Beatitudini
1) Perfetta felicità derivante dalla contemplazione di Dio concessa alle anime del Paradiso;
estens. felicità assoluta, pieno appagamento
2) Titolo conferito al sommo pontefice e ai patriarchi orientali
Le otto ( o nove ) benedizioni pronunciate da Cristo nel Discorso della Montagna ( Mt 5,3-11 ), che presentano delle analogie nell'AT ( per es., Sal 1,1; Is 32,20 ) e sintetizzano la perfezione cui devono tendere tutti i cristiani.
Nel " Discorso della Pianura ", parallelo in Lc 6,20-26, le quattro benedizioni, accoppiate con quattro maledizioni, sono più specifiche nelle loro esigenze.
Le beatitudini, che presentano il Regno di Dio nelle sue esigenze e promesse fondamentali, hanno fornito ispirazioni a molti non cristiani.
Cf Imitazione di Cristo; Regno di Dio.
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Felicità, salvezza.
Nella Bibbia abbonda il genere letterario delle beatitudini.
Nell'Antico Testamento, principalmente nei salmi, esprimono soprattutto la felicità di cui gode chi serve Dio.
Nel Nuovo Testamento, l'esempio tipico sono le beatitudini pronunciate da Gesù all'inizio del Discorso della montagna ( cf Mt 5,1.12; Lc 6,20.23 ).
Ne troviamo molte altre nei Vangeli, in diverse lettere e nell'Apocalisse.
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È beato ( in greco: makàrios ) colui che è immune da dolori fisici o morali.
Nell' Antico Testamento, i macarismi ( aere ) diventano un genere letterario per esaltare la felicità di chi si suppone felice, Gesù assicura una sorte identica a chi compie il suo progetto di vita.
È così affermato dalla tradizione evangelica ( Mt 5,3-12; Lc 6,20-33 ).
Può Gesù chiamare felici i poveri, gli affamati, i perseguitati?
Una lettura superficiale del vangelo farebbe pensare ad una cosa impossibile.
Eppure, guardando le beatitudini con occhio di semita, esse ci invitano a considerare la felicità non come una meta lontana che si brama di raggiungere, ma piuttosto come il piacere che si prova ogni volta che si lotta per raggiungere quello che si desidera.
Così, dunque, la felicità, vista in un'ottica semita, si sta costruendo ad ogni momento.
In questo caso, Gesù non dichiara felici senz'altro i poveri, ma li invita a lottare per cessare di esserlo.
E tanto più accorderanno la loro lotta al progetto di Gesù e tanto maggiore sarà la loro felicità.
Le beatitudini, viste così, diventano uno stimolo affinché il credente, ogni volta che incontra una situazione difficile, lotti coraggiosamente per superarla.
Non è solo, ma è sempre guidato dalla luce del vangelo.
Facendo così, ogni essere umano raccoglie felicità nella proporzione in cui la sua vita si regge sul parametro indicato da Gesù.
Egli consegnò tutto il suo programma etico nel famoso Discorso della Montagna ( Mt 5-7 ).
Perciò chi si adegua al programma di Gesù e compie quanto esige il Discorso, può essere certo che diventerà ogni giorno sempre più felice.
E, logicamente, la sua felicità si vedrà colmata quando varcherà la soglia dell'al di là.
Non per nulla l'annuncio di Gesù conserva sempre una dimensione escatologica.
Una simile impostazione, confermata indubbiamente da un'analisi critica dei vangeli, allontana dal cristianesimo ogni aspetto conformista e negligente per esortare invece ad una lotta intrepida per attuare il messaggio di Gesù , anche quando per questo messaggio, occorra affrontare quelli che si fondano sull'egoismo e non sull'amore.
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Viene manifestata in diversi modi nel Nuovo Testamento: la richiesta e l'adoperarsi perché " venga il suo Regno ", e, ripetutamente, " la visione di Dio " e l'ingresso nel suo gaudio.
Il Nuovo Testamento usa parecchie espressioni per caratterizzare la beatitudine alla quale Dio chiama l'uomo:
l'avvento del Regno di Dio ( cf Mt 4,17 );
la visione di Dio: " Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio " ( Mt 5,8; cf 1 Gv 3,2; 1 Cor 13,12 );
l'entrata nella gioia del Signore ( cf Mt 25,21.23 );
Tutto questo è sempre frutto del dono gratuito di Dio e supera le nostre capacità naturali.
Una tale beatitudine oltrepassa l'intelligenza e le sole forze umane.
Essa è frutto di un dono gratuito di Dio.
Per questo la si dice soprannaturale, come la grazia che dispone l'uomo ad entrare nella gioia di Dio [ 1722 ].
Nonostante si tratti di un dono, noi possiamo conoscere Dio, servire la sua volontà e amarlo, e mediante queste realtà giungere alla vita celeste.
Dio infatti ci ha creati per conoscerlo, servirlo e amarlo, e così giungere in Paradiso.
La beatitudine ci rende partecipi della natura divina ( cf 2 Pt 1,4 ) e della vita eterna ( Gv 17,3).
Con essa, l'uomo entra nella gloria di Cristo ( cf Rm 8,18 ) e nel godimento della vita trinitaria [ 1721 ].
Le " vie " verso il Regno sono state descritte nel Decalogo, nel discorso della montagna e nell'insegnamento degli Apostoli, e attraverso di esse il cristiano può procedere in avanti, sostenuto dalla grazia e con l'ausilio della Chiesa.
Il Decalogo, il Discorso della Montagna e la catechesi apostolica ci descrivono le vie che conducono al Regno dei cieli.
Noi ci impegniamo in esse passo passo, mediante azioni quotidiane, sostenuti dalla grazia dello Spirito Santo.
Fecondati dalla Parola di Cristo, lentamente portiamo frutti nella Chiesa per la gloria di Dio ( cf la parabola del seminatore: Mt 13,3-23 ) [ 1724 ].
Supera ogni comprensione e descrizione; per questo motivo la Sacra Scrittura parla di essa attraverso delle immagini: luce, pace, banchetto, casa del Padre …
Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione.
La Scrittura ce ne parla con immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: " Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano " ( 1 Cor 2,9 ) [ 1027 ].
