Esodo |
"Esodo" significa "uscita": s'intende l'uscita degli Ebrei dall'Egitto verso la libertà, narrata nei primi quindici capitoli di questo libro.
In ebraico il libro è chiamato Shemòt, "I nomi", da una delle prime parole.
I discendenti di Giacobbe scesi in Egitto sono diventati un popolo numeroso e per questo vengono oppressi dal faraone.
Il Signore li libera dalla schiavitù ( cc. 1-15 );
li fa incamminare nel deserto verso la terra promessa ( cc. 16-18 );
stringe con loro un'alleanza, subito infranta e ristabilita ( cc. 19-24; 32-34 );
infine egli stesso viene a dimorare in mezzo a loro nel santuario mobile ( cc. 25-31; 35-40 ).
Il libro dell'Esodo contiene i cardini della fede, dell'identità e della vita d'Israele:
il Signore, mediante Mosè, rivela il proprio Nome al popolo;
fa sperimentare la propria presenza nei "segni" forti contro l'Egitto e nella salvezza al Mar Rosso.
La celebrazione della Pasqua permette a ogni generazione di Ebrei di rivivere e riappropriarsi della liberazione dalla schiavitù.
Mediante l'alleanza al Sinai, Israele diviene il popolo di Dio, con l'impegno di osservare la legge.
Nella tenda innalzata da Mosè, Dio abita in mezzo al suo popolo.
In Egitto: gli Ebrei oppressi e liberati ( 1,1-15,21 )
Nel deserto: le tappe verso il Sinai ( 15,22-18,27 )
Al Sinai: alleanza e santuario ( 19,1-40,38 ).
Il libro dell'Esodo è composto prevalentemente da narrazioni e da leggi: si raccontano le opere di Dio e si narra come Dio stesso offra l'alleanza e chieda fedeltà alla legge.
Solo nell'intreccio di racconto e di legislazione si può comprendere il libro, ma si deve anche tenere conto della distanza di tempo e di cultura che ci separa dai testi che leggiamo.
Gli eventi narrati appartengono alla storia delle origini; essi sono stati oggetto di molteplici reinterpretazioni di tipo epico e teologico.
Come avviene anche negli altri ricordi di questo evento, presenti un po' in tutto l'AT, e non soltanto nel Pentateuco, la trama di episodi molto antichi, e a volte assai differenti tra loro, viene unificata e ingrandita.
In alcune pagine del libro, ad es., l'evento è narrato come
una espulsione di Ebrei da parte degli Egiziani ( 12,29-36; vedi anche 1,7-22: "esodo-cacciata" );
in altre pagine si tratta invece di una fuga di Ebrei davanti all'esercito egiziano ( 14,5-15,21: "esodo-fuga" ).
Da una tradizione all'altra gli aspetti prodigiosi si dilatano, le cifre si ingrandiscono.
Nella lettura sinagogale e nelle celebrazioni delle sue feste, Israele, da sempre, si riconosce come colui che continuamente "esce" dall'Egitto, accoglie la legge del suo Dio e vive con lui nell'alleanza del Sinai.
Per i cristiani, la liberazione di Israele dalla schiavitù d'Egitto è una prefigurazione e un anticipo della redenzione che Dio opera per tutti gli uomini mediante Gesù ( At 7,12-53; 1 Cor 10,1-13; 1 Cor 11,23-25; Ap 15,1-4 ).
Così com'è, il libro dell'Esodo venne letto dopo l'esilio babilonese.
La tradizione ebraica e cristiana lo hanno attribuito, come gli altri del Pentateuco, all'attività letteraria di Mosè, ma gli studi degli ultimi tre secoli hanno dimostrato la complessità delle tradizioni che vi sono confluite e le rielaborazioni che si sono succedute.
Oggi si ritiene che il libro dell'Esodo, nella sua stesura attuale, sia da porsi tra il V e il IV sec. a.C.
Secondo l'uso comune a tutti i cinque libri del Pentateuco, nel testo ebraico il titolo di questo libro è dato dalle parole iniziali: questi sono i nomi …
Esodo apparve per la prima volta nella versione greca, fu adottato da tutte le altre versioni antiche e moderne e, sebbene corrisponda letteralmente solo alla materia dei primi cc., caratterizza rottamente tutto il libro e in buona parte anche i seguenti.
