Altura/e

Dizionario

1) Rilievo di modesta entità

2) mar. Alto mare: pesca, motoscafo d'a.


O « alti luoghi » erano edicole o tempietti eretti sui poggi attorno alle città.

Luogo di culto o santuario, costruito su un punto elevato ( ebr. bamah, plur. bamoth; Volg. excelsa ); ben presto, nome generico, e in senso peggiorativo, di ogni santuario anche se costruito a valle ( Ger 7,31 ), in una via o in una piazza ( Ez 16,24.31.39 ).

I Cananei costruivano le loro a., in luoghi solitari ed elevati, presso qualche fonte, all'ombra di un grosso albero, in mezzo ad un boschetto seducente per la riposante frescura ( cf. Dt 12,3; e per Israele: Ez 6,13 ecc.); ne possedevano in gran numero ( gli scavi ne han ridato molte vestigia, specie a Gezer ); e vi svolgevano il loro culto comodo e sensuale ai Baal e alla dea Astarte, Aserah.

L'a. constava di un altare ( v. ) di pietra; di una o parecchie massebah ( plur. masseboth: dal v. nasal "drizzare = pietra drizzata, cippo ); grosse pietre dalla statura di un uomo e anche più ( a Gezer ce ne sono alte m. 3 ), rozze o levigate, anche per i baci e le unzioni ricevute per secoli, disposte ad intervalli uguali, spesso in direzione nord-sud.

Il numero variava: le a. di campagna probabilmente ne avevano una sola.

Non è chiara la loro relazione con la divinità, se dimora o simbolo di essa.

Dietro e al di sopra dell'altare stavano le stele o pietre consacrate al sole ( cf. Is. 17,8 ecc.; ebr. hammanim, solo al plur.; in ebr. il sole è anche detto hamman ).

Infine fissate al suolo, vicino all'altare, sorpassandolo notevolmente in altezza, si drizzavano le aserim ( aserah, al sing., dal nome della dea, della quale dovevano essere simbolo o richiamar la presenza ); si trattava di uno o più pezzi di legno, fatti da alberi o tronchi d'alberi - tolti i rami - appena sgrossati, scolpiti sommariamente in forma umana o con gli emblemi del sesso femminile incisi in modo più o meno rudimentale.

Se mancava una sorgente si scavavano nella roccia delle cisterne per l'acqua necessaria alle abluzioni dei fedeli, alla purificazione dell'altare, ecc.

Delle fosse erano destinate a ricever le ceneri e i resti dei sacrifici.

Le a. maggiori possedevano alcuni edifici: un piccolo tempio o "casa del dio" ( 1 Re 13,32; 2 Re 17,29-32 ecc. ), una nicchia, un baldacchino che copriva un idolo o una pietra sacra; una sala per la cena sacrificale; dei dormitori per chi cercava dei responsi nel sogno; un guardaroba per gli abiti liturgici; camere per i preti e i ieroduli; dei ricoveri per i pellegrini, dei magazzini per il vino, l'olio, la farina, l'incenso che erano venduti a quanti venivano da lontano per sacrificare.

Tutto questo complesso formava un'altura; era rinchiuso in uno spazio più o meno vasto, ritenuto sacro, e delimitato da un muro o da altro.

Molte di queste a. cananee, non distrutte al momento della conquista, nonostante l'ordine formale di Iahweh ( Dt 12,2.5 ), furono occupate dagli Ebrei, restando quasi tali e quali.

Inoltre, gli Ebrei elevarono, in onore di Iahweh, dei santuari che senza dubbio rassomigliavano parecchio a quelli cananei, col loro altare, la stele, l'albero sacro; i più importanti, con la loro sala per la cena ( 1 Sam 9,22 ).

Queste a., ereditate dai pagani o erette sul loro modello, perdettero talvolta abbastanza presto il significato originale.

Rimanevano i riti, gli oggetti sacri, consacrati all'uso secolare, ma era mutata la destinazione, il senso dei riti, il significato delle offerte: le forme esteriori della religione dei Baal cananei erano adoperate per il culto a Iahweh.

Un po', come molti templi pagani, sono stati trasformati in chiese cristiane.

Alcune a. furono così frequentate da zelanti iahwisti ( Samuele a Cabaa; Salomone a Gabaon: 1 Sam 9,22; 1 Sam 10,5; 1 Sam 22,16; 1 Re 3,4 ).

Lo stesso frazionamento, e talvolta isolamento delle tribù minori, seguito alla discontinua occupazione di Canaan, con la conseguente difficoltà di spostarsi e concentrarsi, rendeva naturale questo moltiplicarsi di a. per il culto a Iahweh.

Non era più possibile, come prima, nel deserto, adunarsi intorno all'arca ( v. ), unico simbolo sensibile della presenza divina.

Non era possibile allora attuare il disegno di Mosè, sulla unicità del luogo di culto ( Dt 12; cf. per il deserto Lv 17,8s ).

Questo trasferimento delle a. cananee al culto di Iahweh costituiva un gravissimo pericolo per la purezza del iahwismo.

La massa, infatti, si lasciò vincere dalla tentazione di avvicinare i Baal a Iahweh, di frequentare talvolta le a. tenute dai Cananei, di abbracciare con le forme esterne, riti e pratiche, propriamente idolatriche e condannate dalla legge ( cf. Gdc 2,11s; Gdc 3,7; Gdc 6,1; Gdc 10,6 ).