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L'uomo desidera la felicità e la chiama vita, pace, gioia, riposo, benedizione, salvezza.
Tutti questi beni sono in vario modo inclusi nella formula con cui si dichiara qualcuno beato o disgraziato.
Quando il « sapiente » proclama: « Beati i poveri! Disgraziati i ricchi! », non intende pronunziare né una benedizione che dia la felicità, né una maledizione che produca l'infelicità, ma esortare, in nome della sua esperienza della felicità, a seguire le vie che vi portano.
Per comprendere la portata ed il significato di numerose massime di sapienza che sembrano terra terra, bisogna collocarle nel clima religioso in cui furono enunciate.
Di fatto se la beatitudine suppone sempre Dio come sorgente, ha conosciuto una lenta evoluzione che va dal terrestre al celeste.
A differenza degli dèi greci, salutati ordinariamente con il titolo di « beati » perché incarnano l'ideale dell'uomo, la Bibbia non si sofferma sulla felicità di Dio ( cfr. 1 Tm 1,11; 1 Tm 6,15 ), che non ha misura comune con quella a cui aspira l'uomo.
Essa vede soprattutto in Jahve un Dio di gloria, che desidera comunicare questa gloria agli uomini; ciò implica una seconda differenza: mentre gli dèi greci fruiscono della loro felicità senza preoccuparsi in modo particolare della sorte degli uomini, Jahve si china con sollecitudine su tutti gli uomini, specialmente sul suo popolo; la beatitudine dell'uomo deriva dalla grazia divina, è partecipazione alla sua gloria.
Attraverso le proclamazioni che abbondano nella letteratura sapienziale, il lettore della Bibbia scopre in che cosa consiste la vera felicità e perché deve cercarla.
Beato colui che teme Jahve: sarà potente, benedetto ( Sal 112,1s ), avrà figli numerosi ( Sal 128,1s ).
Se vuole assicurarsi vita, salvezza, benedizione, ricchezza ( Pr 3,1-10 ),
deve seguire le vie divine ( Sal 1,1 ),
camminare nella legge ( Sal 119,1 ),
ascoltare la sapienza ( Pr 8,34s ),
trovarla ( Pr 3,13s ),
esercitarsi in essa ( Sir 14,20 ),
aver cura del povero ( Sal 41,2 ),
in una parola essere giusto.
Sviluppando questi motivi per instradare i suoi discepoli sulle vie della vera felicità, il saggio non oltrepassa in genere la prospettiva della retribuzione immediata.
Ai píi e ai poveri di Jahve spetterà annunciare questo superamento; comprenderanno che con Dio possiedono tutto, e che l'abbandono totale, la fiducia senza limiti è la via della beatitudine: nessun motivo espresso, ma una semplice affermazione.
« Beati coloro che sperano in lui » ( Is 30,8 ).
« Beato l'uomo che confida in te » ( Sal 84,13; cfr. Sal 2,12; Sal 65,5; Sal 146,5 ).
Quindi, per l'israelita temere Dio, osservare la sua legge, ascoltare la sapienza, significa aspettare la felicità come ricompensa; significa anche, per i più spirituali, possederla già, significa essere con Dio per sempre, gustare, « alla sua destra, le delizie eterne » ( Sal 16,11; cfr. Sal 73,23ss ).
È così precisato il vertice divino della beatitudine.
Ma per scoprire che solo Dio è la felicità, ogni uomo deve seguire un percorso che, di delusione in delusione ( Sal 41,10; Sal 118,8s; Sal 146,3s ), depura lentamente i suoi desideri.
- La felicità è la vita, una vita che si identificò per lungo tempo con la vita terrena.
Ecco la beatitudine del popolo che ha Jahve per Dio: avere figli grandi, belle figlie, granai ripieni, greggi numerosi, ed infine la pace ( Sal 144,12-15 ).
E i testi sacri fanno l'enumerazione particolareggiata di questi beni dell'uomo nel campo nazionale, familiare o personale.
Avere un re degno di questo nome ( Qo 10,16s ),
una sposa di buon senso ( Sir 25,8 ),
eccellente ( Sir 26,1 ),
una grossa fortuna, acquistata senza peccato e posseduta senza esserne schiavo ( Sir 31,8 );
essere prudente ( Sir 25,9 ),
non peccare con la lingua ( Sir 14,1 ),
aver pietà degli sfortunati ( Pr 14,21 ),
non aver rimproveri da muoversi ( Sir 14,2 ).
In breve, avere una vita degna di questo nome, e per questo essere educato da Dio stesso ( Sal 94,12 ).
Certamente conviene far lamenti su colui che è morto; ma i pianti non devono durare troppo, perché un'afflizione funesta impedirebbe di ben fruire della felicità in terra ( Sir 38,16-23 ).
- I beni terreni dell'alleanza, elargiti, benedetti da Jahve, erano i segni di una comunanza di vita con Dio.
Quando si fece strada la credenza nella vita eterna, ne vennero percepiti con maggior nitidezza i limiti e i rischi; a prezzo di questa purificazione, arrivarono allora a significare la stessa vita eterna; nello stesso tempo, la nuova speranza faceva affiorare valori nuovi, come la fecondità spirituale dell'uomo e della donna sterili.
Questa speranza opera un rovesciamento dell'antico ordine di valori.
Già l'esperienza suggeriva che non bisognava apprezzare la felicità di un uomo prima dell'ora della fine ( Sir 37,4 ).
Con un'audacia inaudita, che preannuncia il vangelo, il libro della Sapienza proclama beati gli sterili se sono giusti e virtuosi ( Sap 3,13ss ).
I sapienti sono pervenuti allora a quel che proclamavano già i salmi dei poveri quando vedevano il bene assoluto nella fiducia in Jahve ( ad es. Sal 73,23-28 ).
Con la venuta di Gesù Cristo sono virtualmente donati tutti i beni, perché in lui la beatitudine trova infine il proprio ideale e il proprio compimento.
Perché egli è il Regno già presente e dà ai suoi fedeli il bene supremo: lo Spirito Santo, come anticipo sull'eredità celeste.
Gesù non è semplicemente un sapiente di grande esperienza, ma è colui che vive pienamente la beatitudine che propone.