Esodo significa uscita ( 19,1 ); l'uscita da un paese e il viaggio preparatorio all'entrata in un altro paese costituiscono l'argomento e lo sfondo sempre presente di Es. e degli altri tre libri.
Dalla storia delle famiglie dei patriarchi ( Gen 12-50 ), si passa con Es. alla storia del popolo di Israele.
Il periodo che va da Giuseppe a Mosè è sorvolato con un fugace accenno alla grande moltiplicazione dei discendenti di Giacobbe-Israele che si erano recati in Egitto nel periodo di Giuseppe, e al cambiamento di politica da parte del Faraone a loro riguardo.
In tal modo, Es. non inizia la narrazione dal periodo in cui termina Gen., ma da uno posteriore e da uno stato di cose diverso : si è tuttavia sempre in Egitto e questo paese è il primo teatro degli avvenimenti narrati.
Il libro inizia presentando i duri lavori a cui furono sottoposti gli Ebrei, il crudele comportamento del Faraone, la nascita, l'educazione e la fuga di Mosè, presenta brevissimamente la sua permanenza nella terra di Madian, per diffondersi sull'elezione del futuro condottiero, sul suo ritorno e sull'opera svolta alla corte in favore del suo popolo.
Narra l'uscita del popolo d'Israele dall'Egitto sotto la guida di Mosè, dando quasi un diario degli ultimi giorni di permanenza in Egitto e dei primi giorni della marcia forzata nella penisola sinaitica fino al monte Sinai.
Qui la peregrinazione si arresta; ha luogo la maestosa teofania, è sancita l'alleanza tra il Dio della rivelazione e il popolo liberato, sono date le leggi per l'organizzazione civile, sociale, religiosa del popolo e per l'organizzazione del culto ufficiale.
Esodo si può dividere in tre parti :
I Dalla oppressione alla liberazione: 1-15,21.
II Il viaggio verso il Sinai : 15,22-19,2.
III La rivelazione sinaitica : 19,3-40,38.
Per quanto riguarda il culto si possono scorgere tre sezioni:
1a sezione disposizioni riguardanti l'ordinamento del culto: cc. 25-31.
2a sezione vitello d'oro e nuovo codice dell'alleanza: 32,1-35,3.
3a sezione esecuzione delle disposizioni riguardanti l'ordinamento cultuale: 35,4-40.
Nella classificazione generale dei libri dell'A. T., Es. è posto tra gli storici.
Narra, infatti, avvenimenti inquadrati in circostanze concrete, animati da persone reali, ambientati in un'epoca storica e in località determinabili con un intelligente confronto tra i dati del libro e quelli storici, archeologici e geografici derivati da altre fonti.
Ma la storia biblica è qualcosa di diverso da quanto siamo soliti chiamare storia in senso tecnico, essa è una storia religiosa: i fatti sono stati ripensati e valutati in base a una fede religiosa, con la coscienza che essi rappresentano l'elemento materiale della rivelazione divina la quale ne è l'elemento formale.
In Es., come negli altri libri del Pentateuco, la tradizione giudaica vide soprattutto un corpo legale, la Thora ( la legge ): e infatti più della metà del libro è formata da legislazioni.
Aspetto storico e aspetto legale sono ambedue indispensabili per un retto giudizio sul libro.
Molti dati e particolari desiderabili per un chiaro inquadramento storico mancano; d'altra parte, leggi e disposizioni poco verosimili nelle condizioni in cui si trovava il popolo sono piuttosto numerose.
E, pur manifestando un innegabile carattere unitario, il libro nelle sezioni narrative e legislative ha un discreto numero di ripetizioni, interruzioni, inserzioni ecc. che rivelano come l'unità dell'opera sia l'effetto di una raccolta ordinata di fonti, documenti e tradizioni distinte, che si riferiscono tuttavia allo stesso argomento generale e talvolta a un identico soggetto ( Es 3,13ss e Es 6,2-12 ).
Non si ha l'impressione di una stesura di getto fatta da un unico scrittore.
