Formazione negli Istituti Religiosi |
Il fine primario della formazione è quello di permettere ai candidati alla vita religiosa ed ai giovani professi di scoprire prima, di assimilare ed approfondire poi, in che cosa consista l'identità del religioso.
Solo a queste condizioni la persona consacrata a Dio si inserirà nel mondo come un testimone significativo, efficace e fedele.1
Conviene dunque ricordare, all'inizio di un documento sulla formazione, ciò che rappresenta per la Chiesa la grazia della consacrazione religiosa.
« In quanto consacrazione di tutta la persona, la vita religiosa manifesta nella Chiesa l'ammirabile unione sponsale stabilita da Dio, segno della vita futura.
Cosi il religioso compie la sua piena donazione come un sacrificio offerto a Dio, per cui tutta la sua esistenza diviene un culto continuo reso a Dio nella carità ».
« La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici » di cui la vita religiosa è una specie « è la forma stabile di vita con la quale i fedeli, seguendo Cristo più da vicino, per l'azione dello Spirito Santo, si donano totalmente a Dio amato sopra ogni cosa, per dedicarsi con nuovo e speciale titolo al suo onore, all'edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, sono in grado di tendere alla perfezione della carità nel servizio del Regno di Dio e, divenuti nella Chiesa segno luminoso, preannunciano la gloria celeste ».2
« Questa forma di vita, negli istituti di vita consacrata eretti canonicamente dalla competente autorità della Chiesa, i fedeli la assumono liberamente e, mediante i voti o altri vincoli sacri a seconda delle leggi proprie degli istituti, professano di voler osservare i consigli evangelici di castità, povertà ed obbedienza per mezzo della carità alla quale i consigli stessi conducono, si congiungono a modo speciale alla Chiesa e al suo mistero ».3
All'origine della consacrazione religiosa c'è una chiamata di Dio che si spiega solo con l'amore che Egli nutre per la persona chiamata.
Questo amore assolutamente gratuito, personale ed unico.
Investe la persona al punto che essa non appartiene più a se stessa ma appartiene a Cristo. ( Cf. 1 Cor 6,19 )
Riveste così il carattere di una alleanza.
Lo sguardo che Gesù posò sul giovane ricco manifesta questo carattere: « posando lo sguardo su di lui, Gesù lo amò » ( Mc 10,21 ).
Il dono dello Spirito lo manifesta e lo esprime.
Questo dono impegna la persona che Dio chiama, a seguire Cristo mediante la pratica dei consigli evangelici di castità, povertà ed obbedienza.
È « un dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e che, per sua grazia, conserva fedelmente ».5
E per questo « la firma ultima della vita religiosa » sarà di « seguire Cristo secondo l'insegnamento del Vangelo ».6
La chiamata di Cristo, che è l'espressione di un amore redentivo, « investe la persona intera, anima e corpo, si tratti di un uomo o di una donna; nella sua entità personale è assolutamente unica ».7
Essa « prende nel cuore del chiamato la forma concreta della professione dei consigli evangelici ».8
In questa orma, quelle e quelli che Dio chiama donano a loro volta a Cristo Redentore una risposta di amore: un amore che si abbandona interamente e senza riserve che si perde nell'offerta di tutta la persona « come ostia viva, santa, gradita a Dio » ( Rm 12,1 ).
Solo questo amore, anch'esso di carattere nuziale, che impegna tutta l'affettività della persona, permetterà di motivare e di sostenere le rinunce e le croci che incontra necessariamente colui che vuole « perdere la sua vita » a causa di Cristo e del Vangelo ( cf. Mc 8,35 ).9
Questa risposta personale è parte integrante della consacrazione religiosa.
Secondo l'insegnamento della Chiesa, « con la professione religiosa i membri assumono con voto pubblico l'obbligo di osservare i tre consigli evangelici, sono consacrati a Dio mediante il mistero della Chiesa e vengono incorporati all'istituto con i diritti e i doveri definiti dal diritto ».10
Nell'atto della professione religiosa, che è un atto della Chiesa, tramite l'autorità di colui o di colei che riceve i voti, convergono l'azione di Dio e la risposta della persona.11
Questo atto incorpora in un istituto.