1. Le « beatitudini », poste all'inizio del discorso inaugurale di Gesù, offrono, secondo Mt 5,3-12, il programma della felicità cristiana.
Nella recensione di Luca, esse sono abbinate a delle constatazioni di sventura, esaltando in tal modo il valore superiore di certe condizioni di vita ( Lc 6,20-26 ).
Queste due interpretazioni tuttavia non possono essere ricondotte alla beatificazione di virtù o stati di vita.
Si compensano a vicenda; soprattutto esprimono la verità in esse contenuta solo a condizione che venga loro attribuito quel significato che Gesù aveva dato loro.
Gesù infatti è venuto da parte di Dio a pronunciare un solenne sl alle promesse del VT; il regno dei cieli è lì, le necessità e le afflizioni sono soppresse, la misericordia e la vita, concesse da Dio.
Effettivamente, se certe beatitudini sono pronunciate al futuro, la prima ( « Beati i poveri … » ), che contiene virtualmente le altre, intende attualizzarsi fin d'ora.
C'è di più.
Le beatitudini sono un sì detto da Dio in Gesù.
Mentre il VT giungeva ad identificare la beatitudine con Dio stesso, Gesù si presenta a sua volta come colui che porta a compimento l'aspirazione alla felicità: il regno dei cieli è presente in lui.
Più ancora, Gesù ha voluto « incarnare » le beatitudini vivendole perfettamente, mostrandosi « mite ed umile di cuore » ( Mt 11,29 ).
2. Le altre proclamazioni evangeliche tendono tutte parimenti a dimostrare che Gesù è al centro della beatitudine.
Maria è « proclamata beata » per aver dato alla luce il Salvatore ( Lc 1,48; Lc 11,27 ), perché ha creduto ( Lc 1,45 ); con ciò essa annunzia la beatitudine di tutti coloro che, ascoltando la parola di Dio ( Lc 11,28 ), crederanno senza aver visto ( Gv 20,29 ).
Guai ai farisei ( Mt 23,13-32 ), a Giuda ( Mt 26,24 ), alle città incredule ( Mt 1,21 )!
Beato Simone, al quale il Padre ha rivelato in Gesù il Figlio del Dio vivente ( Mt 16,17 )!
Beati gli occhi che hanno visto Gesù ( Mt 13,16 )!
Beati soprattutto i discepoli che, in attesa del ritorno del Signore, saranno fedeli, vigilanti ( Mt 24,46 ), tutti dediti al servizio reciproco ( Gv 13,17 ).
Mentre il VT si sforzava timidamente di aggiungere ai valori terreni della ricchezza e del successo il valore della giustizia nella povertà e nell'insuccesso, Gesù, dal canto suo, denuncia l'ambiguità di una rappresentazione terrena della beatitudine.
Ormai i beati di questo mondo non sono più i ricchi, i pasciuti, gli adulati, ma coloro che hanno fame e che piangono, i poveri e i perseguitati ( cfr. 1 Pt 3,14; 1 Pt 4,14 ).
Questo rovesciamento dei valori era possibile ad opera di colui che è ogni valore.
Due beatitudini principali comprendono tutte le altre:
la povertà con il suo corteo delle opere di giustizia, di umiltà, di mitezza, di purezza, di misericordia, di preoccupazione per la pace;
e poi la persecuzione per amore di Cristo.
Ma questi stessi valori non sono nulla senza Gesù che dà loro tutto il senso.
Quindi soltanto colui che ha posto Cristo al centro della sua fede può intendere le beatitudini dell'Apocalisse.
Beato se le ascolta ( Ap 1,3; Ap 22,7 ), se rimane vigilante ( Ap 16,15 ), perché è chiamato alle nozze dell'agnello ( Ap 19,9 ), per la risurrezione ( Ap 20,6 )
Anche se deve dare la vita in testimonianza, non si perda d'animo: « Beati i morti che muoiono nel Signore! » ( Ap 14,13 ).
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Nucleo della predicazione di Gesù, ordinate al Regno dei cieli: ci svelano l'amore di Gesù e ci invitano ad unirci a lui nella sua Pasqua.
Le beatitudini dipingono il volto di Gesù Cristo e ne descrivono la carità; esse esprimono la vocazione dei fedeli associati alla gloria della sua Passione e della sua Risurrezione [ 1717 ].
Sono le Benedizioni del Regno, realizzato in Gesù, inaugurato in maniera esemplare in Maria e nei santi, e oggetto di sviluppo e di realizzazione nella vita cristiana.
… illuminano le azioni e le disposizioni caratteristiche della vita cristiana; sono le promesse paradossali che, nelle tribolazioni, sorreggono la speranza;
annunziano le benedizioni e le ricompense già oscuramente anticipate ai discepoli;
sono inaugurate nella vita della Vergine e di tutti i Santi [1717].
Le beatitudini svelano la mèta dell'esistenza umana, il fine ultimo cui tendono le azioni umane: Dio ci chiama alla sua beatitudine.
Tale vocazione è rivolta a ciascuno personalmente, ma anche all'insieme della Chiesa, popolo nuovo di coloro che hanno accolto la promessa e di essa vivono nella fede [ 1719 ].
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Otto proclamazioni ( Mt 5,3-10 ) che iniziano il discorso ( v. ) del monte enunciando le condizioni migliori per entrare nel Regno messianico, considerato nella doppia fase terrena e celeste.
Ognuna delle otto b. è una massima rito mica che consta di due stichi: una lode al presente, cui segue un'apodosi che è la spiegazione e la giustificazione della protasi ed è costituita da una categorica promessa che pur riferendosi al futuro è attualizzata dalla fede e dalla speranza ( cf. Rm 5,3ss; Eb 11,1 ).
Il Signore dichiara fin d'ora "felicissimi", fortunati coloro che seguendo Lui, pur fra le spine, avranno in cielo la loro piena ricompensa.
Coloro che hanno o si acquistano le disposizioni migliori per entrare nel Regno, per accogliere cioè la sua dottrina, Gesù dichiara beati, veramente degni di lode e davvero felici.