A parte certe brevissime inserzioni che si spiegano come chiose e riflessioni passate o assunte nel testo sacro, le fonti, documenti e tradizioni, sulle quali si fonda il testo sono identificabili quasi esclusivamente mediante lo studio del testo ebraico, dello stile e di termini lessicali, elementi distintivi che, riscontrandosi ordinariamente in modo costante, sono denominati appunto le costanti.
In base a esse gli studiosi cattolici convengono in numero crescente nel distinguere in Es. tre documenti o tradizioni principali, che per la comodità offerta da una terminologia ormai comune sono denominati: jahvista (J), elohista (E), sacerdotale (S o P) senza tuttavia condividere, negandoli anzi espressamente, i principi evoluzionistici, filosofici, razionalistici e storici della scuola che per prima li aveva sistematicamente presentati.
È la così detta scuola wellhauseniana, fondamentalmente tramontata.
Per togliere quanto di tecnicismo libresco vi era - un quarto di secolo fa - nel campo razionalista, nella presentazione dei documenti nominati, e per rilevare i grandi e decisivi apporti dell'epoca contemporanea circa i metodi di trasmissione letteraria in uso nell'antico Oriente - e in specie tra i Semiti, - oggi si preferisce parlare di tradizioni piuttosto che di documenti: con questa denominazione non intendiamo ne negare ne sottovalutare la parte essenziale che in esse ebbe la scrittura antecedentemente alla raccolta e selezione nel libro sacro.
Oltre le accennate tradizioni, si notano brevi tratti che per certe particolari caratteristiche convengono distintamente con la tonalità propria di Deut., e sono quindi denominati deuteronomisti.
Nel nostro libro non è facile distinguere minutamente gli apporti delle tre grandi tradizioni d'Israele che, pur nelle loro distinte tendenze, hanno concorso alla composizione di Es.
Poiché concordano negli elementi fondamentali, esse corroborano dal punto di vista umano la veridicità, l'antichità, l'importanza di eventi e leggi che risalgono a un tempo così remoto; testimoniano l'interesse che tali eventi e leggi hanno sempre destato nel popolo; dimostrano come gli uni e le altre fossero considerati patrimonio vivo dato dal Dio dei padri e la magna charta che, sotto identici principi religiosi, cementava l'unione delle dodici tribù d'Israele, le distingueva da tutti gli altri popoli, e alla quale si ricorreva in tempi diversi per la risposta a problemi nuovi.
Circa l'origine, lo sviluppo e la fissazione delle tradizioni gli studiosi cattolici e un numero sempre maggiore di non cattolici convengono nel ritenere che l'origine è unica; che lo sviluppo è avvenuto in ambienti che avevano interessi diversi e si trovavano in condizioni economiche e sociali diverse; che la fissazione scritta fu eseguita in epoche diverse e che tale fissazione non fu l'atto di morte della rispettiva tradizione ma l'inizio di una coesistenza del documento scritto e della tradizione.
Si pone in genere nel X-IX sec. la fissazione della tradizione jahvista, nell'VIII sec. quella della tradizione elohista, nel VII-VI sec. quella della tradizione deuteronomista, e più tardi la fissazione della tradizione sacerdotale.
Si tratta di date solo approssimative, non di date imiti, che si riferiscono a quanto nelle singole tradizioni c'è di più caratteristico e proprio; ognuna, sebbene in misura diversa, ha materiale antichissimo e più recente della data approssimativa di fissazione.
Alla tradizione jahvista si riconosce l'ambiente del regno di Giuda; alle tradizioni elohista e deuteronomista si riconosce una prevalenza, non esclusiva, dell'ambiente del regno di Israele; a quella sacerdotale si riconosce l'assoluta prevalenza del personale profetico e sacerdotale del tempio di Gerusalemme.
A un certo periodo relativamente tardivo della storia d'Israele, da queste diverse tradizioni, che parzialmente erano già state unite, è stato composto l'attuale Pentateuco: del materiale primitivo fu conservato quello ritenuto necessario e conveniente per la grande opera.
In tale lavoro, che non fu una semplice raccolta, le tradizioni subirono una sistematizzazione e un livellamento dove l'esperienza di generazioni è presentata con la visuale della eternità.