I membri vi « conducono in comune la vita fraterna »12 e l'istituto assicura loro
« l'aiuto di una maggiore stabilità nella loro forma di vita,
di una dottrina provata per raggiungere la perfezione,
di una comunione fraterna della milizia di Cristo,
di una libertà fortificata nell'obbedienza
al fine di poter adempiere con sicurezza e custodire fedelmente la loro professione religiosa, progredendo nella gioia spirituale sul cammino della carità ».13
L'appartenenza dei religiosi e delle religiose a un istituto li conduce a rendere a Cristo e alla Chiesa una testimonianza pubblica di distacco « dallo spirito del mondo » ( 1 Cor 2,12 ) e dai comportamenti che esso esige, e nel medesimo tempo di presenza nel mondo secondo « la saggezza di Dio » ( 1 Cor 2,7 ).
« La professione religiosa pone nel cuore di ognuno e di ognuna ( … ) l'amore del Padre, quell'amore che è nel cuore di Gesù Cristo, Redentore del mondo.
È amore, questo, che abbraccia il mondo e tutto ciò che in esso viene dal Padre e che al tempo stesso tende a sconfiggere tutto ciò che nel mondo non viene dal Padre ».14
( … ) "Un tale amore deve sgorgare ( … ) dalla fonte stessa di quella particolare consacrazione che, sulla base sacramentale del santo battesimo, è l'inizio della nuova creazione".15
12. La fede, la speranza e la carità spingono le religiose e i religiosi ad impegnarsi con i voti a praticare e a professare i consigli evangelici e a testimoniare così l'attualità e il senso delle Beatitudini nel mondo.16
I consigli sono come l'asse portante della vita religiosa; essi esprimono in maniera completa e significativa il radicalismo evangelico che la caratterizza.
Infatti, « con la professione dei consigli evangelici fatta nella Chiesa ( il religioso ) intende liberarsi dagli impedimenti che potrebbero distoglierlo dal fervore della carità e dalla perfezione del culto divino, e si consacra più intimamente al servizio di Dio ».17
Essi raggiungono la persona umana a livello delle tre componenti essenziali della sua esistenza e delle sue relazioni: l'affettività, l'avere e il potere.
Questo radicamento antropologico spiega come la tradizione spirituale della Chiesa li abbia frequentemente messi in relazione con le tre concupiscenze ricordate da San Giovanni. ( Cf. 1 Gv 2,15-17 )
La loro pratica ben condotta favorisce la maturazione della persona, la libertà spirituale, la purificazione del cuore, il fervore della carità ed aiuta il religioso a cooperare alla costruzione della città terrena.19
I consigli vissuti nella maniera più autentica possibile rivestono un grande significato per tutti gli uomini20 poiché ogni voto dà una risposta specifica alle grandi tentazioni del nostro tempo.
Per mezzo di essi la Chiesa continua ad indicare al mondo le vie della sua trasfigurazione nel Regno di Dio.
Importa quindi che sia posta una cura attenta ad iniziare, teoricamente e praticamente, i candidati alla vita religiosa, alle esigenze concrete dei tre voti.
« Il consiglio evangelico della castità assunto per il Regno dei cieli, che è segno della vita futura e fonte di una più ricca fecondità nel cuore indiviso, comporta l'obbligo della perfetta continenza nel celibato ».21
La sua pratica comporta che la persona consacrata mediante i voti religiosi metta al centro della sua vita affettiva una relazione « più immediata » ( ET 13 ) con Dio per mezzo del Cristo, nello Spirito.
« Poiché l'osservanza della continenza perfetta tocca intimamente le inclinazioni profonde della natura umana, i candidati alla professione della castità non abbraccino questo stato, né siano ammessi, se non dopo una prova veramente sufficiente e dopo che sia stata da essi raggiunta una conveniente maturità psicologica ed affettiva.
Essi non solo siano preavvertiti circa i pericoli ai quali va incontro la castità, ma devono essere educati in maniera tale da abbracciare il celibato consacrato a Dio anche come un bene per lo sviluppo integrale della propria persona ».22
Una tendenza istintiva porta la persona umana ad assolutizzare l'amore umano.
Tendenza caratterizzata dall'egoismo affettivo che si afferma con il dominio sulla persona amata, come se da tale dominio potesse nascere la felicità.
D'altra parte, l'uomo fa fatica a comprendere che l'amore possa essere vissuto nel dono intero di se stesso, senza necessariamente esigere l'espressione sessuale.