1. Beati i poveri ( = che son tali nell'animo ).
Non c'è alcun dubbio: si tratta dei veri poveri, di coloro che son privi dei beni materiali, come appare chiaramente da Lc 6,20-24, dove alla tesi, per dir così, fa seguire l'antitesi: guai a voi ricchi.
Il dativo, che fa le veci dell'accusativo di relazione, specifica come non sia sufficiente l'esser povero, ma sia necessaria la accettazione volontaria di un tale stato.
La povertà è come l'incastonatura; la gemma è la disposizione dell'animo che accetta dalle mani di Dio la sua miseria.
Né può essere diversamente.
Nel Regno dello spirito, dove non si entra senza una nuova nascita ( Gv 3,3 ), non c'è posto per classi, per situazioni dipendenti dalla fortuna, o comunque estrinseche all'intelletto e alla volontà.
Il Signore proclama beati i meno favoriti dalla fortuna, i quali, non cupidi della ricchezza di cui san privi, senza brame di quei piaceri che non possono procurarsi, si trovano nella condizione migliore di accettare il suo invito: chi vuol venire dietro di me, pigli la sua croce assidua e mi segua ( Mt 16,26; Lc 9,23 ).
Si trovano nella disposizione migliore di cercare altrove, nei beni dello spirito, la loro felicità.
Beati, « perché di essi è il regno dei cieli ».
Ad essi è destinato il regno di Dio: la Chiesa quaggiù, l'eterno gaudio nella comunità dei Santi, presso Dio.
2. Beati i miti: coloro cioè che soffrono pazientemente le avversità, le ingiuste oppressioni.
3. Beati gl'infelici, gli oppressi ( coloro che piangono, Lc 6,21; che sono colpiti dal dolore, Mt 6,5 ).
Qui la sofferenza è la cornice; il quadro è dato dalla volontà benevola che sopporta pazientemente il dolore, con gli occhi rivolti al cielo.
Tutti costoro, ammaestrati dal più persuasivo e più sapiente maestro degli uomini, il dolore; conoscendo per esperienza la vana fugacità dei beni di questa terra, e la fallacia di ogni promessa, di ogni aiuto da parte dell'uomo, sono nella migliore condizione di avvicinarsi, di affidarsi unicamente a Colui che così ci invita: « Venite a me voi tutti affaticati dal lavoro e oppressi da ogni sorte di miserie ed io vi darò la riposante quiete.
Prendete su di voi il mio giogo, divenite discepoli di me che sono mansueto e umile di cuore; e troverete la vostra pace, la vostra gioia; perché il mio giogo è dolce, il mio carico è leggero» ( Mt 11,28ss ).
Condizione necessaria, dunque, a tutti gli oppressi e sofferenti, per godere dei beni del Cristo, è che bandiscano ogni odio; imparino da Gesù la mansuetudine, cioè la virtù di trattare con carità ed umiltà anche coloro che ci fan soffrire.
Solo in questo caso essi sono beati e « possederanno in diritto ereditario la terra », il regno di Dio, di cui la terra promessa del Vecchio Testamento era simbolo.
4. Beati gli affamati e gli assetati ( Mt 5,6; Lc 6,21 ).
Anche qui, non c'è dubbio, si tratta di indigenza materiale; cf. l'antitesi di Lc 6,25: « guai a voi, satolli ». Se Mt. aggiunge « di giustizia », è per specificare e sottolineare, come nella prima b., che l'aver fame o sete non è titolo sufficiente per il Regno, quando si disprezza o si ignora il cibo dello spirito.
Questi affamati non sono dunque che dei poveri in condizioni particolarmente pietose.
Ritorniamo pertanto alla prima b., e identico ne è il senso.
Gesù promette loro che « abbonderanno d'ogni bene », o saranno satolli, sempre nel regno di Dio, che è il suo regno.
Non c'è cibo che qui tolga la fame per sempre, o bevanda che estingua una volta per tutte la nostra sete; eppure Gesù ha offerto un'acqua viva che ha tal potere ( Gv 4,13ss ): l'adesione a Lui, la totale adesione a Lui, che ci concede la partecipazione alla vita stessa di Dio.
Vita cristiana che è sostanzialmente la stessa vita beata che ha inizio appena dopo la morte e che è la continuazione della prima, sia pure in modo più perfetto e completo.
5. Beati i misericordiosi, che, ad imitazione di Gesù ( Eb 2,17; Col 3,12 ), partecipano, compatiscono ai dolori, alle afflizioni degli altri.
6. Beati coloro che han l'anima monda da ogni colpa; ad essi è promessa la visione di Dio ( cf. Sal 11,7; Sal 17,3.15 ), l'unione con Dio, la sua piena conoscenza quaggiù ( Gv 17,3 ) e l'eterna contemplazione in cielo ( 1 Cor 13,12 ).
7. Beati gli apportatori di pace, che han pace ( ordine con Dio e con gli uomini ) in se stessi, e la procurano agli altri.
È la missione di Gesù, degli Apostoli, in tal modo veri figli di Dio, zelatori e diffonditori della salvezza messianica.
8. Beati i perseguitati per tale causa, cioè per Gesù e il suo Regno; che saranno odiati dal mondo ( Mt 10,16-22; Gv 15,18.25 ).
« La musica delle b. è sensibile a tutti; ma ciò che essa nasconde, l'opera più sublime dell'universo, la trasformazione dell'uomo, nessuno è capace di sentirla, all'infuori di colui che l'attua in sé.
Cercate prima di tutto e al di sopra di tutto il regno di Dio: i beni spirituali che lo caratterizzano, e la giustizia, la perfezione morale che Dio ha manifestata per mezzo di Gesù, e il Padre celeste vi darà in aggiunta tutto il resto, ciò che è necessario alla vita.
Si tratta di un respiro celeste: i cristiani, fin dai primi secoli, han capito che il "Discorso del Monte", del quale le b. costituiscono il proemio, è la parola che viene dall'alto, la parola più celeste di quante mai siano state pronunziate al mondo ».
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Prima che un'esclamazione o un discorso rivolto ai credenti, le b. parlano innanzitutto di Dio, manifestano in profondità il suo cuore, rivelano il suo essere, dicono la sua felicità e i modi attraverso i quali essa si esprime, in particolare il suo chinarsi con sollecitudine sull'umanità oppressa e sofferente.
