Summa Teologica - I |
3 - Naturalmente, il metodo che l'Angelico Dottore segue in questa trattazione, sotto un certo aspetto, è differente e, in qualche modo, opposto a quello seguito nella sezione precedente.
Allora si trattava di ciò che deve convenire a Dio considerato come causa prima e quindi come termine dei rapporti che le creature ( specialmente le cose sensibili ) hanno col loro autore, in forza del principio di causalità.
Il processo dimostrativo si appoggiava alla ragione umana, e utilizzava quanto era stato detto in proposito dagli antichi Filosofi, nelle loro investigazioni sulla causa prima.
La fede non ci aveva che una funzione di direzione e di conferma: per questo, pur appartenendo alla stessa scienza teologica, che è sapienza e regina, le questioni della sezione precedente, presentano quasi la stessa fisionomia che hanno nella metafisica, quando questa s'avvicina alla realtà suprema, con in più la precisione assicurata dai nuovi dati dell' insegnamento divino.
Ora, invece, si ha un procedere inverso.
Le dimostrazioni si fondano sulla fede e partono dai dati specifici della rivelazione, accettati per fede, e utilizzano le determinazioni del magistero ecclesiastico, l'insegnamento dei Padri e dei Dottori della Chiesa.
La ragione non vi ha che un posto molto secondario o, come fu detto, « ancillare »: essa è tutta protesa nella ricerca delle nozioni analoghe che servano a chiarire in qualche modo alla mente umana, nella trasluminosa tenebra della verità divina, conosciuta per fede ma non veduta, il contenuto fecondo di questa stessa verità rivelata.
Come ancella essa non definisce, ma, diretta dalla fede, cerca soltanto di chiarire per noi e difendere dalle impugnazioni quanto la fede stessa insegna.
Non si devono perciò prendere come argomenti probativi certi ragionamenti che, supposta la fede, sono fatti in vista della nostra insufficienza a capire, e che lasciano intatto il mistero nella sua inviolabile santità.
Per Tommaso d'Aquino la imperscrutabilità non significa inintelligibilità, ma l'intelligibilità non si esaurisce tutta con una dimostrazione solare della ragione filosofica.
Il metodo dell'Angelico Dottore acquista qui e accentua fortemente il modo proprio della teologia.
Da ciò deriva il largo uso che egli fa dei « luoghi » o « topici » propri della teologia: sacra Scrittura, Concili, Padri e Dottori della Chiesa.
Questo va tenuto ben presente, affinché non faccia sgradevole impressione il vedere come certi quesiti siano proposti quasi unicamente perché qualche Padre della Chiesa ha espresso il suo pensiero in un modo piuttosto che in un altro.
4 - La documentazione positiva di questo trattato non è però eccessiva, anche perché sarebbe contro la intenzione espressamente enunciata nella Somma.
Di questo fatto esiste una ragione più decisiva ed è quella data dal carattere critico del processo tomistico, il quale, avendo già assimilato tutti i dati positivi, pone il suo invariabile utrum ad ogni punto dato, quasi a segnare la precisa linea di scavo.
Per apprezzare nella giusta misura questa documentazione positiva, che non s'affardella, come presso altri autori antichi e moderni, ma si presenta « spedita e pronta » a modo di « autorità », bisogna tener presente i tre giganti della teologia trinitaria che sono Ilario, Agostino e il Damasceno.
Le Sentenze di Pietro Lombardo e le opere di altri grandi scolastici formano il patrimonio positivo comune e basta un semplice accenno per richiamare tutta una serie di dati positivi da esaminare.
I personaggi che interloquiscono si presentano quasi tutti col loro nome e le carte pulite.
Il gruppo dei filosofi puri è piccolissimo: Aristotele ( 26 citazioni ), Avicenna ( 1 citazione ), Macrobio ( 1 citazione ).
Col nome di Trismegisto è citato lo scritto pseudo-ermetico Liber XXIV philosophorum.