Si rivela cosi maggiormente l'aspetto fondamentale dell'opera: libro della elezione, delle promesse, della alleanza, della legge, del culto, storia della salvezza; e appare con maggiore evidenza l'uomo indissolubilmente legato a tutto questo, l'uomo senza il quale è incomprensibile non solo Es., ma la storia d'Israele: Mosè.
Tuttavia, questo aspetto fondamentale del Pentateuco non può fare dimenticare le tradizioni che lo compongono; sebbene la loro ricostruzione sia sotto molti aspetti ipotetica, esse sciolgono un buon numero di difficoltà, permettono una penetrazione più profonda dell'opera, aprono alla mente dimensioni nuove e fanno provare in modo più vivo le tappe della rivelazione divina.
Con esse, quindi, si giunge a una più retta valutazione della mentalità e dello scopo dell'A.
Cosi prendendo le mosse da un certo numero di difficoltà del testo sacro, con la scorta dei grandi apporti, recenti e contemporanei, offerti dalla archeologia biblica e orientale, dalla scoperta e dallo studio della letteratura antica, dalla critica letteraria del testo sacro e dalla storiografia semitica, si giunge a risultati che, mentre si dimostrano altamente positivi per la conoscenza della rivelazione, valorizzano tutti quei dati prudenti - anche se non definitivi - che offre la investigazione umana.
Accennando all'origine di queste tradizioni si disse che è unica : identica quindi per tutte.
Per i libri che più direttamente ci riguardano, Es., Lev., Num., Deut., le parti narrative delle quattro tradizioni hanno uno stesso inquadramento storico e geografico che non corrisponde ai diversi periodi ipoteticamente indicati alla loro prima fissazione, ma a un identico periodo: quello in cui avvennero i fatti; le parti legislative si fondano sui principi di un'identica religione, regolano uno stesso culto e partono dalle stesse norme giuridiche: pur essendo diverso lo sviluppo, diversa la formulazione, diverso l'accento sull'uno o l'altro aspetto, e quindi non sempre identiche le conseguenze che ne derivano e lo spirito che le informa.
Ora c'è un dato in cui le tradizioni sono unanimi, un punto in cui convergono decisamente e al quale incessantemente ritornano le parti narrative e legislative: l'importanza decisiva e unica della persona e dell'attività di Mosè.
L'epoca in cui avvennero i fatti è dominata da lui.
Ed è questa l'epoca in cui Israele si costituì e divenne un popolo ( Es 19,5; Es 24,8 ).
Per mezzo di Mosè fu sancita l'alleanza e data la prima legislazione al popolo: egli fu il primo legislatore e organizzatore di Israele.
Egli fu ancora il grande iniziatore religioso secondo le nuove esigenze del Dio dei padri ( Es 3,6ss; Es 20,1ss ); in lui quindi convergono i ricordi e le tradizioni del periodo dei padri e da lui datano gli elementi nuovi che caratterizzeranno i discendenti.
Non ci sono motivi per dubitare che la grande opera di Mosè sia stata accompagnata anche da una attività letteraria sua o del suo seguito, sotto la sua autorità; se ne può vedere una prova in Es 17,14; Es 24,4; Es 34,27; Nm 3,2.
Però non si può determinare con precisione l'estensione materiale di questa attività letteraria: ne la tradizione cattolica ne il magistero ecclesiastico lo esigono.
È invece indispensabile ritenere che le tradizioni di cui si compone il Pentateuco facciano capo a Mosè, che egli ne sia l'origine, che il Pentateuco sia sostanzialmente mosaico.
La Chiesa « invita i dotti cattolici a studiare questi problemi senza partito preso alla luce di una sana critica e dei risultati delle altre scienze interessate in queste materie, e un tale studio stabilirà senza dubbio la grande parte di Mosè come autore e legislatore » (Pont. Commiss, Bibl., lettera al Card. Suhard, 1948).
Ambienti, circostanze, culture diverse; corrispondenti all'evoluzione propria di ogni organismo vivo, svilupparono, approfondirono il notevole nucleo sostanziale e costitutivo lasciato dal fondatore e legislatore sotto forma letteraria e soprattutto sotto forma di tradizioni viventi.