Gesù, pronunciando le b., rivela il volto di Dio Padre e il senso dell'Incarnazione: comunicare all'uomo la felicità di Dio offrendogli le vie che, pur nel travaglio di un'esistenza fragile, possono condurlo a godere in pienezza il dono della vita.
Per questo motivo, le b. costituiscono il cuore del Vangelo, sono la pagina innegabilmente più ricca e insieme più provocatoria, contengono il segreto della gioia vera e duratura, aprono ad un fiducioso abbandono in Dio, all'attesa del suo dono, all'accoglienza e alla rivelazione del suo amore.
Sono, per così dire, uno stato esistenziale di mistica comunione con Dio, fruibile già qui ed ora, in parte, e completamente nell'aldilà.
1. Nell'AT il termine 'ashere, felice chi …, ricorre quarantacinque volte e abbraccia tutto ciò che l'uomo può desiderare da Dio nella vita per essere pienamente felice.
Israele è un popolo assetato di felicità, ma spesso la intende nel senso di benessere materiale, fecondità, ricchezza … shalom.
Solo lentamente scopre, alla scuola della sua stessa storia, che la b. è qualcosa di più e che la felicità è un dono di Dio, raggiungibile se in lui si confida: « Beato chi in lui si rifugia » proclama il Sal 2,12 ( cf Sal 33,9; Sal 64,5; Sal 83,13; Sal 145,5 ).
JHWH è un Dio di gloria e desidera comunicarla agli uomini.
La b. dell'uomo deriva dalla grazia divina, è partecipazione alla sua gloria.
La b. da una parte descrive una situazione, un dato di fatto: « Te beato, Israele! Chi è come te, popolo salvato dal Signore?
Egli è lo scudo della tua difesa e la spada del tuo trionfo » recita la prima b. della Bibbia ( Dt 33,29 ), descrivendo lo stupore dinanzi all'affettuosa paternità di Dio che si prende cura del suo popolo.
L'ultima causa della b. di Israele è la piccolezza del popolo che Dio si è scelto e sul quale riversa il suo amore: « Il Signore si è legato a voi … perché vi ama » ( Dt 7,7.8; cf Sal 64,5 ).
Solo i « piccoli », però, comprendono che con Dio possiedono tutto e che l'abbandono totale, la fiducia senza limiti, è la via della b.: « Beati coloro che sperano in lui » ( Is 30,18 ).
Per scoprire che solo Dio è felicità, l'uomo deve percorrere un itinerario attraverso il quale mette a nudo il suo peccato e sperimenta il chinarsi misericordioso dell'Onnipotente sulla sua povertà: « Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa e perdonato il peccato » ( Sal 31,1ss ).
Il credente deve però purificare i suoi desideri passando di delusione in delusione e facendo esperienza della caducità di tutto quanto è terreno: « Anche l'amico in cui confidavo, anche lui, che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno » ( Sal 41,10; cf Sal 118,8ss; Sal 146,3ss ).
Dall'altra parte, la b. esprime anche una scelta, un impegno di ascesi personale: « Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori … ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte » ( Sal 1,1ss ): è la felicità di colui che sceglie il bene e si nutre della costante meditazione della Parola di Dio.
Questa deve spingerlo a condividere la felicità ricevuta con coloro che ne sono privi: « Beato l'uomo che ha cura del debole, nel giorno della sventura il Signore lo libera … lo farà vivere beato sulla terra » ( Sal 40,1ss ).
Con l'esilio babilonese, Israele comincia a considerare b. non solo il benessere materiale, la salute e la ricchezza, ma anche la sofferenza, la povertà, il dolore e scopre lentamente che l'amore di Dio passa anche per questa strada misteriosa e incomprensibile.
Il Servo di JHWH porta in sé la b. dell'amore di Dio attraverso la mansuetudine nella prova ( cf Is 42,1-7 ), il fallimento apparente dei suoi sforzi ( cf Is 49,1-6 ), la pazienza nelle opposizioni e nelle persecuzioni ( cf Is 51,4-9 ), il dolore e la morte abbracciata volontariamente per redimere il peccato dell'umanità ( cf Is 52,13ss ).
Si apre così la strada alle b. del Vangelo che codificano proprio queste situazioni e queste disposizioni, in una maniera che umanamente appare assurda e paradossale.
2. Nel NT.
a) Beatitudine.
Tutto il Vangelo è sotto il segno della beatitudine perché è l'annuncio di gioia per eccellenza: è l'epoca della felicità messianica predetta dai profeti ( cf Is 9,1-6 ).
La prima e l'ultima b. dei Vangeli è quella della « fede »: « Beata te che hai creduto! » ( cf Lc 1,45 ) esclama Elisabetta dinanzi a Maria: in lei Dio è particolarmente presente nel suo Figlio fatto carne e a questo ella ha creduto, perciò è beata.
« Perché mi hai veduto, hai creduto: - dice il Risorto a Tommaso - beati quelli che pur non avendo visto crederanno! » ( Gv 20,29 ).
Senza la fede è impossibile ogni discorso sulle b.
Fondamento di ogni b. è accogliere Dio e la sua parola salvifica, perciò alla donna che chiama « beata » la Madre di Gesù, questi risponde: « Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano » ( Lc 11,28 ): è quanto ha fatto Maria nell'annunciazione.
La b. è esperienza viva e scoperta della presenza attiva, amorosa e salvifica di Dio in Cristo Gesù: « Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono … » ( Mt 13,16-17 ).
E la b. di Pietro ( cf Mt 16,16-17 ): è pura grazia che beatifica.
Ma ancor più beati sono coloro che credono senza aver visto ( cf Gv 20,29 ), coloro che si affidano a Dio pur nell'aridità della vita e nel buio della fede.
La b. è sentirsi Dio vicino, da lui aiutati e valorizzati nella situazione di limite della vita umana; è sentirsi, come lui, utili alla salvezza del mondo.
Per questo esige uno sforzo personale di conversione radicale e di cambiamento di mentalità per essere capita e accettata.
Esige la piena accoglienza della volontà di Dio perché è particolarmente impegnativa sul piano personale.