Il pensiero degli eretici antitrinitari è esaminato con molta serenità e comprensione dell'umana debolezza.
Ario e Sabellio rappresentano le due ali estreme dell'errore.
Eunomio è nominato una volta e, quando si ricorda l'impaziente stoccata di Agostino: « ridicola è la dialettica di Eunomio », che Pietro Lombardo sottolinea volentieri, la calma espressione di Tommaso rivela il diverso modo di vincere.
Sotto il nome di Ario ( q. 42, a. 2, arg. 1 ) è citato una volta Candido Ariano il cui pensiero sui dodici modi di generazione è riferito da Mario Vittorino, il celebre retore neo-platonico, del quale Simpliciano raccontò la conversione ad Agostino.
Teodoreto [ m. c. 4S.8, riconciliato con la Chiesa ] è giudicato assai severamente, a giudizio di certi critici moderni; ma, siccome si tratta del Filioque e lo stesso giudizio è espresso per il Damasceno forse si potrebbe addolcire la risposta ( q. 36, a. 2, ad 3 ), approfondendo le ricerche con i principi dell'articolo.
Lo gnostico Valentino fa una fugace comparsa ( q. 34, a. 2, ad 2 ), ma sufficiente ad allargare la visuale storica del pensiero tomistico, che svela, anche solo in questo particolare, un'eccezionale finezza di penetrazione, appena velata dal riferimento a due autorità: Ilario e Agostino.
La posizione di Origene [ + 253 ], anche in questa parte della Somma Teologica, non è simpatica: una volta sola si salva ( q. 42, a. 2, ad 4 ), mentre le altre due apparisce più nella luce dell' « Origenismo » che nella sua personalità.
Una volta è messo insieme con Ario ( q. 32, a. 1, ad 1 ) e un'altra è detto « sorgente degli ariani » ( q. 34, a. 1, ad 1 ).
Ma si può credere che la responsabilità di questo giudizio risalga a S. Girolamo, il quale nella Lettera a Pammachio e Oceano chiama Origene « fontem Arii », ed è la identica espressione che si ritrova nella Somma: « quorum ( degli Ariani ) fons Origenes invenitur ».
Noto che Girolamo cambiò atteggiamento di fronte a Origene sotto l'influsso di Epifanio che, per quasi trent'anni [ 374 - 431 ], si oppose all' Origenismo, o, come egli dice, agli « Origenisti ».
Ora, Epifanio dice appunto che « da lui presero i motivi Ario e quelli che vennero dopo, Anomei ed altri » ( Haeres., 64, 4 ).
L'« invenitur » dell'Angelico Dottore non è senza speciale significato storico: tale nesso genetico di dottrine « si trova » in una certa documentazione, ma egli non esclude anzi invita a precisare l'atteggiamento e il pensiero di Origene, come del resto aveva già fatto Atanasio nel De decretis Nicaenae Synodi ( 27 ).
Il criterio che idealmente guida e sostiene sempre il pensiero di Tommaso d'Aquino è il magistero della Chiesa, espresso nei quattro grandi Concili Ecumenici: Niceno [ 325 ], Costantinopolitano [ 381 ], Efesino [ 431 ], Calcedonese [ 451 ].
É pure citato, a proposito del Filioque, un certo concilio occidentale, che è quello di Toledo [ 447 ].
Tale criterio ha la sua formula nel Simbolo Niceno-costantinopolitano che è sempre presente, anche se le citazioni esplicite sono due sole.
Più frequenti invece ( 14 cit. ) quelle del così detto simbolo atanasiano, Quicumque; e che, pur non avendo il crisma conciliare e non essendo del grande dottore alessandrino, rimane una « regola della fede » come lo qualifica l'Enchiridion Symbolorum del Denzinger-Bannwart ( n. 39 in nota ).
Non dispiace incontrare in questo trattato anche l'uso della Liturgia, sia per chiarire una espressione del Gloria in excelsis ( q. 31, a. 4, ad 4 ), sia per confermare un insegnamento, col Praefatio della Trinità ( q. 28, a. 2 ).