D'altra parte è certo che prima del periodo approssimativo assegnato alla rispettiva fissazione ognuna delle quattro tradizioni aveva un proprio nucleo di fonti scritte.
Tra i molteplici eventi della storia di Israele, quello narrato da Es 1-15 rappresenta l'evento dominante, centrale e - con la vocazione di Abramo ( Gen 12,1ss ) - è il perno di tutta la storia biblica.
Ciò non solo era sentito dalle singole tradizioni, ma fu tramandato con questo spirito.
Non desta quindi meraviglia che sia l'evento più spesso ricordato in tutta la letteratura biblica dell'A. e del N. T., specialmente nei momenti decisivi e solenni, e che sia un articolo di fede della religione d'Israele ( 2 Sam 7,23s; Gdc 6,13; Dt 26,5-9 ecc. ).
Per ora, i documenti archeologici e letterari dell'antico Egitto non offrono alcuna conferma diretta alla narrazione biblica; contengono invece importanti elementi particolari e una cornice ambientale che, oltre a costituire una preziosa conferma indiretta, si dimostrano indispensabili per comprendere il testo biblico.
Il genere del tutto singolare della storiografia egiziana e il carattere piuttosto episodico e ristretto dei fatti, considerati dal punto di vista della millenaria storia dell'Egitto, sono tali da giustificare abbondantemente questo stato di cose.
Con ciò, tuttavia, non si vuole escludere che in certi documenti egiziani si possa vedere anche più di quanto comunemente non si ritiene.
Circa la data dell'uscita degli Ebrei dall'Egitto, come sul periodo dell'oppressione, gli studiosi non si accordano ancora.
Come d'altronde è ancora incerta l'epoca della discesa in Egitto e la durata della permanenza; mancano, infatti, i nomi dei Faraoni e gli altri dati biblici non bastano per la ricostruzione di una cronologia precisa.
Tre sono le sentenze: la prima, basata su dati della cronologia biblica oggi quasi abbandonata, almeno nella sua formulazione classica, vede in Tutmosi III ( ca. 1490-1435 ) della XVIII dinastia il Faraone della oppressione, in Amenofi II ( ca. 1435-1421 ) il Faraone dell'esodo.
Secondo Gen 15,13 la dimora in Egitto sarebbe stata di 400 anni, secondo Es 12,40 durò 430 anni e secondo 1 Re 6,1 Salomone iniziò la costruzione del tempio 480 anni dopo l'uscita dall'Egitto, nel quarto anno del suo regno: ora questo corrisponde circa all'anno 958.
Da questo computo risulta che l'anno 1445 ca. fu l'anno dell'esodo e l'anno 1400 ca. l'anno dell'ingresso in Palestina.
Questi dati sarebbero comprovati dalla sentenza di qualche archeologo circa la caduta di Gerico per opera di Giosuè; dalle lettere di el-Amarna ( scoperte nel 1887, scritte negli anni ca. 1390-1350 da principi della Siria meridionale, della Fenicia, della Palestina ) si avrebbe un'ottima illustrazione del periodo della conquista israelitica, dalle stesse lettere che parlano di invasori e perturbatori denominati Apiru ( Habiru ), si avrebbe un dato decisivo per la identificazione di costoro con gli Ebrei sotto la guida di Giosuè; infine, la stele del Faraone Mernepta, verso l'anno 1230, parla della sconfitta di Israele in Palestina: l'esodo deve quindi porsi circa un secolo prima.
Ma la sentenza si basa da una parte su dati troppo incerti, dall'altra trascura altri dati biblici ben più sicuri e quelli offerti dalla storia egiziana e dall'archeologia.
Il carattere delle cifre date dalla Bibbia è artificiale e schematico e non si può fondare su di esso una cronologia precisa.
La seconda sentenza indica in Sethi I ( ca. 1318-1301 ) della XIX dinastia il Faraone della oppressione, in Ramses II ( ca. 1301-1234 ) il Faraone dell'esodo; oppure in Ramses II il Faraone della oppressione e in Mernepta ( ca. 1234-1222 ) il Faraone dell'esodo.
È la sentenza oggi più seguita.