Gesù proclama felici gli spettatori delle meraviglie divine operate nell'era messianica ( cf Mt 11,2-6; Mt 13,16ss ), ma soprattutto i servi fedeli che, al ritorno del Signore, saranno trovati vigilanti e impegnati nell'eseguire la sua volontà ( cf Lc 12,37ss ).
Costoro, infatti, ascoltano e vivono la Parola, perciò sono beati ( cf Lc 11,28 ).
Tale felicità è raggiunta e sperimentata dai discepoli del Cristo che si trovano in uno stato di povertà e di afflizione ( cf Lc 6,20ss ) e si impegnano seriamente nella via della pace, della misericordia e dell'amore, perché si mettono in sintonia con le esigenze fondamentali del regno messianico.
Le persone beate e felici, secondo l'insegnamento del profeta di Nazaret, sono coloro che vivono le esigenze del regno, sintetizzate nella povertà evangelica e nell'amore fraterno.
La b., infatti, è visione di Dio nella pienezza della carità.
Soltanto colui che ha posto Cristo al centro della sua fede può essere veramente felice.
E questa la promessa dell'ultimo libro della Bibbia.
Beato colui che ascolta Cristo ( cf Ap 1,3; Ap 22,7 ) e rimane vigilante ( cf Ap 16,15 ), perché è chiamato alle nozze dell'Agnello ( cf Ap 19,9 ) per la risurrezione ( cf Ap 20,6 ).
Anche se deve dare la vita in testimonianza non si perda d'animo: « Beati … i morti che muoiono nel Signore! » ( Ap 14,13 ).
b) Beatitudini.
Con le b., Gesù è sceso al centro di questa nostra umanità per dare un senso a tutto ciò che tormenta l'uomo e lo riempie di paura.
Perché le sue parole non fossero vane, egli stesso ha assunto la condizione di povertà, fame, dolore, persecuzione: è l'itinerario di abbassamento e di totale « svuotamento » descritto da Paolo ( cf Fil 2,4ss ).
Le b. poste all'inizio del discorso inaugurale di Gesù offrono, secondo Mt 5,3-12, il programma della felicità cristiana.
Nella recensione di Luca esse sono abbinate a delle constatazioni di sventura, esaltando in tal modo il valore superiore di certe condizioni di vita ( cf Lc 6,20-26 ).
Le otto ( o nove ) b. di Matteo sono una catechesi di vita nuova nello Spirito, che egli descriverà nei capitoli 5-7 ( Discorso della Montagna ): una pagina che evidenzia sia gli atteggiamenti sia le disposizioni interiori richieste dal Vangelo del regno.
Luca, invece, riporta solo quattro b. nel suo « discorso della pianura » ( Lc 6,20-47 ) annunciando la felicità a coloro che vivono in particolari situazioni dolorose.
Gesù è venuto da parte di Dio a pronunciare un solenne sì alle promesse dell'AT.
Le b. sono un sì detto da Dio in Gesù, il quale si presenta come colui che porta a compimento l'aspirazione alla felicità: il regno dei cieli è presente in lui.
Più ancora, Gesù ha voluto incarnare le b. vivendole perfettamente, mostrandosi « mite ed umile di cuore » ( Mt 11,29 ).
Con Gesù i beati di questo mondo non sono più i ricchi, i pasciuti, gli adulati, ma coloro che hanno fame e che piangono, i poveri e i perseguitati.
Questo rovesciamento dei valori era possibile ad opera di colui che è ogni valore.
Le b. vogliono essere il ritratto dell'uomo progettuale, verso cui dobbiamo tendere, che non è ancora realizzato, ma che noi speriamo di poter attuare in pienezza; sono la carta d'identità del cittadino del regno di Dio, così come lo sogna Cristo e come vuole che noi lo incarniamo, perché il regno di Dio è già in mezzo a noi!
Lo spirito delle b. è sintetizzato in una frase che Matteo colloca alla fine del discorso della montagna: « Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste » ( Mt 5,48 ).
La perfezione è qualcosa che non possediamo, è una meta a cui arrivare, un monte da salire, ma nello stesso tempo è qualcosa di dinamico, che si va facendo.
Questo il nucleo portante delle b.
Esse sono lo specchio di un atteggiamento evangelico radicale, non la descrizione di un comportamento di alcune ore o di alcuni momenti; sono l'appello alla struttura di fondo che deve per sempre permanere e tutto abbracciare.
Con le b. e tutto il Discorso della Montagna, Gesù ci invita all'« amore totale », ci richiama allo « spirito », cioè alla radice dell'essere; esse sono l'eco della legge dell'amore al fratello e al nemico in quanto fratello in Cristo.
Dando « carne » alle b., la vita cristiana diviene slancio evangelico inedito, misteriosa corrente di radicalità profetica in continuo dialogo con il mutare dei tempi e l'emergere di nuove sfide.
La vita cristiana deve reinventare la contestazione evangelica e vivere con fedeltà dinamica e creativa la fede, deve saper raccontare la fedeltà e le meraviglie del Dio con noi, sapendo « mostrare Dio » e « dire la fede » in termini innovativi e significativi, facendosi carico di una nuova cultura della speranza.
Le b. sono la trasparenza di Dio nella vita del mistico che si manifesta in segni immediatamente percepibili come maturità umana, solidarietà fattiva, compassione e tenerezza, fraternità e pace, fede che sa rischiare.
Il mistico, che vive in pienezza le singole b., manifesta la felicità possibile già qui ed ora posseduta da chi ormai vive nel cuore di Dio e l'impegno costruttivo a favore di un'umanità nuova.
Nel testo greco di Mt 5,3 viene usato il termine ptochos: mendicante, misero, incapace di provvedere alle proprie necessità per indicare colui che attende dagli altri i mezzi di sussistenza e manca del necessario.
In ebraico abbiamo due termini quasi simili: 'anî e 'anaw.
Il primo indica colui che cede, si piega, l'uomo che si abbassa, si curva, si sottomette: è l'oppresso.
Il secondo, quasi sempre usato al plurale, indica persone discrete, umili, sottomesse, miti, la cui umile sottomissione si trasforma spontaneamente in atteggiamento di fiduciosa adesione a Dio.