Quindi, l'educazione alla castità dovrà mirare ad aiutare ciascuna e ciascuno a controllare e a padroneggiare i suoi impulsi sessuali, evitando nello stesso tempo l'egoismo affettivo orgogliosamente soddisfatto dalla propria fedeltà nella purezza.
Non è a caso che gli antichi Padri dessero all'umiltà una priorità sulla castità, giacché come prova l'esperienza la purezza può anche andare d'accordo con la durezza del cuore.
La castità rende libero in maniera speciale il cuore dell'uomo ( 1 Cor 7,32-35 ), così da accenderlo sempre più di carità verso Dio e verso tutti gli uomini.
Uno dei più grandi contributi che il religioso può apportare agli uomini oggi è certamente quello di rivelare loro, con la sua vita più che con le sue parole, la possibilità di una vera dedizione ed apertura agli altri, condividendo le loro gioie, rimanendo fedele e costante nell'amore, senza atteggiamento di dominio e di esclusività.
Di conseguenza, la pedagogia della castità consacrata procurerà di:
mantenere la gioia e l'azione di grazie per l'amore personale con cui ciascuno è guardato e scelto da Cristo;
incoraggiare la pratica frequente del sacramento della riconciliazione,
il ricorso ad una direzione spirituale regolare e
lo scambio di un vero amore fraterno in comunità, concretizzato in relazioni franche e cordiali;
spiegare il valore del corpo e il suo significato e formare ad un'igiene corporale elementare ( sonno, sport, sollievo, nutrimento, ecc );
dare nozioni fondamentali sulla sessualità maschile e femminile con le loro connotazioni fisiche, psicologiche, spirituali;
aiutare al controllo di sé, sul piano sessuale ed affettivo, ed anche in quello che riguarda altri bisogni istintivi o acquisiti ( golosità, tabacco, alcool );
aiutare ciascuno ad assumere le proprie esperienze passate, sia positive per renderne grazie, sia negative per individuare i punti deboli, umiliarsi serenamente davanti a Dio e rimanere vigilante per l'avvenire;
mettere in luce la fecondità della castità, la paternità spirituale ( Gal 4,19 ) che genera vita per la Chiesa;
creare un clima di confidenza tra i religiosi e i loro educatori, che devono essere pronti a comprendere tutto e ad ascoltare affettuosamente per illuminare e sostenere;
comportarsi con la prudenza dovuta nell'uso dei mezzi di comunicazione sociale e nelle relazioni personali che potrebbero essere di ostacolo ad una pratica coerente del consiglio di castità ( cf. cc. 277, 2 e c. 666 ).
Esercitare tale prudenza spetta non solo ai religiosi, ma anche ai loro superiori.
"Il consiglio evangelico della povertà, ad imitazione di Cristo che essendo ricco si è fatto povero per noi, oltre ad una vita povera di fatto e di spirito, da condursi in operosa sobrietà che non indulga alle ricchezze terrene, comporta la limitazione e la dipendenza nell'usare e nel disporre dei beni, secondo il diritto proprio dei singoli istituti"23
La sensibilità alla povertà non è nuova, né nella Chiesa né nella vita religiosa.
Ciò che forse è nuovo, è che la sensibilità particolare verso i poveri e la povertà nel mondo caratterizza oggi la vita religiosa.
Oggi esistono forme di povertà in grande scala, vissute da individui o sopportate da società intere:
la fame,
l'ignoranza,
la malattia,
la disoccupazione,
la soppressione delle libertà fondamentali,
la dipendenza economica e politica,
la corruzione nel funzionamento delle amministrazioni,
il fatto soprattutto che la società umana sembra organizzata in modo da produrre queste diverse povertà.
In queste condizioni, i religiosi sono spinti ad una maggiore prossimità nei confronti dei miseri e dei bisognosi, quelli stessi che Gesù sempre preferì, per i quali si disse inviato ( Cf. Lc 4,16-21 ) ed ai quali si identificò. ( Cf. Lc 7,18-23 )
Questa prossimità li induce ad adottare uno stile di vita personale e comunitario più coerente con il loro impegno a seguire più da vicino Cristo povero e umile.