La residenza dei Faraoni di cui si parla in Es. si trova nel Delta e tale fu appunto quella dei Faraoni della XIX dinastia, mentre non fu cosi dei loro predecessori, i Faraoni di cui si parla in Es. si distinsero per costruzioni nel Delta, e tale fu ancora il caso dei primi Faraoni della XIX dinastia; tra le città alla cui costruzione lavorarono gli Ebrei sono nominate Ramses e Pitom e gli scavi compiuti in Egitto in questi ultimi anni portarono alla identificazione delle due città e confermarono l'epoca difesa dalla presente sentenza ( Es 1,11 ); i dati topografici biblici sono perfettamente confermati dalle attuali conoscenze che si hanno sulla situazione in cui si trovava il Delta orientale nel XIII sec.; i primi Faraoni della XIX dinastia fecero campagne militari importantissime nella Palestina, e sarebbe strano - nel caso di un esodo sotto Tutmosi-Amenofi II - che di esse non sia rimasto alcun ricordo nei testi biblici: d'altra parte, il rinnovamento e il potente impulso politico militare sociale interno ed esterno iniziato e condotto con vigore dalla XIX dinastia ben si accorda con Es 1,8ss.
La data della distruzione di Gerico è tuttora oggetto di discussione tra gli archeologi, mancando una decisiva evidenza, l'itinerario degli Ebrei nella Transgiordania ( Nm 20,22-27,13 ) suppone l'esistenza dei regni di Edom, Moab e Ammon.
Ora, la costituzione di questi regni non è anteriore al XIII sec., sebbene esplorazioni archeologiche recentissime abbiano dimostrato che la regione centrale era già anteriormente abitata da una popolazione sedentaria; sebbene dall'esplorazione archeologica della Palestina non si possano esigere al riguardo date decisive, dai luoghi metodicamente esplorati ( Lachish, Debir, Bethel, Kiriat-Sefer ecc. ) si conclude che l'occupazione compiuta dagli Ebrei va dal XII al XII sec.
Alle ragioni addotte dalla prima sentenza si osserva: dalle lettere di el-Amarna appare sempre più evidente la mancanza di connessione tra quel periodo e l'invasione israelitica; Apiru e un termine assai più antico e si trova in un'area assai più estesa di quella mai occupata dagli Ebrei nell'antichità, designa in genere un popolo senza patria che in vari gruppi penetra in regioni diverse ed è considerato di classe inferiore, adibito a lavori servili e come truppa mercenaria; si riconosce, però, una relazione non ancora ben definita tra questo termine e il termine Ebreo, e a proposito non si può trascurare il fatto che di questi Apiru si parla anche in testi egiziani della XIX e XX dinastia e la menzione è specialmente interessante in un documento dell'epoca di Ramses II che li presenta come trasportatori di pietre per la grande fortezza della città di Ramses.
La stele di Mernepta può riferirsi al periodo della conquista israelitica sotto Giosuè, alla sconfitta narrata da Nm 14,40ss, agli Ebrei che non erano discesi in Egitto o ne erano già ritornati o allo stesso transito del Mare Rosso ( Mare dei Giunchi ); si fa ancora notare come in questa unica menzione di Israele negli antichi testi egiziani, il nome non abbia il determinativo di paese straniero ma di popolo: contrasto tanto più valido in quanto la stele osserva questa distinzione tra i popoli sedentari e i nomadi; potrebbe trattarsi di un errore dello scriba, comunque è probabile che Israele fosse tuttora nomade ed è certo che l'interpretazione della prima sentenza è esagerata.
Una terza sentenza vede in Mernepta ( 1234-1222 ca. ) il Faraone dell'esodo e in Ramses III il Faraone del periodo della conquista israelitica della Palestina sotto la guida di Giosuè.
Questa sentenza concorderebbe meglio della precedente con il quadro biblico della conquista, con la storia egiziana e con l'archeologia.
In attesa di maggiori chiarificazioni, in una questione ancora complessa come la presente, preferiamo la seconda sentenza, ritenendo che soddisfi le esigenze della esegesi biblica e delle scienze ausiliarie.