Per l'ebraico dunque il « povero » è l'uomo senza difesa.
La prima b. rimanda all'oracolo di Is 61,1-3, ripreso anche da Luca nel discorso inaugurale di Gesù alla sinagoga di Nazaret e offerto quale risposta ai discepoli del Battista: « … Ai poveri è predicata la buona novella » ( Mt 11,5 ).
Con l'avvento definitivo del regno di Dio i poveri godranno veramente e pienamente degli effetti della sollecitudine di Dio, che colmerà di beni gli affamati e rimanderà i ricchi a mani vuote ( cf Lc 1,52-53 ).
Ecco perché l'annuncio dell'imminenza del regno di Dio non può che riempire di gioia i poveri: Dio stesso sta per prendersi cura di loro, facendone l'oggetto della sua regale sollecitudine.
Colui che ha uno spirito da poveri vive la sua totale adesione a Cristo con uno stile di vita umile: « Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti » ( Mc 9,35 ).
Avere uno spirito da poveri significa avere il coraggio di piegarsi con umiltà nel servizio, sull'esempio di Cristo che non è venuto per essere servito, ma per servire e che « da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà » ( 2 Cor 8,9 ).
Significa, altresì, diventare sacramento della sollecitudine di Dio, segno eloquente di speranza verso tutti coloro che vivono nell'oppressione.
Secondo il testo di Is 61,1-3 l'inviato del Signore viene anche per « fasciare le piaghe dei cuori spezzati … per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion … ».
Gesù proclama beati oi penthountes: quelli che si affliggono.
Panthein, infatti, significa « affliggersi addolorarsi ».
Questo verbo, molte volte, è connesso con klaiein ( piangere ) perché l'afflizione interna spesso si mostra esternamente nelle lacrime.
In Lc 6,21 si legge: « Beati voi che ora piangete, perché riderete » e in Lc 6,25: « Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete ».
Nell'AT, l'afflizione è causata dalla partecipazione alle disgrazie altrui ( cf Gen 23,2; Gen 50,3 ).
Nel Sal 35,13ss si descrive la solidarietà con la malattia altrui, solidarietà espressa con il dolore paragonato al lutto che si porta per la morte della propria madre: l'esperienza dell'impotenza umana di fronte alla necessità e il desiderio di aiutare il prossimo sofferente conducono alla preghiera, alla richiesta dell'aiuto di Dio, richiesta che viene intensificata con la penitenza e il digiuno.
Nell'elenco delle opere di misericordia in Sir 7,31-36 troviamo anche la partecipazione al dolore altrui: « Non evitare coloro che piangono e con gli afflitti mostrati afflitto » ( cf Rm 12,15 ).
Anche il peccato altrui è causa di afflizione ( cf Esd 10,6; Ne 9,1 ).
Ebbene, coloro che sanno affliggersi partecipando al dolore altrui saranno consolati da Dio, Padre di ogni consolazione.
S. Paolo usa frequentemente il verbo « consolare ».
Il testo più esplicito è 2 Cor 1,1-7: « Dio … Padre di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio … ».
Il verbo si trova venti volte in Isaia ( Is 40, Is 66 ) e quasi sempre riferito a JHWH.
Dio è il vero consolatore; questo è il suo nome: « Io, Io sono il tuo consolatore » ( Is 51,12-13 ); « Come una madre consola un figlio … » ( Is 66,13 ): in Dio potenza e tenerezza « materna » sono un tutt'uno.
Il cristiano fa esperienza della consolazione divina ed è chiamato ad essere portatore di speranza e di consolazione; pur facendosi carico delle situazioni di afflizioni, non si lascia abbattere da esse, ma le trasforma con la tenerezza protesa verso il prossimo.
La sua felicità sta nel partecipare al dolore altrui, nel vivere in intima comunione con gli uomini suoi contemporanei, non ignaro del carico di sofferenze che questo comporta.
Dio lo chiama alla solidarietà con l'umanità peccatrice, ammalata, sofferente, facendosi portavoce della gioiosa consolazione divina.
Sperimentando nel quotidiano la consolazione di Dio deve a sua volta farsi consolazione.
Nel Sal 37,1-11 i miti sono confrontati con le azioni e il successo dei malvagi contro i quali sarebbero portati a reagire negativamente.
Essi però devono evitare quattro cose:
non adirarsi,
non invidiare,
desistere dall'ira,
deporre lo sdegno.
Con otto imperativi i miti sono chiamati a porre la loro speranza nel Signore:
confidare,
fare il bene,
abitare la terra,
cercare la gioia nel Signore,
manifestare al Signore la propria via,
confidare in lui,
stare in silenzio davanti al Signore,
sperare in lui!
Ne segue che solo una forte e globale direzione verso Dio rende possibile la mitezza.
L'uomo che non si pone in direzione di Dio, da solo, di fronte ai malfattori e alle ingiustizie, non riesce ad evitare l'ira e l'invidia.
Il mite sa dominare le emozioni negative, come l'ira, e ne evita le manifestazioni che, in realtà, provocano altrettante opposte reazioni e creano divisioni.
Anche la correzione fraterna richiede mitezza ( cf 1 Cor 4,21; 2 Cor 10,1; Gal 6,1; 1 Tm 2,15 ).
Il mite, consapevole della propria debolezza, non si sente e non si presenta come migliore e superiore rispetto agli altri e corregge colui che ha mancato da pari a pari, da fratello a fratello.
Secondo Gc 1,19-21 la mitezza sembra essere la libertà da « ogni impurità ed ogni resto di malizia », ovvero la libertà da ogni emozione e tendenza oscura e sbagliata che disturba l'ascolto della Parola di Dio.
Secondo Matteo la mitezza è un tratto particolarmente caratteristico di Gesù e, infatti, nessun'altra sua qualità viene così rimarcata.
Gesù non è un Maestro duro e presuntuoso, ma mite ed umile di cuore ( cf Mt 11,29; Mt 21,5 ).
La mitezza di cui parla Mt 5,5 qualifica un atteggiamento e un comportamento molto importante per le relazioni con gli altri.