Questa "scelta preferenziale"26 ed evangelica dei religiosi per i poveri implica
il distacco interiore,
una austerità di vita comunitaria,
a volte la condivisione della loro vita e delle loro lotte,
senza dimenticare tuttavia che la missione specifica dei religiosi è di testimoniare
che le beatitudini costituiscono la legge nuova del cristiano,
che la vita religiosa e il progetto apostolico non possono ridursi ad un impegno generoso ma semplicemente temporale,
che, nella Chiesa, l'annuncio del Vangelo è più importante della denuncia dei mali e delle ingiustizie e
che questa non può fare a meno di quello che le dona il suo vero fondamento e la forza della più alta motivazione.27
Dio ama tutti gli uomini e vuole riunirli tutti senza esclusioni.28
È anche per i religiosi, una forma di povertà giacché i veri poveri si trovano dappertutto.
Ciò vale ugualmente, tenuto conto della specificità del loro carisma, per gli istituti votati ad un servizio presso le classi sociali più sfavorite.
Lo studio dell'insegnamento sociale della Chiesa e particolarmente quello dell'Enciclica Sollicitudo rei socialis e dell'Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione,29 aiuterà ad operare scelte adeguate per una pratica attuazione della povertà apostolica.
L'educazione alla povertà evangelica sarà attenta ai seguenti punti:
prima di entrare nella vita religiosa, alcuni giovani hanno goduto di una certa autonomia sul piano finanziario e sono stati abituati a procurarsi tutto ciò di cui avevano voglia,
altri trovano nella comunità religiosa un livello di vita più elevato di quello della loro infanzia e dei loro anni di studio o di lavoro.
La pedagogia della povertà deve tener conto della storia di ciascuno.
Si deve ricordare anche che in certe culture le famiglie contano di approfittare di ciò che appare come una promozione per i loro figli; spetta alla virtù della povertà impegnarsi in una vita laboriosa, in atti concreti ed umili di rinuncia alla proprietà,
di spoliazione, che rendono più liberi per la missione;
di ammirare e di rispettare la creazione e gli oggetti materiali messi a disposizione;
di rimettersi alla comunità per il livello di vita;
di voler realmente che « tutto sia in comune » e « che si dia a ciascuno secondo i suoi bisogni » ( At 4,32.35 ).
Tutto ciò si compia al fine di incentrare la propria vita su Gesù povero, contemplato, amato e seguito.
Senza ciò, la povertà religiosa, sotto la forma della solidarietà e della condivisione, diventa facilmente ideologica e politica.
Solo un cuore di povero che si mette alla sequela del Cristo povero può essere sorgente di una autentica solidarietà e di un vero distacco.
« Il consiglio evangelico dell'obbedienza, accolto con spirito di fede e amore per seguire Cristo obbediente fino alla morte, obbliga a sottomettere a volontà ai legittimi superiori, quali rappresentanti di Dio, quando comandano secondo le costituzioni proprie ».30
Inoltre, tutti i religiosi « sono per un titolo peculiare soggetti alla suprema autorità della Chiesa stessa ( … ) ( e ) tenuti ad obbedire al Sommo Pontefice, come loro supremo Superiore, anche a motivo del vincoIo sacro di obbedienza »31
« Lungi dal diminuire la dignità della persona umana, ( l'obbedienza ) la fa pervenire al suo pieno sviluppo, favorendo la crescita della libertà dei figli di Dio ».32
L'obbedienza religiosa è nello stesso tempo imitazione di Cristo e partecipazione alla sua missione.
Essa si preoccupa di fare ciò che Gesù ha fatto ed insieme di ciò che Egli farebbe nella situazione concreta nella quale il religioso si trova oggi.
In un istituto, sia che si eserciti l'autorità sia che non la si eserciti, non può né comandare né obbedire senza riferirsi alla missione.
Quando il religioso obbedisce pone la sua obbedienza in continuità con l'obbedienza di Gesù per salvare il mondo.
Perciò, tutto quello che nell'esercizio dell'autorità o dell'obbedienza deriva da un compromesso, da una soluzione diplomatica o da pressione da ogni altro tipo di combinazione umana, tradisce l'aspirazione fondamentale dell'obbedienza religiosa che è di accordarsi con la missione di Gesù e di attuare nel tempo, anche se questo impegno è oneroso.
Un superiore che favorisce il dialogo educa ad una obbedienza responsabile e attiva.