Era l'inizio fatale di quel lungo movimento sincretico, ora lento ora veloce, deviazione dalla religione legittima ( cf. Os 9,10; Os 10,1; Os 11,1ss; Os 13,5ss; Ger 2,1ss; Ez 20,28 ), che raggiungerà la sua perversa perfezione nell'VIII sec., prima in Samaria e poi in Giuda; e che Dio castigherà con la distruzione e l'esilio ( v. Religione Popolare ).

Nelle a. si svolgeva allora e si svolgerà la maggior parte della pietà d'Israele, e col passar degli anni e dei secoli, Israele s'attacca sempre più fortemente ad esse.

Lo stesso tempio di Salomone, con tutta la sua splendida grandezza, non staccherà il popolo dalle sue vecchie a.

Lo scisma, con la politica religiosa di Ieroboam e dei suoi successori farà leva su questo secolare attaccamento ( a. di Bethel, Dan, ecc.; 1 Re 14,9; cf. 1 Re 15,14; 1 Re 22,44; 2 Re 12,4; 2 Re 14,4; 2 Re 15,4.35 ); mentre si completa la trasformazione in a. idolatriche con tutte le annesse pratiche abominevoli.

I profeti ( Am 5,21-26; Am 7,9; Os 2,5-13.16s; Os 3,4 in Israele; gli altri in Giuda, cf. Ger 2,20; Ger 3,6.13 ) protesteranno energicamente contro esse, ma non saranno ascoltati.

Il pio re Iosia ( 2 Re 23,8-20; 2 Cr 34-35 ) le distruggerà; ma ben presto saranno ricostruite, dal fanatismo del popolo, secondato dai sacerdoti interessati a riprendere sulle proprie a., la libertà e i guadagni.

Sarà necessario che lo stesso Iahweh scateni sul paese la desolazione della guerra come sapevano farla gli Assiri e i Caldei, perché le a. rovinate, seppellite nella polvere dei detriti, sperdute sotto i rovi, siano finalmente dimenticate ( Ez 6,3-6.13; Ez 16,23-31.39ss; Ez 20,28s ).

Il Golgota, monte della morte e della vita

In realtà si tratta di uno sperone roccioso di sei o sette metri, ora inglobato nella basilica del Santo Sepolcro.

Simbolo della sofferenza, ma anche segno della Risurrezione

Dopo Sion e il Sinai, i sacri monti che abbiamo idealmente scalato nelle tappe precedenti del nostro itinerario ecologico-biblico, ecco ora – a chiudere la triade da noi selezionata tra le tante alture presenti nelle Sacre Scritture – un monte fondamentale e decisivo per il cristianesimo: si tratta del Golgota.

In realtà esso è solo uno sperone roccioso di sei o sette metri, tant' è vero che è stato inglobato all' interno della basilica crociata del Santo Sepolcro, come scoprono i pellegrini che lo incontrano una volta entrati nel tempio, a destra, salendo una breve scala.

Ora questo promontorio rupestre è, infatti, coperto da una cappella distribuita tra i Francescani e gli ortodossi.

Il suo nome in aramaico significa « cranio », probabilmente per la sua forma tondeggiante o forse perché lì vicino c'erano le sepolture dei condannati a morte.

In Occidente tutti, anche coloro che non hanno nessuna fede in Cristo, sanno che cos'è il Calvario, che è la traduzione latina dell'aramaico Golgota, tant'è vero che si è persino creato un modo di dire comune, « un calvario di sofferenze ».

La sua irrilevanza orografica è stata invece superata dalla fantasia popolare e dalla creazione artistica che lo ha trasfigurato in una montagna alta e arida sulla quale svettano le croci dei tre condannati, Gesù e i due malfattori.

Monte della morte, quindi, segno di una realtà profondamente umana com'è appunto il morire e il soffrire.

Monte del silenzio assordante del Padre divino nei confronti del Figlio, come si intuisce nel grido estremo di Cristo, basato sull'avvio del Salmo 22: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ».

Padre Turoldo in uno dei suoi Canti ultimi rappresentava con forza quel silenzio sconcertante: « Fede vera / è al venerdì santo / quando Tu non c' eri lassù!

/ Quando non una eco / risponde al suo alto grido / e a stento il Nulla / dà forma / alla tua assenza ».

Eppure, nel Vangelo di Giovanni il Golgota diventa anche il monte della vita piena, perché quella croce è già il segno della gloria, dell'esaltazione pasquale, della risurrezione.

Lo aveva annunciato lo stesso Gesù: « Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me » ( Gv 12,32 ).

E lo aveva fatto balenare anche davanti a quel capo dei Giudei, Nicodemo, nel loro incontro notturno: « Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna » ( Gv 3,14-15 ).

L'ultima parola che Cristo pronuncia lassù è nel greco dei Vangeli un solo verbo: tetélestai, tutto « è compiuto » ( Gv 19,30 ), tutto è giunto alla sua pienezza.

Aveva perciò ragione lo scrittore greco Nikos Kazantzakis quando nella sua opera L'ultima tentazione di Cristo ( 1952 ) commentava: « Levò un grido di trionfo: Tutto s'è compiuto!

Ma fu come se dicesse: Tutto comincia! ».

È quella risurrezione sua e nostra che ha nell'assunzione di Maria la sua attuazione esemplare.


… sacre

Appartenevano alla tradizione cananea.

In seguito Baal venne sostituito da Jahvè ( Gdc 6,25s ), e il culto legittimo le tollerò per lungo tempo, finché non furono proibite dalla legge sull'unità del tempio di Gerusalemme ( Dt 12,2+ ).

1 Sam 9,12
Verranno e canteranno inni sull'altura di Sion Ger 31,12
Condussero dunque Gesù al luogo del Gòlgota Lc 23,22