Sempre a proposito del Filioque è citata una Legenda beati Andreae ( q. 36, a. 2, ad 4 ) e la risposta indica rispetto per una mentalità differente dalla latina.
5 - Ora si presenta la massiccia schiera dei grandi Padri e Dottori della Chiesa: Ilario [ m. 367 ] con le due opere: De Trinitate e De Synodis; Ambrogio [ m. 397 ] col De Fide; Girolamo [ m. 420 ]; Agostino [ m. 430 ] del quale si citano molte opere e specialmente il De Trinitate; Gregorio Magno [ + 604 ].
Sotto il nome di Agostino, è citato Fulgenzio di Ruspe [ m. 533 ]: De Fide ad Petrum, e l'autore del Dialogo LXV quaestionum.
La Chiesa orientale greca è rappresentata da Basilio ( una citazione fondamentale dell'omelia De Fide ); da Dionigi detto l'Areopagita ( la regola d'oro è ricordata quattro volte, sempre all'inizio di una ricerca: q. 29, a. 3, arg. 1; q. 32, a. 2, arg. 1; q. 36, a. 2, arg. 1; q. 39, a. 2, arg. 1 e ciò non è forse un semplice giuoco dialettico ); dal Damasceno [ m. c. 739 ] col De Fide Orthodoxa.
Sotto il nome di Girolamo, c'è una citazione di Didimo il cieco [ m.398 ], al quale alcuni attribuiscono pure il Libro V contro Eunomio citato da Tommaso d'Aquino, secondo l'uso del tempo, come opera di Basilio.
Da Pietro Lombardo ( Sentenze, 1. IV, d. 13, c. 2 ) dipende la citazione del libro attribuito a S. Girolamo: Regulae definitionum contra haereticos ( q. 31, a. 2; q. 39, a. 7, arg. 1 ); ma se alla stessa opera appartiene, come pare, la citazione delle Sentenze, 1. I, d. 13, c. 4 ( riferita nella q. 33, a. 4, ad 2 ) e che sembra presa dal Trattato dello Spirito Santo di Didimo il cieco, tradotto da S. Girolamo, si può credere che le Regulae defìnitionum fossero una compilazione fatta sull'opera di Didimo, nella traduzione di Girolamo.
Queste semplici affermazioni sembrano sufficienti a farci comprendere che il materiale documentario di cui si serve l'Angelico Dottore è criticamente autentico e valido, in generale.
Ciò che nel patrimonio comune è riconosciuto come etichetta, riconosciuta falsa dalla critica moderna, non indebolisce il contenuto e non compromette la saldezza della costruzione.
6 - Come ultimo gruppo, abbiamo alcuni autori che, o rappresentano il nuovo indirizzo del pensiero teologico nel senso della Scolastica occidentale, oppure col loro afflato mistico hanno costretto il pensiero scolastico a stringere più intimamente i rapporti con i principi della fede e con l'esperienza religiosa.
Tra i primi ci sono Boezio [ m. 525 ] con molte citazioni; Rabano Mauro [ m. 856 ]; Anselmo d'Aosta [ m. 1109 ]; Pietro Lombardo [ m. 1160 ]; Gilberto de la Porrée [ m. 1164 ]; Riccardo di S. Vittore [ m. 1173 ]; Prepositino di Cremona [ m.1210 ].
Tra i secondi l'unico nominato è Gioacchino da Fiore [ m. 1202 ].
Nell' Esposizione della II Decretale, l'Angelico Dottore, a proposito della critica mossa dal mistico calabrese a Pietro Lombardo, afferma che egli non capì bene le parole del Maestro « utpote in subtilibus fidei dogmatibus rudis ».
Nella Somma Teologica dà al mistico una lezione di penetrante discrezione ( cfr. q. 39, a. 5, ad 1 ).
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