A lui tocca tuttavia di « usare la sua autorità quando bisogna decidere comandare ciò che deve essere fatto ».33
Riguardo la pedagogia dell'obbedienza, si dovrà ricordare:
che per donarsi nell'obbedienza è necessario prima esistere:
i candidati hanno bisogno di uscire dall'anonimato del mondo tecnico, di riconoscersi e di essere riconosciuti come persone, di essere stimati ed amati;
che questi stessi candidati hanno bisogno di trovare la vera libertà, per passare personalmente da « ciò che piace a loro » a « ciò che piace al Padre »:
perciò le strutture della comunità di formazione, pur essendo sufficientemente chiare e ferme lasceranno un largo posto alle iniziative ed alle decisioni responsabili;
che la volontà di Dio si esprime più di sovente ed in forma privilegiata attraverso la mediazione della Chiesa ed il suo magistero e, più specificamente per i religiosi, per le costituzioni loro proprie;
che in fatto di obbedienza, la testimonianza degli anziani in comunità ha più peso sui giovani di ogni altra considerazione teorica.
Tuttavia, la persona che si sforza di obbedire come Cristo e in Cristo può giungere a passare oltre in presenza di esempi meno edificanti.
L'educazione all'obbedienza religiosa si farà dunque con tutta la lucidità e l'esigenza richiesta affinché non si devii dal « cammino » che è Cristo in missione. ( Cf. Gv 14,16 )
La varietà degli istituti religiosi somiglia ad « un albero che si ramifica in modo mirabile e si moltiplica nel campo del Signore a partire da un germe seminato da Dio ».35
Per mezzo di essi, « la Chiesa manifesta Cristo ai fedeli e agli infedeli: sia nella sua contemplazione sulla montagna, sia nel suo annuncio del Regno di Dio alle folle, sia ancora quando guarisce i malati e gli infermi e converte i peccatori ad una vita feconda, quando benedice i fanciulli e spande su tutti i suoi benefici, compiendo in tutto ciò la volontà del Padre che lo manda ».36
Questa varietà si spiega con la diversità del « carisma del fondatori »37 che si rivela come un'esperienza dello Spirito, trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita.
Per questo "la Chiesa difende e sostiene l'indole propria dei vari istituti religiosi" ».38
Così non vi è un modo uniforme di osservare i consigli evangelici, ma ogni istituto deve stabilire il proprio modo « tenendo conto dell'indole e delle finalità proprie ».39
E questo non solo per quanto riguarda la pratica dei consigli evangelici, ma anche per tutto ciò che concerne lo stile di vita dei suoi membri, in vista di tendere alla perfezione del loro stato.40
« Coloro che professano i consigli evangelici cercano Dio e amano sopra ogni cosa Lui che ci ha amati per primo ( 1 Gv 4,10 ), e in tutte le circostanze essi cercano di stare nella vita nascosta con Cristo in Dio ( cf. Col 3,3 ); da ciò deriva e si fa pressante l'amore del prossimo per la salvezza del mondo e l'edificazione della Chiesa ».41
Questa carità, che comanda e vivifica la pratica stessa dei consigli evangelici, è diffusa nei cuori dallo Spirito di Dio, che è Spirito di unità, di armonia e di riconciliazione della persona stessa.
Per questo la vita personale di un religioso o di una religiosa non dovrebbe soffrire divisioni né tra il fine generico della sua vita religiosa e il fine specifico del suo istituto, né tra la vita religiosa in quanto tale da una parte e le attività apostoliche dall'altra.
Non esiste concretamente una vita religiosa « in sè » sulla quale si innesterebbe, come un'aggiunta sussidiaria, il fine specifico ed il carisma particolare di ogni istituto.
Non esiste, negli istituti dediti all'apostolato, ricerca della santità o professione dei consigli evangelici, o vita votata a Dio e al suo servizio, che non sia intrinsecamente legata al servizio della Chiesa e del mondo.42
Più ancora, « l'azione apostolica e caritatevole rientra nella natura stessa della vita religiosa » al punto che « tutta la vita religiosa ( … ) deve essere compenetrata di spirito apostolico, e tutta l'azione apostolica animata da spirito religioso ».43
Il servizio del prossimo non divide né separa il religioso da Dio.
Se è mosso da una carità veramente teologale, questo servizio prende valore di servizio di Dio.44
E si può anche affermare giustamente, che « l'apostolato di tutti i religiosi consiste in primo luogo nella testimonianza della loro vita consacrata ».45
18. Spetterà ad ogni persona verificare in qual modo nella propria vita l'attività deriva dalla sua intima unione con Dio e se, simultaneamente, conserva e fortifica questa unione.46
Da questo punto di vista, l'obbedienza alla volontà di Dio manifestata qui e adesso nella missione ricevuta, è il mezzo immediato per cui si può realizzare una certa unità di vita, pazientemente ricercata ma mai raggiunta.
Questa obbedienza non si spiega che per la volontà di seguire Cristo più da vicino, essa stessa vivificata e stimolata da un amore personale per Cristo.
Questo amore è il principio di unità interiore di ogni vita consacrata.
La verifica di unità di vita può farsi in funzione di quattro gradi di fedeltà:
fedeltà a Cristo e al Vangelo,
fedeltà alla Chiesa e alla sua missione nel mondo,
fedeltà alla vita religiosa e al carisma proprio dell'Istituto,
fedeltà all'uomo e al nostro tempo.47
Indice |
1 | Cf. Giovanni Paolo II
all'UISG, 4-5-1985; vedi nota 5 Introduzione. |
2 | C. 607 e
c. 573,1; cf. anche LG 44 e PC 1, n. 5 e n. 6. |
3 | C. 573,2. |
5 | LG 43. |
6 | PC 2a. Sulla vocazione divina, cf. LG 39, n. 43b, n. 44a, n. 47; PC 1c; RC preambolo, 2d; OPR I, 57, n. 62, n. 67, n. 85, n. 140, n. 142; II 65, n. 72; Appendice; OCV 17,20; ET 3, n. 6, n. 8, n. 12, n. 19, n. 31, n. 55; MR 8a; cc. 574,2. EE 2, n. 5, n. 6, n. 7, n. 12, n. 14, n. 23, n. 44, n. 53; RD 3c, n. 6b, n. 7d, n. 10c, n. 16a. |
7 | RD 3. |
8 | RD 8. |
9 | Sulla responsabilità personale, cf. anche
LG 44a,
n. 46b,
n. 47; PC 1c; RC 2a,c; n. 13,1; OPR 1, n. 7, n. 80; ET 1, n. 4, n. 7, n. 8, n. 31; can. 573,1; EE 4, n. 5, n. 30, n. 44, n. 49; RD 7a. n. 8b, n. 9b. |
10 | C. 654. |
11 | Cf. EE 13-17. |
12 | C. 607,2. |
13 | LG 43a. Sul ministero della Chiesa nella consacrazione religiosa, cf. anche LG 44a, n. 45c; PC 1b,c; n. 5b, n. 11a; OPR, Appendix, Missa in die professionis perpetuae 1; Ritus promissionis 5; OCV 16; ET 7, n. 47; MR 8; can. 573,2 c. 576, c. 598, c. 600-602; EE 7, n. 8, n. 11, n. 13, n. 40, n. 42; RD 7a, b, n. 14c. |
14 | RD 9 |
15 | RD 8 |
16 | LG 31. |
17 | LG 44. |
19 | Cf. LG 46. |
20 | Cf. LG 39, n. 42, n. 43. |
21 | C. 599. |
22 | PC 12. |
23 | C. 600. |
26 | Documento di Puebla, nn. 733-735; Giovanni Paolo II parla di "amore di predilezione" ( discorso alla famiglia del Prado, a Lione, 7-10-1986 ). |
27 | LG 31. |
28 | Cf. GS 32. |
29 | 29 Congregazione per la Dottrina della Fede, 22-3-1986. |
30 | C. 601. |
31 | C. 590,1 e 2. |
32 | PC 14. |
33 | PC 14. |
35 | LG 43. |
36 | LG 46. |
37 | ET 11, cf. nota 4 Introduzione. |
38 | PR 11; cf. nota 8 Introduzione. |
39 | C. 598, 1. |
40 | Cf. c. 598, 2. |
41 | PC 6. |
42 | Cf. PC 5 |
43 | PC 8. |
44 | S. Tommaso, Sem. Theol., II, q. 188; a. 1 e a. 2. |
45 | C. 673. |
46 | Cf. PC 8. |
47 | Cf. RPU 13-21; cf. nota 9 Introduzione. |