Tale mitezza è caratterizzata dal dominio dei propri impulsi e delle proprie emozioni nonché dal pieno rispetto per la persona dell'altro; è un presupposto essenziale per un agire giusto e sapiente.
Soltanto su questa base è possibile una conoscenza serena e indisturbata della volontà di Dio come anche un trattamento rispettoso e amorevole del prossimo.
La mitezza comprende e determina le tre relazioni essenziali: con se stessi, con Dio, con il prossimo.
È una disposizione interiore che non può essere realizzata solo con uno sforzo umano; richiede dunque una profonda relazione filiale con Dio.
Mt 5,6 dice che della giustizia bisogna avere fame avere sete.
Nel NT questi due verbi, quando sono collegati, esprimono un bisogno naturale ed un desiderio elementare che afferra e penetra la totalità dell'uomo.
I due verbi, in senso metaforico, possono esprimere un forte desiderio di Dio e della sua Parola:
« L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente … » ( Sal 41,3 );
« O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia … » ( Sal 62,2 );
« Ecco verranno giorni - dice il Signore - in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, nè sete di acqua, ma d'ascoltare la parola del Signore » ( Am 8,11 ).
Giustizia indica l'atteggiamento e l'agire secondo una norma retta e valida.
Dio viene chiamato « giusto » specialmente in quanto, nella sua misericordia, è fedele alla sua volontà salvifica, adempie le sue promesse, realizza la salvezza degli uomini.
L'uomo è « giusto » in quanto agisce secondo le norme stabilite dalla volontà di Dio.
« Adempiere la giustizia » ( cf Mt 3,15 ) significa agire perfettamente secondo la volontà di Dio.
La b. di Mt 5,10, ripresa e applicata all'uditorio di Gesù in Mt 5,11, parla di « persecuzione » non solo « per causa della giustizia », ma « per causa mia »: la « giustizia » e Gesù sono strettamente connessi.
La superiorità della giustizia dei discepoli ( cf Mt 5,20 ) consiste nel loro agire fedelmente non secondo le norme dei farisei, ma secondo quelle di Gesù; e questo è causa di persecuzione.
Fare la giustizia - fare la volontà del Padre ( cf Mt 7,21 ) - fare queste mie parole ( cf Mt 7,24 ), nel Discorso della Montagna, designano la stessa realtà, cioè l'agire umano necessario per entrare nel regno dei cieli: « Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta » ( Mt 6,33 ): si oppone alla cura ansiosa del cibo, della bevanda e del vestito.
La preoccupazione necessaria ed essenziale è il Regno di Dio!
Secondo il Sal 17,15 la giustizia è il presupposto della sazietà.
A causa della giustizia, il salmista spera di poter vedere il volto di Dio, di essere saziato da questa contemplazione.
Coloro che hanno fame e sete della giustizia possono rinunciare ad ogni affanno nella loro vita perché essa è garantita, in modo assoluto, da Dio ( cf Gv 6,35; Ap 7,16-17 ).
Amare Dio e giungere alla piena b. esige il fare la sua volontà e il coraggio di passare attraverso prove e tribolazioni per « causa di Gesù Cristo ».
Ma Dio e la sua volontà coincidono, per cui camminare nella divina volontà è camminare in Dio.
La Lettera agli Ebrei ( Eb 2,17-18 ) presenta Gesù sommo sacerdote, misericordioso e degno di fede.
La sua misericordia è radicata nella sua propria esperienza di sofferenza e di prova e si mostra nell'aiuto effettivo agli uomini che vengono provati ( cf Eb 4,15-16 ).
Nell'AT Dio stesso si presenta a Mosè come il « misericordioso e pietoso » ( Es 34,6-7 ).
I due termini sono sinonimi ( cf Lc 6,36 ).
Misericordia ( in ebraico rahamîm da rehem, che significa « grembo materno » ) è il legame di grazia, di tenerezza e di amore che c'è fra Dio e l'umanità sua creatura.
La b. di Mt 5,7 dichiara felice colui che si fa sacramento della divina misericordia nei confronti del prossimo ( cf Mt 9,13; Mt 12,7; Mt 23,23 ).
Anzi, alla luce della parabola di Lc 10,30-37, il samaritano definito come « colui che ebbe misericordia » richiama il cristiano al dovere di « farsi prossimo » di chiunque è nel bisogno.
Elementi essenziali della misericordia sono dunque la necessità del prossimo e del farsi prossimo, la compassione e l'aiuto efficace.
Per Giacomo ( Gc 3,17 ) la misericordia appare come elemento essenziale della vera sapienza e si mostra nelle opere buone.
Matteo 18,33 è un prezioso commento alla quinta b., in quanto opera il collegamento fra la misericordia divina e la misericordia umana: la relazione con gli uomini determina la relazione con Dio.
Misericordia indica il giusto comportamento dell'uomo nei confronti del suo prossimo che versa in una situazione di necessità e sofferenza e chiede un aiuto che si è in grado di offrire.
La beatitudine di Mt 5,7, con cui inizia la seconda metà delle b. riprende e precisa il tema della prima b.
La « povertà in spirito » significa il riconoscimento della propria totale dipendenza da Dio.
A tale dipendenza appartiene il fatto che noi peccatori, per la nostra salvezza e vita, dipendiamo dalla misericordia di Dio.
A questa si aggiunge la dipendenza del prossimo da noi.
Se l'aiuto decisivo di Dio verso di noi, che siamo deboli e poveri, ci raggiunge, esso diviene definitivamente efficace solo quando ci siamo sforzati di aiutare i nostri fratelli in necessità.
Questa b. pone in risalto gli aspetti positivi della fisionomia del discepolo, cioè come egli deve agire.
La misericordia è la passione di Dio per l'uomo, e la stessa passione nel dono dell'amore viene richiesta da Dio all'uomo nei confronti del prossimo.
Per la Bibbia il termine cuore indica la sede dei pensieri ( cf Mt 9,4; Mt 24,28 ), della comprensione ( cf Mt 13,15 ), del riconoscimento dei valori ( cf Mt 6,21 ), delle aspirazioni e delle attività ( cf Mt 15,19 ), degli atteggiamenti verso gli altri ( cf Mt 11,29; