Teologia dei Padri

Indice

La famiglia cristiana

1. - L'uomo cristiano ha cura della sua famiglia

In qualsiasi circostanza il vero cristiano illuminato non cessa nelle proprie abitudini.

É infatti solido e immutabile il possesso del bene fondato sul sapere che è la conoscenza delle realtà divine e umane; perciò la gnosi non diventa mai ignoranza né il bene si tramuta in male.

Così egli mangia e beve e si sposa, non considerando ciò come l'impegno principale nella vita ma per necessità.

Parlo di sposarsi, ammesso che la ragione lo consigli e tutto avvenga come conviene.

Se è perfetto, ha per modello gli apostoli.

Chi è veramente uomo non lo dimostra scegliendo di vivere solo; ma vince tutti colui che nelle nozze e nell'educazione dei figli, che nella cura per la casa agisce senza farsi influenzare dalla gioia e dal dolore e pur nel governo della famiglia non si allontana mai dall'amore di Dio e combatte contro tutte le tentazioni che lo assalgono per i figli e la moglie, per gli schiavi e i possedimenti.

A chi non ha famiglia, invece, tutte queste prove mancano.

Chi dunque ha la sola cura di se stesso, è superato da colui che, pur inferiore nelle cose che attengono la sua salvezza, a causa del fatto di essere un dispensatore, si dimostra superiore nelle cose che riguardano la vita dei suoi, conservando così in effetti, almeno in piccola immagine, la cura della verità.

Ma l'impegno nostro è, in quanto possibile, esercitare variamente l'anima, affinché sia attiva nell'accogliere la vera gnosi.

Non vedete come la cera viene rammollita e il bronzo purificato perché accolgano la nuova immagine?

Come la morte è la separazione dell'anima dal corpo, così la gnosi è quasi una morte intellettuale che allontana e separa l'anima dalle passioni e la spinge verso una vita di opere buone, tanto che possa dire con fiducia a Dio: « Come tu vuoi io vivo ».

Chi sceglie di piacere agli uomini, non può piacere a Dio, perché i più eleggono non ciò che giova, ma ciò che diletta; ma chi piace a Dio, è gradito anche, di conseguenza, agli uomini virtuosi.

E come potrà mai più dilettarsi del cibo, della bevanda e dei piaceri sensuali, se paventa perfino un discorso che reca diletto e i ragionamenti e le azioni piacevoli?

Nessuno infatti può servire a due padroni, a Dio e a mammona ( Mt 6,24; Lc 16,13 ): e con quest'ultima espressione non intese parlare semplicemente del denaro, ma dei vari piaceri che il denaro ci procura.

Davvero, non è possibile che chi ha conosciuto Dio con tanta sublimità e verità, sia schiavo dei piaceri che a lui si oppongono!

Clemente Alessandrino, Stromata, 7, 70,5-71,6

2. - Il padre svolge nella sua casa un ufficio ecclesiale

Quando, o fratelli, udite le parole del Signore: Dove io sono, ivi sarà anche il mio servo ( Gv 12,26 ), non applicatele soltanto ai buoni vescovi e ai virtuosi sacerdoti.

Siate tutti servitori di Cristo, ciascuno secondo le sue possibilità, vivendo nel bene, facendo elemosine, annunziando ovunque potete il suo nome e la sua dottrina.

Ogni padre di famiglia intenda che questo nome di servo di Cristo gli fa dovere di amare i suoi con affetto veramente paterno.

Per Cristo e per la vita eterna educhi i suoi, li ammonisca, li esorti, li corregga, elargisca la sua benevolenza e manifesti la sua severità; ricopra nella sua casa in un certo senso la funzione del sacerdote e del vescovo, servendo Cristo per essere in eterno con lui.

In effetti, molti tra voi hanno servito Cristo con la massima devozione della sofferenza e del sacrificio; e molti non erano né vescovi né sacerdoti, ma soltanto fanciulli e vergini, giovani e vecchi, sposi e spose, padri e madri di famiglia, servendo Cristo, essi dettero la loro vita nel martirio per lui, e ricevettero, dal Padre che li ha onorati, la corona della più alta gloria.

Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 51,13

3. - Il padre deve preoccuparsi per l'anima dei suoi familiari

Andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato.

Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo ( Mt 28,19-20 ).

Queste parole sono state rivolte non solo agli apostoli, ma anche a noi; e che non siano state pronunciate per quelli solo, risulta chiaro dall'espressione: « Fino alla fine del mondo »: anche per quelli che seguono le loro vestigia, dunque.

Ma perché parla a coloro che non sono maestri?

Ciascuno di voi, se volete, è maestro, anche se non degli altri, di se stesso.

Ammaestra te stesso anzitutto; e se questo ammaestramento è l'osservanza di tutto ciò che lui ci ha comandato, avrai molti imitatori.

Come la lucerna quando è accesa ne può accendere mille, ma se è spenta non ha luce per sé, né può accenderne altre, così è la vita pura: se la nostra lampada è accesa, faremo mille discepoli e maestri, ponendoci come esempio luminoso.

Neppure queste mie parole infatti possono giovare a voi che ascoltate, quanto vi giova la nostra vita.

Supponi dunque un uomo caro a Dio, luminoso di virtù, che abbia moglie: anche a chi ha moglie è possibile piacere a Dio, e a chi ha figli e schiavi e amici: a tutti questi, dimmi, non potrà giovare molto più lui che io stesso?

Io da loro verrò ascoltato una o due volte al mese, o neppure una volta; e quello che essi ascoltano forse lo conservano solo fino alla strada della chiesa, e subito le dimenticano.

Al contrario vedendo continuamente la vita del padre, ne hanno un grande guadagno.

E quando costui viene oltraggiato e non contraccambia, non incide quasi e scolpisce con la sua dolcezza e mansuetudine imbarazzo nell'anima di chi l'ha oltraggiato?

Anche se costui non confessa lì per lì l'utilità che ne ha ricevuto, perché adirato o vergognoso o sconcertato, ne resta tuttavia profondamente impressionato ed è impossibile che un uomo violento, fosse anche una belva, avvicini chi sa dimenticare le offese e non se ne vada senza grande profitto.

Il bene, anche se non lo facciamo, lo lodiamo tutti e lo ammiriamo.

La moglie, poi, vedendo la serenità e la moderazione del marito con cui sempre convive, ne approfitta assai, e così i figli.

A ognuno, dunque, è possibile diventar maestro.

Perciò edificatevi a vicenda - è detto infatti - come del resto fate ( 1 Ts 5,11 ).

Osserva: succede una disgrazia in famiglia; la moglie si turba tutta, perché è più debole e più presa dalla mondanità; se l'uomo è saggio e imperturbabile di fronte alla sventura, consola anche lei e la persuade a sopportare con coraggio.

Ora dimmi: ciò non le è di giovamento ben maggiore che le nostre parole?

Parlare è facile per tutti, agire quando siamo posti nella necessità, è molto difficile.

Per questo, di regola, la natura umana viene stimolata al bene più dalle opere che dalle parole ed è tale la grandezza della virtù, che spesso un servo giova immensamente alla famiglia e al padrone.

Non è senza motivo, non è tanto per fare, che Paolo proprio agli schiavi impone incessantemente di esercitare la virtù e di essere soggetti ai padroni; non perché si preoccupi del loro servizio, quanto perché non sia oltraggiata la parola di Dio e la sua dottrina, e se non la si oltraggia, ben presto la si ammira.

Conosco molte famiglie che ebbero grande giovamento dalla virtù degli schiavi; e se lo schiavo, che è soggetto al potere altrui, può indirizzare al bene il padrone, tanto più il padrone può farlo coi suoi familiari.

Prendete parte dunque - vi prego - al mio ministero: io parlo a tutti insieme; voi lo potete a ciascuno in particolare. Ciascuno si assuma come compito la salvezza del prossimo.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera ai Tessalonicesi, 5,5

4. - Una casa senza capofamiglia non può prosperare

Non è possibile che una casa senza capofamiglia possa prosperare: lo testimoniano le case che ne sono state private, e sono andate completamente in rovina.

Una simile autorità l'hanno anche le schiere degli angeli: sappiamo infatti dalla sacra Scrittura che il cielo, sul nostro capo, è abitato non solo dagli angeli, ma anche dagli arcangeli; e questi comandano, quelli obbediscono.

Se il luogo puro da ogni colpa, se la natura superiore alla situazione corporea e non soggetta alle passioni non esclude una tale subordinazione, ma gli uni obbediscono con prontezza, gli altri comandano con saggezza, perché te la prendi tu, o uomo, vedendo che tra gli uomini, dove c'è tanta inclinazione al male, vi è chi domina e chi è dominato?

Il governo dell'autorità ci è stato imposto dal Creatore come un farmaco per curare le ferite del peccato.

Il padre domina sui figli, castiga i fanciulli irrequieti e loda quelli assennati.

Il maestro domina gli alunni, l'uomo la moglie, il padrone gli schiavi: i più volonterosi li favorisce, li onora e li assiste e spesso dona loro la libertà; castiga invece gli schiavi fannulloni e cattivi e cerca di ammaestrarli nel bene.

Questo stesso ordine il Creatore ha imposto anche ai sacri ministri: alcuni li ha fatti degni del sacerdozio, altri li ha subordinati all'autorità dei primi, e infine ha creato degli ordini anche a questi inferiori.

Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 7

5. - Ognuno di noi ha una pecorella da curare

Vi sia un uomo che digiuna, che vive castamente, e che soffre infine il martirio consumato dalle fiamme; e vi sia un altro che rinvia il martirio per l'edificazione del prossimo, e non solo lo rinvia, ma se ne parte da questo mondo senza averlo subìto.

Quale di questi due uomini otterrà maggior gloria dopo aver lasciato questa vita?

Non c'è bisogno qui di discutere a lungo né di parlare eloquentemente per decidere, dato che il beato Paolo dà il suo giudizio, scrivendo: Morire ed essere con Cristo è la cosa migliore, ma rimanere nella carne è più necessario, per causa vostra ( Fil 1,23-24 ).

Vedi come l'Apostolo antepone l'edificazione del prossimo al morire per raggiungere Cristo?

Non vi è infatti mezzo migliore per essere uniti a Cristo che il compiere la sua volontà, e la sua volontà non consiste in nessun'altra cosa come nel bene del prossimo.

Volete che vi presenti un'altra prova? Pietro - dice il Signore - mi ami tu? Pasci le mie pecore! ( Gv 21,15 ).

Con la triplice domanda che gli rivolge, Cristo manifesta chiaramente che il pascere le pecore è la prova dell'amore.

E questo non è detto solo ai sacerdoti, ma a ognuno di noi, per piccolo che sia il gregge affidatoci.

Difatti anche se è piccolo, non si deve trascurare, poiché il Padre mio - è detto - si compiace in loro ( Lc 12,32 ).

Ognuno di noi ha una pecorella.

Badiamo di portarla a pascoli convenienti.

L'uomo, appena si leva dal letto, non cerchi altra cosa, sia con le parole sia con le opere, che di rendere la sua casa e la sua famiglia più pia; la donna, da parte sua, si dimostri buona padrona di casa, ma prima ancora di questo ritenga più necessario un altro suo impegno: che tutta la famiglia lavori e compia quelle opere che riguardano il regno dei cieli.

Se infatti negli affari terreni, prima ancora degli interessi familiari ci preoccupiamo di pagare i debiti pubblici perché, trascurando quelli, non ci capiti di essere arrestati, tradotti in tribunale e svergognati obbrobriosamente, a maggior ragione, nelle cose spirituali, dobbiamo osservare questa regola e pagare anzitutto ciò che dobbiamo a Dio, re dell'universo, in modo da non essere gettati là dov'è stridore di denti.

Ricerchiamo perciò, quelle virtù che da una parte procurano a noi la salvezza e dall'altra sono di utilità al prossimo.

Tali sono l'elemosina, le orazioni; anzi, l'orazione riceve dall'elemosina forza e ali …

« E che! - mi dirai - devo trascurare i miei affari per occuparmi di quelli altrui? ».

No, non è possibile che trascuri i propri affari chi cerca il bene del prossimo: egli non danneggia nessuno, ma ha compassione di tutti e aiuta secondo le proprie possibilità.

Non commette frodi né si appropria di quanto appartiene agli altri, non dice falsa testimonianza, si astiene da ogni vizio e si dedica alla virtù, prega per i suoi nemici, fa del bene a chi gli fa del male, non ingiuria nessuno, non maledice pure quando in mille modi è maledetto, ma ripete piuttosto le parole dell'Apostolo: Chi è infermo che anch'io non sia infermo?

Chi subisce scandalo che io non ne arda? ( 2 Cor 11,29 ).

Al contrario, se noi ricerchiamo il nostro interesse, non seguirà al nostro l'interesse degli altri.

Convinti, dunque, da quanto è stato detto, che non è possibile salvarci se non ci interessiamo del bene comune, e considerando gli esempi del servo che fu riprovato e di colui che nascose il talento sotto terra, scegliamo quest'altra via, e conseguiremo anche la vita eterna.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 77,6

6. - Né le nozze né i figli impediscono di piacere a Dio

Enoc raggiunse centosessantacinque anni e generò Matusala.

Piacque a Dio Enoc, e visse, dopo aver generato Matusala, duecento anni e generò figli e figlie.

Visse Enoc in tutto trecentosessantacinque anni e piacque e Dio e non si è più trovato perché Dio l'aveva preso ( Gen 5,21-24 ).

Non dicevamo bene che procedendo avremmo trovato una grande ricchezza in questi nomi?

Nota qui, o carissimo, la virtù dell'uomo giusto, l'immenso amore del buon Dio e la precisione della divina Scrittura: « Enoc raggiunse - dice - centosessantacinque anni, e generò Matusala, e piacque Enoc a Dio dopo aver generato Matusala ».

Ascoltino questo gli uomini e le donne, e imparino la virtù dell'uomo giusto: non pensino che le nozze costituiscano un impedimento per piacere a Dio.

Proprio per questo e una volta e due volte la divina Scrittura si è spiegata dicendo che « piacque dopo che lo ebbe generato », perché nessuno ritenga che le nozze siano un impedimento alla rettitudine.

Infatti se siamo temperanti, né le nozze né l'educazione dei figli né qualsiasi altra cosa potrà impedirci di piacere a Dio.

Vedi: anche costui aveva la nostra stessa natura, e la legge non era ancora stata data, né v'era la Scrittura per ammaestrarlo e null'altro per condurlo alla sapienza spirituale; coi mezzi propri e con la propria libera volontà giunse a piacere a Dio in tal grado, che resta sino ad oggi e non ha ancora fatto esperienza della morte.

Se sposarsi, o carissimo, e allevare i figli fosse un inceppo sulla via della virtù, il Creatore di tutto non avrebbe introdotto le nozze nella nostra vita, perché non avessimo del danno in ciò che è più importante e necessario.

Poiché dunque non solo non ci sono esse di impedimento a condurre una vita secondo Dio - solo che noi vogliamo moderarci - ma ci recano un gran conforto perché reprimono l'infuriare della nostra natura e non permettono che sia sconvolta dalla burrasca come un mare, bensì conducono incessantemente la navicella ad approdare nel porto, per questo Dio ha voluto donare al genere umano la consolazione che da esse deriva.

Giovanni Crisostomo, Omelie sul Genesi, 21

7. - La vita di famiglia non esclude il fervore cristiano

Impariamo a dedicarci alla virtù, a ritenere importantissimo il piacere a Dio, a non prendere come pretesto le condizioni di casa nostra, la cura della moglie, la sollecitudine dei figli né qualsiasi altra cosa simile ritenendo che sia sufficiente scusa della nostra vita negligente e trascurata.

Non proferiamo mai quelle espressioni gelide e sciocche, ad esempio: « Sono un uomo di mondo, ho moglie e bado ai figli », come molti sono soliti dire quando li esortiamo di abbracciare l'impegno della virtù o di dedicarsi molto alla lettura delle Scritture.

« Non fa per me - si dice -; mi sono forse ritirato dal mondo? Sono forse un monaco? ».

Cosa dici, o uomo? Solo i monaci hanno il privilegio di piacere a Dio?

Egli vuole che tutti gli uomini si salvino e che giungano alla conoscenza della verità ( 1 Tm 2,4 ), e non trascurino nessuna virtù.

Ascolta dunque lui che dice per bocca del profeta: Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva ( Ez 18,23 ).

Dimmi: a questo giusto [ Noè ] fu di impedimento la convivenza con la moglie o la cura dei figli?

Non inganniamo noi stessi, vi prego, ma quanto più siamo presi da queste preoccupazioni, tanto più cerchiamone la medicina nella lettura delle divine Scritture.

Giovanni Crisostomo, Omelie sul Genesi, 21

8. - Santa Monica, sposa e madre cristiana

Mia madre fu allevata nella modestia e nella sobrietà, sottomessa piuttosto da te ai genitori, che dai genitori a te.

Giunta in età matura per le nozze, fu consegnata a un marito, che servì come un padrone.

Si adoperò per guadagnarlo a te, parlandogli di te attraverso le virtù di cui la facevi bella e con cui le meritavi il suo affetto rispettoso e ammirato.

Tollerò gli oltraggi al letto coniugale in modo tale, da non avere il minimo litigio per essi con il marito.

Aspettava la tua misericordia, che scendendo su di lui gli desse insieme alla fede la castità.

Era del resto un uomo singolarmente affettuoso, ma altrettanto facile all'ira, e mia madre aveva imparato a non resistergli nei momenti di collera, non dico con atti, ma neppure a parole.

Coglieva invece il momento adatto, quando lo vedeva ormai rabbonito e calmo, per rendergli conto del proprio comportamento, se per caso si era turbato piuttosto a sproposito.

Molte altre signore, pur sposate a uomini più miti del suo, portavano segni di percosse che ne sfiguravano addirittura l'aspetto, e nelle conversazioni tra amiche deploravano il comportamento dei mariti.

Essa deplorava invece la loro lingua, ammonendole seriamente con quella che sembrava una facezia: dal momento, diceva, in cui si erano sentite leggere il contratto matrimoniale, avrebbero dovuto considerarlo come la sanzione della propria servitù; il ricordo di tale condizione rendeva dunque inopportuna ogni alterigia nei confronti di chi era un padrone.

Le amiche, non ignare di quanto fosse furioso il marito che sopportava, stupivano del fatto che mai si fosse udito o rilevato alcun indizio di percosse inflitte da Patrizio alla moglie, né di liti, che in casa li avessero divisi anche per un giorno solo.

Richiesta da loro in confidenza di una spiegazione, illustrava il suo metodo, che ho riferito sopra; e chi l'applicava, dopo l'esperienza gliene era grata; chi non l'applicava, sotto il giogo era tormentata.

La suocera sulle prime l'avversava per le insinuazioni di ancelle maligne.

Ma conquistò anche lei col rispetto e la perseveranza nella pazienza e nella dolcezza, cosicché la suocera stessa denunziò al figlio le lingue delle fantesche, che mettevano male fra lei e la nuora turbando la pace domestica, e ne chiese il castigo.

Il figlio, sia per obbedienza alla madre, sia per la tutela dell'ordine domestico, sia per la difesa della concordia fra parenti, punì con le verghe le colpevoli denunziate quanto piacque alla denunziante; quest'ultima promise uguale ricompensa a qualunque altra le avesse parlato male della nuora per accaparrarsi il suo favore.

Nessuna osò più farlo e le due donne vissero in una dolce amorevolezza degna di essere menzionata.

A così devota tua serva, nel cui seno mi creasti, Dio mio, misericordia mia, avevi fatto un altro grande dono.

Tra due anime di ogni condizione, che fossero in urto e discordia, ella, se appena poteva, cercava di mettere pace.

Delle molte invettive che udiva dall'una contro l'altra, quali di solito vomita l'inimicizia turgida e indigesta, allorché l'odio mal digerito si effonde negli acidi colloqui con un'amica presente sul conto di un'amica assente, non riferiva all'interessata, se non quanto poteva servire a riconciliarle.

Giudicherei questa una bontà da poco, se una triste esperienza non mi avesse mostrato turbe innumerevoli di persone, che per l'inesplicabile, orrendo contagio di un peccato molto diffuso riferiscono ai nemici adirati le parole dei nemici adirati, non solo, ma aggiungono anche parole che non furono pronunciate.

Invece per un uomo davvero umano dovrebbe essere poca cosa, se si astiene dal suscitare e rinfocolare con discorsi maliziosi le inimicizie fra gli altri uomini, senza studiarsi, anche, di estinguerle con discorsi buoni.

Mia madre faceva proprio questo, istruita da te, il maestro interiore nella scuola del cuore.

Finalmente ti guadagnò anche il marito, negli ultimi giorni ormai della sua vita temporale, e dopo la conversione non ebbe a lamentare da parte sua gli oltraggi, che prima della conversione ebbe a tollerare.

Era, poi, la serva dei tuoi servi.

Chiunque di loro la conosceva, trovava in lei motivo per lodarti, onorarti e amarti grandemente, avvertendo la tua presenza nel suo cuore dalla testimonianza dei frutti di una condotta santa.

Era stata sposa di un solo uomo ( 1 Tm 5,9 ), aveva ripagato il suo debito ai genitori ( 1 Tm 5,4 ), aveva governato santamente la sua casa, aveva la testimonianza delle buone opere ( 1 Tm 5,10 ); aveva allevato i suoi figli partorendoli tante volte, quante li vedeva allontanarsi da te.

Infine, poiché la tua munificenza, o Signore, permette ai tuoi servi di parlare di tutti noi, che, ricevuta la grazia del tuo battesimo, vivevamo già uniti in te prima del suo sonno, ebbe cura come se di tutti fosse stata la madre e ci servì come se di tutti fosse stata la figlia.

Agostino, Le Confessioni, 9,9

9. - I genitori non sono i creatori dei loro figli

Negli elementi corporei di questo mondo si celano i semi occulti di tutte le cose che nascono corporalmente e visibilmente.

Alcuni di questi semi sono percepibili ai nostri occhi, nei frutti e negli animali; altri sono nascosti e sono come i semi dei semi.

Per essi, in principio, al comando del Creatore, l'acqua produsse i primi animali marini e i primi volatili e la terra produsse le prime piante nel loro genere e i primi animali nel loro genere ( Gen 1,20-25 ).

E queste essenze non furono prodotte in modo che in loro quella forza sia andata consunta, ma per lo più mancano le congrue circostanze nelle quali questi semi erompano e propaghino la loro specie.

Ecco infatti che un pezzetto di ramo fa da seme: impiantato convenientemente nel suolo, infatti, produce un albero.

Ma vi è un altro seme più piccolo di questo rametto e dello stesso genere: è un granello ancora visibile.

Il seme di questo granello, invece, non possiamo vederlo con gli occhi, possiamo tuttavia congetturarne l'esistenza con la ragione, perché se negli elementi non ci fosse tale virtù, non nascerebbe in terra ciò che non vi è stato seminato; e non nascerebbero tanti animali, senza che vi sia stata precedentemente l'unione tra il maschio e la femmina, né in terra né in acqua; eppure crescono, si accoppiano e ne partoriscono altri, pur non essendo nati affatto dall'unione di genitori.

Certamente le api non concepiscono i semi dei loro figli con l'accoppiamento, ma lo raccolgono, quasi sparso per terra, con la bocca.

Il Creatore dei semi invisibili è lo stesso Creatore di tutte le cose, perché tutto ciò che nascendo si mostra ai nostri occhi ha desunto l'inizio della propria propaggine dai semi occulti, desumendone la crescita fino alla grandezza dovuta e la struttura dalle loro forme come da regole primordiali.

Così noi non diciamo che i genitori sono creatori degli uomini, né che gli agricoltori sono creatori delle messi, quantunque solo in occasione di movimenti da loro compiuti la divina virtù li crei operando dall'interno …

Altra cosa è infatti fondare e dirigere la creatura dall'interno e dal cardine supremo delle cause - e chi fa ciò, è solo Dio creatore -, altro è invece svolgere, con le facoltà e le forze da lui donate, qualche operazione esteriore, in modo che ora o poi, in un modo o nell'altro, esca ciò che è creato.

Tutte le cose infatti in origine e nei primordi sono già state create nella trama degli elementi, ma si manifestano solo al momento opportuno.

Come le madri sono gravide di feti, così il mondo è gravido delle cause di tutte le realtà che nascono: ma in esso non vengono create se non da quella somma Essenza ove nulla né sorge né muore, né comincia ad essere né finisce di essere.

Agostino, La Trinità, 3,13.16

10. - Un dono di Dio sono i figli per i genitori

I genitori sono invitati a rendere grazie a Dio per la nascita, non meno che per i meriti, dei loro figli: non è un mediocre dono, quello che Dio fa nel dare i figli che continueranno la stirpe e saranno gli eredi dei padri.

Leggi come Giacobbe fu felice per aver generato dodici figli.

Abramo ebbe un figlio, Zaccaria vide esaudita la sua preghiera: è un dono di Dio la fecondità dei genitori.

Così i padri debbono ringraziare Iddio per aver generato, i figli per essere stati generati, e le madri perché sono state onorate della ricompensa del matrimonio, in quanto i figli sono come il soldo per il loro servizio.

Che la terra fiorisca in lodi a Dio perché è coltivata, che il mondo lodi Dio perché è conosciuto, e la Chiesa perché si accresce il numero del popolo fedele.

Non è invano che, subito all'inizio del Genesi ( Gen 2,24 ), per ordine di Dio è stabilita l'unione del matrimonio: non è forse per mettere a tacere l'eresia?

[ allude al manicheismo, allora fiorente, secondo cui la carne viene dal principio del male ].

Dio ha tanto approvato il matrimonio, che egli stesso ne ha stretto il legame, e lo ha tanto ricompensato che, a coloro cui la sterilità negò i figli, li concede la divina pietà.

Ambrogio, Commento al Vangelo di san Luca, 1,30

11. - Quali nomi dare ai propri figli

A Set nacque un figlio - è detto - cui impose il nome di Enoc.

Questi pensò di invocare il nome del Signore Iddio ( Gen 4,26 ).

Vedi che nome, più splendido di un diadema, più fulgido della porpora?

Chi sarà mai più beato di costui che si adorna dell'invocazione di Dio e la possiede come nome proprio?

Vedi, come dicevo all'inizio, che nella stessa imposizione dei nomi si nasconde un ricco tesoro di significati.

E così appare non solo la pietà di quei genitori, ma anche la loro cura per i figli: fin dall'inizio, fin dal primo istante educavano i figli appena nati, con lo stesso nome a loro imposto, ad esercitarsi nella virtù; non si comportavano certo come si fa oggigiorno, che si impone semplicemente il primo nome che capita.

« Al fanciullo si dia il nome del nonno - si dice - o del bisnonno ».

Ma i patriarchi non facevano così, bensì ponevano ogni cura nel dare ai bambini quei nomi che non solo incitassero i bimbi stessi alla virtù, ma che fossero anche per tutti gli altri per le generazioni future, grande ammaestramento di saggezza.

Neppure noi, dunque, imponiamo ai bambini i nomi che capitano, e neppure il nome del nonno o del bisnonno o di chi si è segnalato nel nostro casato, ma diamo loro i nomi di uomini santi, splendidi di virtù, che ebbero molta confidenza con Dio.

Ma né i genitori né i fanciulli ripongano tutta la loro fiducia solamente in questi nomi, perché a nulla giovano, se sono disgiunti dalla virtù; si deve riporre la propria speranza di salvezza nella vita virtuosa e non si deve menare vanto né del nome né della parentela con persone sante né di qualcos'altro simile; bensì si abbia fiducia solo nelle proprie opere.

O meglio, neppure su queste bisogna fare grande affidamento, ma mantenersi piuttosto nella modestia e nella moderazione, perché ci sia dato di raccogliere un grande tesoro di virtù.

Giovanni Crisostomo, Omelie sul Genesi, 21

12. - Educate i vostri figli con grande sollecitudine!

Ascoltate questo, o padri: educate i vostri figli con grande sollecitudine, ammonendoli nel Signore.

La gioventù è selvaggia, ha bisogno di molti che la guidino, la istruiscano, la correggano, la accompagnino, la nutrano: e dopo tutto ciò, c'è da accontentarsi se si riesce a raffrenarla.

Un cavallo indomito, una bestia selvaggia: così è la gioventù!

Se dunque le poniamo limiti ben precisi fin dall'inizio, fin dalla prima età, non dovremo soffrire molto in seguito, ma l'abitudine diventerà per loro legge.

Non permettiamo loro di far nulla che arrechi piacere e insieme danno, e non trattiamoli in ciò con la debolezza che si ha per i figli.

Soprattutto conserviamoli nella castità: in questo campo infatti la gioventù subisce i danni maggiori: e per ottenere ciò, ci necessita molta attenzione, molta lotta.

Diamo presto loro moglie, affinché il loro corpo riceva puro e intatto la sposa: così l'amore è più ardente.

Chi prima delle nozze è casto, lo è molto di più dopo; chi ha imparato ad essere lussurioso prima delle nozze, lo sarà anche dopo.

É detto infatti: Per l'uomo impudico ogni pane è dolce ( Sir 23,24 ).

Per questo motivo poniamo sulle loro teste le corone, simbolo di vittoria: perché si avviano invitti al talamo, perché non sono stati sconfitti dal piacere.

Chi invece, prigioniero della voluttà, si è dato alle prostitute, perché porta sul capo la corona, se è stato sconfitto?

Queste cose ricordiamo loro: ammoniamoli, spaventiamoli, minacciamoli: ora facciamo questo, ora quello.

Un grande pegno ci è stato affidato: i nostri figli.

Preoccupiamoci dunque di loro e facciamo di tutto perché il Maligno non ce li porti via.

Ma tra di noi avviene tutto il contrario.

Perché il nostro podere sia bello, facciamo di tutto e lo affidiamo a chi è di fiducia e cerchiamo l'asinaio, il mulattiere, il fattore e l'amministratore più pratici; ma di ciò che per noi è più importante, come affidare cioè nostro figlio a qualcuno che possa conservarlo nella castità, non ce ne curiamo; eppure ciò è più importante di tutto il resto, che anzi proprio per questo ci viene concesso.

Ci preoccupiamo dunque dei possedimenti dei nostri figli, e di loro no.

Vedi che stoltezza! Forma l'animo del fanciullo e avrai anche il resto: se esso non è buono, nulla gli giovano le ricchezze; se è indirizzato nella rettitudine, nulla gli nuoce la povertà.

Vuoi lasciarlo ricco? Insegnagli ad essere buono: così saprà conservare i beni, e se non ne avrà, non sarà per nulla inferiore a chi ne possiede.

Se tuo figlio è abietto, anche se gli lasci mille tesori, poiché non gli lasci un custode, lo rendi più misero di chi vive nella povertà estrema.

Per i fanciulli che non sono indirizzati alla virtù, è meglio la povertà che la ricchezza.

Quella infatti li mantiene anche contro voglia nella virtù, questa invece non permette loro di viver casti neppure se lo vogliono, ma li incita, li sconvolge, li getta in mille pericoli.

Voi madri, dirigete bene soprattutto le vostre figlie: vi è facile questo compito!

Curate che siano amanti della casa, educatele anzitutto nella pietà, ad essere modeste, a disprezzare il denaro, a non curare troppo la bellezza; così conducetele alle nozze; formandole così, salverete non solo esse, ma anche l'uomo che le sposerà; e non solo il marito, ma anche i figli, e non solo i figli ma anche i nipoti.

Se la radice è buona, anche i rami si sviluppano bene, e voi avrete la mercede di tutto.

Facciamo di tutto per giovare non a un'anima sola, ma a molte anime per il tramite di quella.

Deve uscire dalla casa del padre per le nozze, come un atleta dalla palestra: piena di abilità e di saggezza, come un lievito che deve trasformare tutto l'impasto nella sua bellezza.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera a Timoteo, 9,2

13. - La gioia che danno i figli passa e insieme dura

I figli sono piccoli: li vezzeggi e si fanno vezzeggiare.

Resteranno sempre in quell'età? Ma tu stesso desideri che crescano, che in essi si succedano altre età.

Ma guarda: quando una sopraggiunge, l'altra muore: quando sopraggiunge la puerizia, muore l'infanzia; quando sopraggiunge l'adolescenza, muore la puerizia; con la gioventù muore l'adolescenza; con la vecchiaia muore la giovinezza; e infine con la morte muore ogni età.

Tutte le età che desideri, sono altrettante morti che desideri.

Non è questo, dunque, ciò che vale.

Ti sono nati figli su questa terra: per vivere con te, o piuttosto per cacciarti via e succederti?

Godi che ti siano nati, perché ti scacceranno?

Quando nascono i fanciulli, infatti, è come se dicessero ai loro genitori: « Orsù, pensate ad andarvene via, anche noi dobbiamo recitare la nostra parte ».

Tutta la vita tribolata del genere umano è davvero una commedia, perché sta scritto: Ogni uomo vivente è vanità ( Sal 39,6 ).

Tuttavia, se si gode dei figli che ci succedono, quanto più si deve godere dei figli con i quali per sempre resteremo, e di quel Padre, da cui siamo nati, che mai non morirà, ma con il quale per sempre vivremo?

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 128,15

14. - Di fronte all'educazione dei figli, tutto sia secondario!

O padri, non esacerbate i vostri figli, ma allevateli educandoli e ammonendoli nel Signore ( Ef 6,4 ).

Paolo non dice: Amateli: a ciò la natura trae anche contro voglia ed è inutile porre leggi a riguardo; ma che dice?

« Non esacerbate i vostri figli »: e molti lo fanno: li diseredano, li espellono, li aggravano e li opprimono, non come uomini liberi, ma come schiavi.

Per questo egli dice: « Non esacerbate i vostri figli ».

E poi, ciò che è più importante, mostra in che modo essi diventano obbedienti, rifacendo tutto all'inizio, all'origine, alla causa.

Come aveva mostrato che il promotore dell'obbedienza della donna è l'uomo - e per questo si rivolge ampiamente a lui, esortandolo ad attrarla con la tirannia dell'amore -, così anche qui risale alla stessa causa, dicendo: « Ma allevateli educandoli e ammonendoli nel Signore ».

Vedi che se c'è lo spirituale, ciò che è materiale segue da sé.

Vuoi che tuo figlio sia obbediente?

Allevalo fin dall'inizio educandolo e ammonendolo nel Signore: non credere che sia inutile per lui ascoltare le divine Scritture; in esse ode anzitutto: « Onora tuo padre e tua madre »; ciò è dunque anche a tuo vantaggio.

Non dire: « É roba da monaci, e non voglio farlo monaco ».

Non è necessario che diventi monaco; ma perché temi tanto ciò che porta tanto guadagno? Fallo cristiano.

Soprattutto a chi vive nel mondo è necessario conoscere gli insegnamenti della Scrittura, e soprattutto ai giovani.

In quell'età c'è molta stoltezza, e la stoltezza aumenta ancora per gli scritti dei pagani, quando i fanciulli imparano ad ammirare come eroi quegli uomini, schiavi dei piaceri e timorosi della morte.

Così Achille, quando si pente di dover morire per una concubina, così altri che si ubriacano e molte altre cose del genere.

Proprio per questo c'è bisogno delle sacre Scritture come antidoto.

Non è un'assurdità mandare i fanciulli a scuola, a imparar le arti e fare di tutto a questo scopo, ma non allevarli educandoli e ammonendoli nel Signore?

Per questo siamo noi i primi a coglierne i frutti, noi che li lasciamo crescere violenti, smodati, disobbedienti, trascurati.

No, non facciamolo, e ascoltiamo gli ammonimenti del nostro beato: alleviamoli educandoli e ammonendoli nel Signore!

Diamo loro l'esempio e facciamo che fin dalla prima età si applichino alla lettura delle Scritture.

Ahimè! Poiché ripeto continuamente queste cose, credono che io vaneggi!

Eppure non cesserò di fare il mio dovere.

Perché, dimmi, non imitate gli antichi?

Soprattutto voi, donne, prendete l'esempio da quelle donne mirabili!

Hai dato alla luce un figlio? Imita Anna: osserva ciò che ella fece: lo portò subito al tempio.

Chi di voi non preferirebbe mille volte che il proprio figlio fosse Samuele, piuttosto che re di tutta la terra?

« E come è possibile - si dice - che diventi tale? ».

Perché non è possibile? Perché non lo vuoi, né lo affidi a chi lo può rendere tale.

« E chi è costui? » si dice. Dio.

Anche Anna lo affidò a lui.

Eli non era certo uno di quelli che sarebbe riuscito a educarlo.

Perché? Perché non vi riuscì neppure una volta con i propri figli.

Ma la fede e la buona volontà della madre ottennero ciò.

Samuele era il suo primo e unico figlio ed ella neppure sapeva se ne avrebbe avuti degli altri.

Eppure non disse: « Aspetterò che il fanciullo cresca, e che impari a districarsi nella vita; gli lascerò godere un po' l'età giovanile ».

Accantonò tutti questi pensieri e si preoccupò di una cosa sola: fin dall'inizio presentarlo a Dio quale offerta spirituale.

Vergogniamoci, o uomini, della saggezza di quella donna: offrì il figlio a Dio e lo lasciò là.

Così il suo matrimonio divenne splendido: perché cercò soprattutto i valori spirituali, perché ne offerse in sacrificio le primizie; per questo il suo seno divenne fertile e diede alla luce altri figli; per questo poté veder suo figlio divenire famoso nel mondo.

Infatti, se gli uomini onorati restituiscono onore, tanto più Dio, che lo fa anche se non è onorato!

Fino a quando saremo carne? Fino a quando ci curveremo sulla terra?

Di fronte alla cura per i figli, e allevarli educandoli e ammonendoli nel Signore, tutto sia per noi secondario!

Se fin dall'inizio insegni al bimbo ad esser saggio, egli acquista la ricchezza più grande di ogni altra, e la gloria più valida.

Non fai per lui tanto insegnandogli un'arte, un mestiere terreno con cui acquistare denaro, quanto se gli insegni l'arte di disprezzare il denaro.

Se vuoi farlo ricco, agisci così.

É ricco non chi usa molti soldi ed è circondato di tutto, ma chi non ha bisogni; questo insegna a tuo figlio, così educalo: questa è la ricchezza più grande.

Non cercare di renderlo celebre, di farlo diventare illustre nelle scienze terrene, ma preoccupati di insegnargli a disprezzare la gloria di questa vita: in questo modo diventerà più splendido, più venerato.

Lo possono fare sia il ricco sia il povero; non lo si impara da un maestro o con un'arte, ma dalle parole divine.

Non preoccuparti che abbia una vita lunga, ma che raggiunga lassù la vita immortale, la vita senza fine.

Dona a lui realtà grandi, non piccole; ascolta Paolo che dice: « Allevateli educandoli e ammonendoli nel Signore ».

Non cercare di farne un retore, ma insegnagli la sapienza cristiana.

Se non sarà un retore, non ne avrà alcun danno; ma se non avrà la sapienza cristiana, tutta la retorica non gli sarà di nessun guadagno.

C'è bisogno di buoni costumi, non di bei discorsi; di modestia, non di eloquenza; di fatti, non di parole: sono questi che ci ottengono il regno, che ci elargiscono i beni veri.

Non affinare il suo linguaggio, ma purifica la sua anima.

Dico questo, non per impedire di educarli, ma per impedire di considerare solo le realtà terrene.

Non credere che solo i monaci abbiano bisogno di educarsi leggendo le Scritture: ne hanno bisogno soprattutto i fanciulli che devono entrare nella vita di questo mondo.

Come la nave che sta sempre in porto non ha bisogno di pilota e di ciurma, ma ne ha bisogno quella che è sempre in mare: così per il laico e per il monaco.

Quest'ultimo è come in un porto di pace, conduce una vita tranquilla, priva di ogni burrasca; quello invece è continuamente in mare e combatte senza posa contro i flutti.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 21,1-2

15. - Allevare educando e ammonendo nel Signore

Dimmi: quali sono le piante migliori?

Non forse quelle che hanno in se stesse la propria forza e non soffrono danno né dalle piogge né dalle grandinate né dall'impeto dei venti o altri sconvolgimenti simili, ma se ne stanno forti e sole contro le intemperie, e non hanno bisogno né di mura né di palizzate?

Così è il saggio cristiano e così la sua ricchezza: non ha nulla e ha tutto; ha tutto e non ha nulla.

Il muro è qualcosa di esterno, non di interiore; la palizzata non è connaturata, ma posta all'intorno.

E dimmi: quale corpo è forte?

Non forse quello che è sano in sé e non viene abbattuto né dalla fame e dalla sazietà né dal freddo o dal caldo?

O forse quello che, al contrario, ha bisogno di cibi, di tessuti, di cacciagione e di medicine per restar sano?

É ricco solo chi è veramente saggio, e non ha bisogno di tutto ciò.

Per questo il beato Paolo ha detto: Allevateli educandoli e ammonendoli nel Signore ( Ef 6,4 ).

Non ponete dunque intorno a loro una semplice palizzata esteriore: questo è la ricchezza, questo è la gloria.

Quando infatti se ne cade - e certamente cade -, la pianta resta nuda e indebolita, e non solo non ha tratto vantaggio dal tempo passare in tale situazione, ma piuttosto ne è rimasta danneggiata: il recinto, che le ha impedito di rafforzarsi contro l'impeto dei venti, ha fatto sì che ora tutto in una volta essa si schianti.

Così la ricchezza è piuttosto di danno, perché impedisce che l'uomo si eserciti contro le difficoltà della vita.

Rendiamo dunque i nostri figli tali che sappiano resistere contro tutto e non si disorientino per nessun evento; alleviamoli educandoli e ammonendoli nel Signore, e grande sarà la mercede per noi riposta.

Se gli uomini che scolpiscono le statue dei re, o ne dipingono i simulacri, godono tanto onore, noi che rendiamo più bella l'immagine regale - l'uomo infatti è immagine di Dio -, non godremo dei beni immensi, ammesso che la nostra opera ne renda la vera somiglianza?

E questa vera somiglianza è la virtù dell'anima, se cioè educhiamo i fanciulli ad essere buoni, a dominare l'ira, a dimenticare le offese - tutte queste sono qualità proprie di Dio -; se li educhiamo ad essere generosi, amanti degli uomini, a stimare un nulla le realtà transitorie.

Questo sia dunque il nostro compito: plasmare loro e noi stessi nella rettitudine, com'è nostro dovere.

Come potremo altrimenti presentarci con fiducia al tribunale del Cristo?

Se chi ha figli disobbedienti non è degno dell'episcopato, tanto più è indegno del regno dei cieli.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 21,4

16. - Non lasciarti distogliere dalle buone opere per la preoccupazione dei tuoi figli!

Se amiamo Dio con tutto il cuore, non dobbiamo preferire a Dio né i genitori né i figli.

Lo constata Giovanni nella sua lettera in cui dichiara che non c'è carità di Dio in quelli che non operano il bene verso i poveri: Chi avesse sostanze terrene - dice - e vedesse il fratello nella necessità, e chiudesse il suo cuore, come potrebbe la carità di Dio restare in lui? ( 1 Gv 3,17 ).

Se è prestito a Dio l'elemosina fatta ai poveri e se quando si dà ai più piccoli si dà a Cristo, non c'è motivo per preferire i beni terreni a quelli celesti e di preporre le realtà umane a quelle divine.

Così, nel libro dei Re, quella vedova, durante la siccità e la fame, consumato tutto, aveva fatto una focaccia con la poca farina e il poco olio che le avanzava, per mangiarla e poi aspettare la morte con i suoi figli; sopraggiunse Elia e le chiese di dar prima da mangiare a lui, e poi di mangiar con i suoi figli ciò che fosse avanzato.

E quella non esitò a obbedire, né, pur essendo madre, preferì a Elia i suoi figli tormentati dalla fame.

Anzi fa al cospetto del Signore ciò che a Dio piace: subito e con devozione offre ciò che le viene chiesto, che è parte non di abbondanti provviste, ma è tutto quel poco che ha.

Mentre i suoi figli hanno fame, sazia prima un estraneo; in tanta penuria, non si preoccupa più del cibo che della misericordia, per salvare spiritualmente l'anima, disprezza, compiendo quell'opera salvifica, la vita della carne.

Ed Elia, figura di Cristo, mostrò nella sua risposta ciò che egli rende a ciascuno per le opere di misericordia; le disse: Questo dice il Signore: Non rimarrà vuota la giara della farina, né scemerà l'orcio dell'olio, fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla terra ( 1 Re 17,14 ).

Si compì la promessa di Dio, si moltiplicò e aumentò per la vedova ciò che essa aveva dato e per la sua buona opera e per il merito della sua elemosina i recipienti della farina e dell'olio si riempirono.

Così la madre non tolse ai figli ciò che diede a Elia, ma giovò ai figli con un'opera di bontà e pietà.

Ed essa non conosceva ancora Cristo, non aveva ancora udito i suoi precetti, non era redenta dalla sua croce e passione, non assumeva il suo sangue in cibo e bevanda; da ciò appare quanto pecchi, nella Chiesa, chi anteponendo se stesso e i propri figli a Cristo, conserva le proprie ricchezze e non mette a parte del copioso patrimonio la povertà dei miseri.

Ma in casa hai molti figli, e il loro numero ti impedisce di dedicarti con larghezza alle opere buone.

Al contrario, per ciò stesso devi operare di più, perché sei padre di molti.

Sono molti quelli per cui devi supplicare il Signore, sono molti quelli i cui delitti devi scontare, le cui coscienze devi purificare e le cui anime liberare.

Come in questa vita terrena tanto più notevole è la spesa per mantenere e allevare i figli, quanto maggiore è il loro numero, così nella vita spirituale e celeste, quanto maggiore è il numero dei figli, tanto maggiore deve essere l'impegno nelle opere buone.

Così Giobbe offriva numerosi sacrifici per i suoi figli, e consacrava a Dio un numero di vittime uguale al numero dei figli che aveva a casa.

E poiché era impossibile che ogni giorno qualcuno non peccasse al cospetto di Dio, non mancavano ogni giorno i sacrifici con cui mondare i loro peccati.

Lo attesta la Scrittura dicendo: Giobbe, uomo giusto e sincero, ebbe sette figli e tre figlie, e ogni giorno li purificava offrendo per loro ostie a Dio secondo il loro numero, e per i loro peccati immolava un vitello ( Gb 1,1-3 ).

Se dunque ami veramente i tuoi figli, se vuoi mostrare loro un amore paterno pieno e dolcissimo, devi maggiormente darti alle opere buone per raccomandarli con esse a Dio.

Considera vero padre dei tuoi figli, non un uomo infermo e passeggero, ma quel genitore che è il Padre eterno e forte dei figli spirituali.

Commetti a lui le tue facoltà che conservi per gli eredi, egli sia il tutore dei tuoi figli, egli ne abbia cura, egli li protegga con la sua divina maestà contro tutte le ingiustizie del mondo.

Un patrimonio affidato a Dio, né lo stato lo incamera, né il fisco gli mette le mani addosso, né qualche causa perduta lo manda in rovina.

É posta al sicuro l'eredità affidata alla custodia di Dio.

Questo è provvedere ai propri cari per il futuro, questo è pensare agli eredi con amore paterno, secondo l'assicurazione della Scrittura santa che dice: Fui giovane e divenni vecchio, e non vidi un giusto abbandonato né la sua prole in cerca di pane.

Tutto il giorno usa misericordia e presta, e la sua posterità sarà benedetta ( Sal 37,25-26 ).

E ancora: Chi vive senza biasimo nella giustizia, lascerà figli beati ( Pr 20,7 ).

Sei dunque un padre snaturato e traditore, se non pensi ai tuoi figli nella fede, se non ti preoccupi di conservarli con affetto vero e pio.

Perché ti occupi più del patrimonio terreno che di quello celeste; perché affidi i tuoi figli al diavolo piuttosto che a Cristo?

Pecchi due volte, commetti un duplice delitto: non procuri ai tuoi figli l'aiuto di Dio Padre e insegni ai tuoi figli ad amare più il patrimonio che Cristo.

Sii per i tuoi figli un padre quale fu Tobia.

Da' loro precetti utili e salvifici come Tobia diede al suo figlio, e raccomanda loro ciò che egli raccomandò dicendo: E ora, figli miei, vi raccomando di servire Dio nella verità e di fare ciò che a lui piace, e voi raccomandate ai vostri figli di operare la giustizia, di fare elemosine, di ricordarsi di Dio e di benedire il suo nome ogni momento ( Tb 14,8 ).

E ancora: Tutti i giorni della tua vita, o figlio, abbi Dio nella tua mente e non trascurare i suoi precetti.

Compi opere buone in tutti i giorni della tua vita e non battere la via dell'iniquità.

Se agirai con rettitudine avranno un felice corso le tue azioni.

Di quel che possiedi, fa' elemosina.

Non ritrarre lo sguardo da nessun povero, perché così non si ritrarrà da te lo sguardo di Dio.

Regolati, o figliolo, a seconda del tuo avere, se avrai ricchi possessi, fa' copiose elemosine; se avrai poco, da' secondo quel poco, senza gretto timore: operando così ti metti da parte un premio per il giorno del bisogno, perché l'elemosina libera dalla morte e non permette che si incappi nelle tenebre.

L'elemosina è per tutti coloro che la fanno offerta gradita all'Altissimo ( Tb 4,5-11 ).

Cipriano, Le opere buone e le elemosine, 16-20

17. - Trascuratezza nell'educazione dei fanciulli

Così è la maggior parte dei nostri giovani: dominati da selvagge passioni, saltano, tirano calci, corrono sfrenati qua e là, non mettendo alcun impegno in nessuno dei loro doveri.

Ma responsabili ne sono i padri; essi, quando hanno cavalli in scuderia, obbligano gli stallieri e i cavallerizzi ad allenarli con gran cura e non permettono che il puledro avanzi molto in età senza essere domato, ma sin da principio gli fanno mettere il freno e tutto ciò che è necessario; invece lasciano vagare per molto tempo senza freno i loro giovani figli, che scorrazzano privi ormai di castità e si disonorano nella lussuria, nel gioco ai dadi, negli spettacoli empi.

Sarebbe dovere dei padri prevenire questi disordini, dando ai figli una sposa casta e saggia, capace di allontanare l'uomo da ogni relazione disonesta e di frenare questo puledro.

La licenza concessa ai giovani è la causa prima di tante sregolatezze e di tanti adulteri.

Appena un giovane ha una sposa prudente, è impegnato nel governo della sua casa e della sua famiglia, ha cura del suo onore e della sua reputazione.

« Ma mio figlio è ancora giovane », si dice. Lo so anch'io.

Se Isacco si sposò a quarant'anni ( Gen 25,20 ), e trascorse tutti quegli anni nella verginità, tanto più i giovani che vivono ora nel tempo della grazia dovrebbero praticare questa filosofia.

Ma che cosa posso fare? Voi non vi preoccupate di vigilare sulla castità dei vostri figli, ma permettete che si disonorino, si coprano di ignominia e diventino degli scellerati, non sapendo che il vantaggio del matrimonio è di conservare puro il corpo.

Se questo non si realizza, il matrimonio non serve a nulla.

Voi invece fate tutto il contrario: dopo che i vostri figli si sono corrotti in ogni maniera, allora voi li fate sposare senza motivo e senza ragione.

« Ma io attendo - tu dici - che mio figlio abbia acquistato onore e meriti nell'attività pubblica ».

Tu, certo, non tieni conto dell'anima, ma permetti che essa si trascini a terra.

Ecco perché tutto è pieno di confusione, di disordine e di turbamento: perché si trascura l'anima, si dimentica ciò che è necessario e fondamentale, per occuparsi con grande sollecitudine di ciò che è secondario e disprezzabile.

Non sai che il più grande favore che puoi fare a tuo figlio è di conservarlo immune dall'impurità della fornicazione?

Nessuna cosa infatti è così preziosa quanto l'anima.

Che giova all'uomo - dice il Signore - guadagnare il mondo intero, se poi perde l'anima? ( Mt 16,26 ).

Purtroppo l'avidità ha pervertito e sovvertito tutto: come un tiranno s'impossessa della cittadella, così l'avarizia occupa l'anima degli uomini e vi bandisce il giusto timore di Dio.

Ecco perché trascuriamo la nostra salvezza e quella dei nostri figli, avendo come unica preoccupazione quella di arricchire sempre più e di lasciare in eredità ad altri la nostra ricchezza, in modo che costoro possano lasciarla ad altri ancora, e così via.

Noi diventiamo così dei semplici trasmettitori e non siamo padroni delle nostre sostanze e dei nostri beni.

É una stoltezza enorme: ne deriva che gli uomini liberi sono considerati più vili degli schiavi; questi ultimi infatti noi li riprendiamo e li correggiamo, se non per il loro interesse, almeno per il nostro; gli uomini liberi invece non godono di questa provvidenza, ma per noi sono più indifferenti degli stessi schiavi.

Come mai dico che trattiamo i nostri figli peggio degli schiavi?

I nostri figli infatti sono meno apprezzati delle bestie e noi ci curiamo più degli asini e dei cavalli che di loro.

Se un tale ha una mula e deve trovare uno che la guida, bada che costui non sia un insensato, un ladro o uno dedito al vino, ma conosca bene il suo mestiere.

Quando invece si tratta di dare al figlio un educatore della sua anima, non ci si preoccupa molto della scelta, ma si prende il primo che si presenta; eppure non c'è arte superiore a questa.

Che c'è infatti di paragonabile all'arte di formare l'anima e di plasmare l'intelligenza di un giovane?

Colui che ne fa professione deve comportarsi e procedere in modo assai più attento e vigilante di qualunque pittore e scultore.

Noi invece non badiamo a ciò, ma di una sola cosa ci interessiamo: che nostro figlio sia istruito nella lingua.

Ma anche di questo ci interessiamo a motivo della ricchezza.

Il giovane infatti non impara a parlare per essere eloquente, ma per far soldi con la sua eloquenza.

Se ci si potesse arricchire senza essere eloquenti, non ci importerebbe per niente il fatto di saper parlare bene.

Vedi, dunque, come è grande la tirannia del denaro, come ha preso e corrotto ogni cosa, come ha preso e trascina gli uomini ovunque voglia, dopo averli legati come schiavi e come bestie.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 59,7

18. - Insegna a tuo figlio i salmi piuttosto che le canzonette!

Oggi i vostri figli cantano canzoni perverse e si danno a danze indecorose, proprio come cuochi, vivandieri o ballerini: nessuno invece conosce un salmo, ritenendo anzi ciò una vergogna, un pretesto per ridere e motteggiare.

Ecco perché si propaga tanto male.

La qualità del terreno in cui l'albero è piantato, infatti, si riflette nella qualità dei frutti che porta: se è in terreno sabbioso e salato, tali sono i suoi frutti; se è in terreno umido e grasso, anche i frutti gli corrispondono.

Anche le sorgenti ci insegnano ciò.

Insegna a tuo figlio a cantare i salmi, pieni di tanta saggezza di vita; all'inizio, non quelli che parlano della temperanza, ma piuttosto quelli che insegnano ad evitare le compagnie cattive, come trovi subito al principio del libro; precisamente per questo motivo il profeta lo ha incominciato con le parole: Beato l'uomo che non ha preso parte al consiglio degli empi ( Sal 1,1 ).

E: Non mi sono seduto nel consesso degli stolti ( Sal 26,4 ).

E ancora: Nulla vale agli occhi suoi l'empio, ma coloro che temono il Signore egli glorifica ( Sal 15,4 ).

E poi i salmi che insegnano a frequentare i buoni; anche questo troverai, e molto ancora: come dominare il ventre, trattenere le mani, non lasciarsi dominare dall'avidità, e che il denaro è un nulla, che un nulla è la gloria e tutto il resto.

Se dalla fanciullezza introduci tuo figlio in tanta sapienza un po' alla volta lo condurrai sulle vette.

Nei salmi c'è tutto, negli inni invece nulla di umano; se tuo figlio avrà molto familiari i salmi, comprenderà anche gli inni, perché le schiere celesti non cantano salmi, ma inni.

Invece è detto: L'inno non è bello sulla bocca del peccatore ( Sir 15,9 ).

E ancora: I miei occhi sono fissi sui fedeli della terra, perché seggano con me ( Sal 101,6 ).

E: Non abita nella mia casa chi agisce con superbia ( Sal 101,7 ).

E ancora: Chi cammina su una via senza macchia, egli mi servirà ( Sal 101,6 ).

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Colossesi, 9,2

19. - I genitori sono responsabili dei peccati dei loro figli

Se la condotta di un uomo maturo e giuridicamente maggiorenne viene imputata ai genitori, pensa, in proporzione quella di un fragile lattante che, secondo quanto ha detto il Signore, non riconosce la destra dalla sinistra, o in altre parole, non sa distinguere il bene dal male!

Se metti ogni cura nell'evitare che tua figlia venga morsicata da una vipera, perché non usi la stessa attenzione per evitare che venga colpita dal martello di tutta quanta la terra ( Ger 50,23 )?

O che beva nel calice dorato di Babilonia ( Ger 51,7 )?

O che se ne vada fuori con Dina per il desiderio di mettere gli occhi sulle figlie d'un paese straniero ( Gen 34,1ss ), che danzi e che si trascini addosso le tuniche?

Non si somministrano i veleni senza addolcirli col miele, e i vizi non ingannerebbero se non avessero una parvenza o un'ombra di virtù.

« Ma com'è allora - tu mi dirai - che i peccati dei padri non ricadono sui figli, né quelli dei figli sui genitori, ma che è l'anima che commette peccato quella che deve morire ( Ez 18,4.20 )? ».

Questo è detto a riguardo di coloro che sanno usare la ragione, coloro dei quali sta scritto nel Vangelo: Ha la sua età, risponda lui di sé ( Gv 9,21 ).

Ma chi è ancora bambino, invece, e ragiona da bambino, tanto il bene quanto il male che opera viene imputato ai suoi genitori fino a che raggiunge l'età della ragione.

Girolamo, Le Lettere, III, 107,6 ( a Leta )

20. - Gli assassini spirituali dei propri figli

Giustamente si dice che i genitori o gli altri adulti, i quali cercano di costringere al servizio del demonio i figli propri o altrui, sono assassini spirituali.

É vero che non commettono omicidio su quei fanciulli ma rendono se stessi omicidi.

E giustamente viene detto loro, rimproverando questo delitto: « Non uccidete i vostri piccoli! ».

Infatti l'Apostolo dice: Non spegnete lo spirito! ( 1 Ts 5,19 ); non perché possa venire spento, ma per quanto dipende da loro sono chiamati giustamente spegnitori in quanto agiscono in modo da volerlo spegnere.

In questo senso si può comprendere bene ciò che il beato Cipriano nella sua lettera Sui rinnegati scrive a coloro che durante la persecuzione hanno sacrificato agli idoli: « Per completare la misura della scelleratezza, perfino i bimbi furono portati sulle braccia dei genitori o accompagnati per mano, e così i piccoli perdettero ciò che all'inizio della vita avevano ottenuto ».

Non lo perdettero essi, egli intende dire, ma la colpa degli adulti cercò di costringerli a perderlo.

E lo perdettero nel pensiero e nella volontà di quelli che commisero in loro tale nefandezza.

Perché se i bimbi avessero perduto ciò da se stessi, sarebbero stati inescusabili al giudizio di Dio e sarebbero stati cacciati in dannazione.

Ma se questa fosse stata l'intenzione di san Cipriano, egli non avrebbe subito soggiunto, a loro difesa: « Costoro, quando verrà il giorno del giudizio, non diranno forse: Noi non abbiamo peccato, noi non abbiamo abbandonato il cibo e il calice del Signore, noi non ci siamo affrettati liberamente a macchiarci con gli idoli.

L'infedeltà altrui ci ha perduti, e i nostri genitori sono stati i nostri assassini.

Essi non ci hanno lasciato la Chiesa per madre e Dio per padre e così noi nella prima età, senza desideri e nulla sapendo di tale delitto, siamo stati tratti con gli altri in compagnia degli scellerati, l'inganno altrui ci ha resi schiavi! ».

Egli non aggiungerebbe questa difesa se non ritenesse che i bimbi sono giustificati e che al giudizio del Signore non saranno condannati.

É vero ciò che dicono: noi non abbiamo peccato; orbene: L'anima che ha peccato, perirà ( Ez 18,4 ).

Perciò, nel giusto giudizio di Dio non andranno perduti quei bambini che dai loro genitori, per quanto era in loro potere, furono spinti alla perdizione.

Agostino, Le Lettere, I, 98,3 ( a Bonifacio )

21. - I figli non sono responsabili della malvagità del genitori

Per la malvagità dei genitori non si devono accusare i figli che vivono nella pietà; anzi, anche se a dirlo pare strano, sono piuttosto da elogiare, perché la loro pietà non l'hanno assorbita dai genitori, perché non sono stati quasi condotti per mano, ma sono riusciti a trovare la via che conduce al cielo camminando nel deserto, in una landa impraticabile.

Non è dunque una colpa avere un padre empio, ma lo è imitare il padre empio; e non è colpa massima avere genitori corrotti, ma non curarsi di loro e non fare ogni sforzo per strapparli dalla loro perversità.

Quando dunque noi mostriamo ogni cura per la loro anima, ma essi restano nel loro male, siamo immuni da ogni colpa e da ogni biasimo.

Dico questo, o carissimo, perché tu non ti turbi udendo che Abramo ebbe un padre empio.

Anche Timoteo, del resto, aveva un padre pagano: Era figlio di una donna giudeo-cristiana - è detto - e di un padre pagano ( At 16,1 ).

Che poi suo padre rimase nell'empietà e non si convertì, risulta chiaro dal fatto seguente: Paolo, lodando la fede di Timoteo, dice: Fede … che dimorò nella tua nonna Loide e nella tua madre Eunice e, confido, anche in te ( 2 Tm 1,5 ).

Mai però vi è il nome del padre.

Perché? Perché il padre rimase pagano e non fu degno di essere menzionato col figlio.

Anche gli apostoli avevano genitori cattivi, come dichiarò Cristo quando disse [ ai farisei ]: Se io scaccio i demoni in nome di Beelzebul, i vostri figli in nome di chi li scacciano?

Per questo loro stessi saranno i vostri giudici ( Mt 12,27 ).

Dunque, il fatto non ti turbi né ti scandalizzi.

Da tutto ciò impariamo inoltre che il vizio e la virtù non vengono da natura, ma dipendono dalla libera volontà.

Infatti, se dipendessero dalla natura, sempre i cattivi darebbero alla luce figli cattivi, e i buoni, figli buoni; perciò dipende dal libero arbitrio essere probo o improbo, e per questo motivo spesso i figli di genitori malvagi sono buoni e i genitori dei figli sciocchi sono virtuosi.

Dunque, cerchiamone sempre il motivo, non nella natura, ma nella volontà.

Giovanni Crisostomo, Omelie sul nome di Abramo, 5

22. - L'obbedienza dei fanciulli

Figlioli, siate obbedienti ai vostri genitori nel Signore perché ciò è giusto.

Onora il padre e la madre: è questo il primo comandamento associato alla promessa perché tu sia felice e abbia lunga vita sopra la terra ( Ef 6,1-3 ).

Chi raffigura un corpo pone prima la testa, poi il collo e infine i piedi; così il beato Paolo procede nel suo discorso.

Ha parlato dell'uomo, ha parlato della donna che è la seconda nel comando; procedendo, passa ora al terzo, cioè ai figli.

Alla donna infatti comanda l'uomo; ai figli l'uomo e la donna.

Cosa dice dunque? « Figlioli, siate obbedienti ai vostri genitori nel Signore: questo è il primo comandamento associato alla promessa ».

Non parla qui del Cristo, non parla di realtà eccelse perché si rivolge a menti tenere; anche per questo la sua esortazione è breve, perché i fanciulli non riescono a seguire un discorso lungo.

E per questo ancora non dice nulla del regno: per la loro età, non sanno prestare attenzione a tali argomenti; ma parla di quello che l'animo puerile desidera ascoltare: una lunga vita.

Se qualcuno mi chiedesse perché non ha trattato del regno, ma ha esposto loro il precetto contenuto nella legge mosaica, rispondiamo che l'ha fatto perché sono ancora immaturi, e anche perché, se l'uomo e la donna vivono secondo le disposizioni da lui impartite, non fanno grande fatica ad assoggettarvi anche i fanciulli.

Ogni cosa, quando ha un buon inizio e un fondamento solido e retto, procede poi sempre nella norma con grande facilità.

Il difficile è porre il fondamento, gettare la base.

« Figlioli, siate obbedienti ai vostri genitori - dice dunque - nel Signore », cioè secondo il Signore.

Dio, egli vuole dire, così ha comandato.

E che mai se i genitori comandano qualcosa di sconveniente?

Per lo più un padre non comanda nulla di sconveniente, anche se è perverso; tuttavia, anche in ciò Paolo si cautela, dicendo appunto: « nel Signore », cioè in ciò che non offende il Signore.

Se dunque si tratta di paganesimo e di eresia, non si deve certo obbedire: non è obbedienza « nel Signore ».

E perché soggiunge: « É questo il primo comandamento »?

Il primo è: « Non commettere adulterio », « Non ammazzare ».

Lo dice primo non nell'ordine, ma nella promessa: gli altri precetti non comportano un premio, perché sono stati dati per i cattivi per evitare il male; invece, a questi altri precetti, in quanto si riferiscono a opere buone, viene aggiunta la promessa.

Vedi dunque quale fondamento solido Paolo abbia posto alla via della virtù: il rispetto e l'onore verso i genitori.

E opportunamente. Passando dalle azioni cattive a quelle buone, egli ha messo in primo luogo il rispetto verso i genitori perché essi prima di tutto, dopo Dio, sono stati autori della nostra vita.

É giusto dunque che essi per primi colgano il frutto della nostra bontà, e gli altri uomini solo dopo.

Se qualcuno non ha questa virtù, non sarà certamente mai buono con gli estranei.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 21,1

23. - Non far mancare nulla ai tuoi genitori!

C'è un onore non solo di ossequio, ma anche di liberalità.

Onorare, infatti, significa trattare secondo i meriti.

Nutri dunque tuo padre, nutri tua madre.

E se nutrirai tua madre, non la ricompenserai certo per il dolore, per i tormenti ch'ella ha sofferto per te, non le restituirai le cure che per te ha avuto, non le renderai il cibo che ella ti ha dato con tenera pietà versando il latte delle sue mammelle nelle tue labbra, non le restituirai la fame che ha sopportato per te quando non mangiava ciò che poteva nuocerti, ciò che poteva sciupare il suo latte.

Per te ella ha digiunato, per te ha mangiato, per te non ha preso il cibo che desiderava e ha preso quello che non le piaceva, per te ha vegliato, per te ha pianto: e tu puoi tollerare che le manchi qualcosa?

Oh, figlio, quale condanna ti attiri sulla testa, se non nutri tua madre!

A lei devi ciò che hai, a lei devi ciò che sei.

Quale condanna subirai, se sarà la Chiesa a nutrire coloro che tu non vuoi nutrire!

Se un fedele - è detto - o se una fedele ha delle vedove, le assista, in modo che la Chiesa non si aggravi, e possa provvedere a quelle che sono veramente vedove ( 1 Tm 5,16 ).

Queste parole sono riferite agli estranei: che dire allora se si tratta di genitori?

Non senza motivo abbiamo parlato di queste cose: il pianto di una madre ci ha spinto a farlo.

Avremmo preferito ammonire pubblicamente quest'uomo, anziché rimproverarlo in privato.

Se non lo denunziamo con la nostra parola, che almeno arrossisca nel suo cuore.

Non permettere, figlio, che i tuoi genitori siano nutriti con la fame degli altri; non permettere, figlio, che il digiuno dei poveri assicuri a essi il cibo.

Se non vuoi farlo per ottenere grazia e salvezza, almeno per pudore, figlio, nutri anche tu i tuoi genitori.

Non ti vergogni se, mentre entri in chiesa, la tua vecchia madre tende la mano agli altri, se la figlia che hai abbandonato domanda l'elemosina agli estranei mentre tu passi con la testa alta gettando occhiate a destra e a sinistra, trascinando le tue vesti, portando gioielli alle orecchie, braccialetti, anelli e tutto il resto di cui parla Isaia? ( Is 3,16ss ).

E se tua madre si rivolge a te per chiederti il pagamento del debito di natura che hai con lei, per domandarti il prezzo del nutrimento, per esigere i servigi che la tua mano deve alla genitrice, cosa risponderai?

Tu forse dai agli altri? E se questi ti obietteranno: va' prima a nutrire tua madre?

Infatti, anche se sono poveri, essi non vogliono fruire di un'empia elemosina.

Non hai udito parlare poco fa di quel ricco disteso su quel letto di porpora e di bisso, e dal cui tavolo Lazzaro raccoglieva le briciole, il quale ha subìto le torture dell'eterno supplizio per non aver dato cibo al povero? ( Lc 16,19 ).

Se è grave colpa non dare agli estranei, quanto più grave è escludere i genitori!

Tu potresti replicare che preferisci donare alla Chiesa ciò che potresti dare ai tuoi genitori: ebbene, Dio non ti chiede un dono fondato sulla fame dei tuoi genitori.

Non a caso il Signore, ai giudei che si lamentavano perché i discepoli di Cristo non si lavavano le mani, rispose: Chiunque dirà: « É sacra offerta il sussidio che dovrei darti », non onora il padre e la madre ( Mt 15,5 ).

Ambrogio, Commento al Vangelo di san Luca, 8,75-77

24. - Dio vuole che i genitori siano onorati dai loro figli

É detto: Chi bestemmia il padre o la madre, sia punito di morte ( Es 21,17 ).

Di coloro invece che rispettano i genitori, Dio dice: Onora tuo padre e tua madre, perché ne abbia bene e viva a lungo sulla terra ( Es 20,12 ).

Ciò che ordinariamente si ritiene il bene maggiore, cioè una vecchiaia felice e una vita longeva, Dio l'ha stabilito come premio per coloro che onorano i propri genitori.

E quello invece che appare il male supremo, cioè una morte precoce, l'ha posto per castigo di quelli che vituperano i genitori.

Ha mosso gli uni alla benevolenza verso i genitori promettendo loro la gloria; ha trattenuto gli altri, contro loro voglia, da rimproverare i genitori, minacciando loro il castigo.

Dio, inoltre, non solo ha comandato che chi bestemmia suo padre deve morire, e non solo che i carnefici lo devono afferrare davanti al tribunale, condurlo attraverso la piazza e tagliargli il capo fuori dalla città; ma secondo la sua legge, il padre stesso conduce il figlio in mezzo alla città, e si deve credere al padre senza nessun'altra testimonianza ( Dt 21,18-21 ).

E con piena ragione.

Infatti, se chi preferirebbe far getto, per il figlio, dei propri beni, della propria vita e di tutti i tesori, non si farebbe certo suo accusatore se la prepotenza di suo figlio non superasse ogni misura.

Lo conduce dunque in mezzo alla città; poi chiama a raccolta tutto il popolo ed espone la sua accusa.

Tutti gli ascoltatori prendono allora una pietra ciascuno e la scagliano contro chi ha bestemmiato il proprio padre.

Il legislatore non vuole che il popolo semplicemente assista al castigo ma che tutti vi collaborino, perché ciascuno possa guardare la propria mano con cui ha scagliato la pietra contro il capo del bestemmiatore del proprio genitore, e avere così un continuo efficace ricordo che lo spinga al miglioramento.

E non solo questo; anche a qualcos'altro ha voluto con ciò alludere il legislatore: che cioè chi è prepotente contro i propri genitori non commette ingiustizia solo contro di loro, ma contro tutti gli uomini.

Per questo, il padre raccoglie tutti per fargli scontare la pena, come se tutti fossero stati offesi.

Egli raduna tutto il popolo, tutta la città a cerchio intorno a lui e spinge perfino quelli che non hanno nessunissimo contatto con i genitori offesi ad adirarsi contro il colpevole, come se da lui tutta la natura umana fosse stata offesa.

Comanda poi di scacciare quest'uomo, come un appestato, non solo dalla città, ma anche dalla luce del sole, da questo mondo.

Un uomo simile è infatti nemico comune di Dio, della natura, della legge e della vita sociale di tutti gli uomini.

Per questo la legge impone che tutti prendano parte alla sua uccisione, purificando così, in un certo senso, la città.

Giovanni Crisostomo, Predica quaresimale, 4

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