Nella storia dell'umanità prima dell'Incarnazione, pochi sono gli eventi che hanno influito in modo cosi vasto e intimo nella storia mondiale come l'esodo, apparentemente insignificante, di un gruppo di schiavi dall'Egitto; poche sono le personalità che, con tratti apparentemente semplici, dominino come Mosè non solo lo sviluppo della loro epoca ma anche tutte le successive.
Ciò è dovuto non alla storia dell'esodo in quanto tale, ma al grandissimo valore dei fatti narrati; come si è precedentemente accennato, i narratori della storia biblica erano interessati ai fatti per il loro significato.
Questo illustra principi spirituali che assai più del materiale usato erano cari agli scrittori ispirati.
Es. occupa nell'A. T. il posto che nel N. T. occupano i Vangeli: anche quando i molteplici punti oscuri circa la storia e la geografia del libro saranno chiariti, non avremo reso giustizia al testo sacro se, accanto a miracoli fisici, non ne vedremo altri morali assai superiori; se, accanto a eventi naturali, non scorgeremo i principi che ne costituiscono l'anima e ne rivelano il significato.
Per essi, la storia dell'esodo si è impressa indelebilmente nell'animo di ogni Israelita ed è tuttora viva nell'animo dei cristiani, e per essi le parti narrative del libro hanno a volte una tinta eroica, liturgica, epica.
Non bisogna, infatti, credere che si tratti di una storiografia critica: come era un'arte quella dei narratori così era un'arte quella degli scrittori; e ogni arte ha leggi che occorre tenere presenti nell'interpretazione.
Così, per es., il più delle volte i sentimenti degli attori sono manifestati per mezzo di dialoghi e di azioni; per la legge del contrasto, si ama personificare o acuire in due persone o gruppi due diverse forme di vita ponendole in modo più vivo l'una contro l'altra; i narratori fiorivano specialmente intorno al santuario, per il santuario lavoravano gli scrittori, nel santuario erano conservati gli scritti: di qui si può misurare il grande influsso che su di essi ebbe il culto.
La storia di Es. oltre a permeare di sé tutta la dottrina dell'A. T., ha ispirato alcune tra le più belle pagine dei profeti.
Così per es. Os 9,10ss; Os 11,1ss; Os 12,9-13,6; Ger 1-3; Ger 11,1-8; Ger 31,1-34; Is 40-55 ecc.
E si può parlare di una teologia dell'esodo, i cui punti essenziali sono: presenza concreta e misericordiosa di Dio nel destino di Israele, liberazione dal paese della schiavitù, la elezione, la Pasqua, la nube divina, la manna, l'alleanza, il Decalogo e le leggi, l'arca dell'alleanza, la dimora, il culto, le festività, il deserto.
Il fatto storico dell'esodo fu, cosi, approfondito sempre più non soltanto dai profeti, dai Sal 78; Sal 95; Sal 105; Sal 106; Sal 107; Sal 114; Sal 136, dai libri sapienziali ( Sir 17,7ss; Sir 24,1-32; Sir 45,1-26; Sap 10,15-12,2; Sap 16-19 ), da Deut., ma dalle stesse tradizioni di cui consta l'Es.
Tra i punti dottrinali di Es. merita una menzione speciale l'alleanza tra il Dio della rivelazione e Israele ( Es 19,5s; Es 24,3-8 ); a essa tendono gli avvenimenti antecedenti, da essa hanno origine le disposizioni legali e cultuali seguenti, a essa si riferiscono le rinnovazioni delle alleanze di cui si legge in altri libri ( Dt 28,69-29,14; Gs 24; 2 Re 22-23 e 2 Cr 34,8-33; Ne 8,1; Ne 10,1 e Ne 10,30 ),
a essa ancora si riferiscono i profeti per accusare Israele di averla infranta con molteplici infedeltà ( Is 24,5; Ger 11,10; Ger 31,32; Ez 16,59; Ez 44,7 ) e per ricordare al popolo che tuttavia Jahve per la propria santità, per la propria gloria e per il proprio nome sancirà una nuova alleanza ( Ger 31,31-34; Ger 32,38; Ez 16,60; Ez 34,25; Ez 37,26; Is 42,6; Is 49,8; Is 55,3; Is 59,21; Is 61,8; Ml 2,1 ).
Singolare è il concetto di alleanza per designare il rapporto tra il Dio della rivelazione e Israele; esso è fondamentale per la comprensione della fede ebraica e costituisce la base di tutta la sua storia.
L'alleanza scaturisce da una elezione gratuita e benevola di Dio ( Es 33,19; Dt 7,6-8; Dt 9,5 ), ha carattere morale poiché manifesta chiara la volontà divina da osservare, implica promesse ed esigenze, è condizionata all'adempimento di obbligazioni manifestate da Dio e liberamente accettate dal popolo.
L'elezione divina, la salvezza, non è scopo a se stessa: suo scopo è un compito determinato.
Se il compito è adempiuto dagli eletti, l'elezione ha raggiunto il suo scopo, se il compito viene meno sono rigettati.
L'elezione è un privilegio in vista di obblighi e doveri ben determinati.
Per questo, tutte le tradizioni del Pentateuco alla stipulazione dell'alleanza del Sinai riallacciano leggi: esse ne sono le clausole imposte da Dio a Israele.
Tali sono il Decalogo ( Es 20,2-17; Es 34,28 ), il cosi detto codice Jahvista dell'alleanza ( Es 34,10-28 ), il codice Elohista ( Es 20,22-23,19 ), l'ordinamento del culto ( Es 25-31; Es 35-40 ).
Come era da attendersi, queste leggi mostrano molteplici relazioni con quelle di altri popoli; ma il loro carattere religioso-morale, l'aspetto del Dio legislatore, e lo spirito che le anima, sono altrettanti elementi che le pongono al disopra di ogni altra legislazione dell'antico Oriente.
Dal N. T. è maggiormente approfondito il significato storico-religioso di Es. e ne è manifestato il valore permanente e attuale per la Chiesa e per i cristiani.
Nel passaggio del mare S. Paolo vide un tipo del Battesimo, nella peregrinazione nel deserto la nostra vita quaggiù, nella manna e nell'acqua miracolosa un tipo dell'Eucaristia, nella vittima pasquale un tipo di Gesù Cristo ( 1 Cor 5,7s; 1 Cor 10,2-4 ).
Nel vangelo di S. Giovanni e in specie nei primi cc. si scorge probabilmente un po' dovunque la filigrana di Es.; sono comunque certi i seguenti riferimenti: Es 3 con Gv 1,29-34; Es 4 con Gv 2,1-11; Es 11-12 con Gv 2,13ss; Es 14 con Gv 3,5; Es 16,1-36 con Gv 6,22-59, e il raffronto tra l'opera di Mosè e quella di Gesù ( Gv 1,17; Gv 3,14 ), la presentazione di Gesù in croce come il vero agnello pasquale ( Gv 19,36 ).
La lettera agli Ebrei si sofferma nella descrizione della relazione tra Mosè e Gesù Cristo, della superiorità di questo e del parallelismo tra il popolo ebraico nel deserto e il popolo cristiano ( Eb 3,1-4,13 ), della trascendenza tra il sacerdozio e il sacrificio mosaico e quello di Gesù Cristo ( Eb 7-9 ), del sangue dell'antica e della nuova alleanza ( Eb 9,18-28 ).
1 Pt 1,13 presenta la vita cristiana ispirandosi al rituale della Pasqua e vede nel popolo cristiano la realizzazione totale di Es 19,6.
Mt 2,13ss parla dell'esodo di Gesù Cristo e i tre Sinottici presentano Gesù che dopo il battesimo si ritira nel deserto per 40 giorni.
Il Decalogo è tuttora valido e fondamentale per tutti i cristiani, e i principi di giustizia e carità inculcati dal codice dell'alleanza, estesi e approfonditi dal N. T., sono sempre un impegno sociale per i cristiani.
Il testo ebraico, sul quale è fatta la presente versione, è in generale chiaro e in ottimo stato.
Qualche frase pare tuttavia corrotta e difficilmente ricostruibile, mentre altre espressioni sono facilmente chiarificate con un prudente uso degli accorgimenti offerti dalla critica testuale e in specie dal raffronto con l'antichissimo Pentateuco Samaritano e con le versioni greca e siriaca.
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