dicevano di essere sagge, diventarono stolte. ( Rm 1,21-22 )
Certo non dobbiamo disperare in alcun modo neppure di queste, prima che ci addormentiamo nella morte: ma se si addormenteranno in quella disposizione di spirito, anche se si sveglieranno, cioè risorgeranno quando risonerà il grido che annunzierà vicino l'arrivo dello sposo, rimarranno fuori, non perché non siano vergini ma perché, ignorando da chi hanno ricevuto la virtù che posseggono, sono vergini stolte.
Giustamente resteranno fuori, dato che non portarono nel loro intimo il sentimento di gratitudine per la grazia ( di Dio ).
Le virtù sono dono della grazia.
Per concludere, quando t'imbatterai in persone simili alle vergini stolte, non lasciarti persuadere da esse a portare recipienti senza olio, ma sii tu a persuaderle di riempirli d'olio.
Proprio per questo l'Apostolo dice: Chiunque presume di sapere qualche cosa, non sa ancora in che modo si debba sapere; e subito dopo ne spiega il significato aggiungendo: Chiunque però ama Dio, è conosciuto da Dio. ( 1 Cor 8,3 )
Dicendo è conosciuto da Dio, non volle intendere che Dio lo conosce, ma volle affermare più esplicitamente che anche il fatto per cui amiamo Dio ci proviene da Lui. In realtà l'amore di Dio è diffuso nei nostri cuori, non per mezzo nostro, ma dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )
Necessariamente poi ama poco Dio chi reputa d'essere divenuto buono per merito proprio e non di Dio.
Come può una tale persona non vantarsi di sé anziché del Signore?
Chi si vanta d'essere buono, deve vantarsi di Colui dal quale è stato reso tale; di conseguenza chi crede d'essere divenuto buono per merito proprio, si vanta di sé, non del Signore. ( 1 Cor 1,31 )
Lo scopo della grazia della Nuova Alleanza, per cui teniamo i nostri cuori rivolti in alto ( poiché ogni cosa ottima a noi concessa e ogni dono perfetto ci vengono dall'alto ( Gc 1,17 ) ) è quello d'impedirci d'essere ingrati; come anche nel ringraziare Dio, ciascuno non fa altro che riporre ogni motivo di vanto in Dio.
Eccoti un trattato, anche se prolisso, non però inutile, a mio giudizio.
Ma avvezzati a leggere anche i testi degli scrittori ecclesiastici e troverai non molte difficoltà su cui Chiedermi spiegazioni.
Se durante la lettura e la meditazione preghi anche con cuore puro il Signore, dispensatore d'ogni bene, apprenderai alla perfezione tutto o almeno moltissimo di ciò che merita d'essere conosciuto più in virtù dell'ispirazione di Dio che della spiegazione di qualcuno.
Del resto anche quando approviamo con giudizio sicuro le giuste osservazioni d'un'altra persona, cos'altro facciamo se non confessare d'avere per maestro l'intimo lume del nostro spirito?
Indice |
1 | Verg.,Aen. 6,278 |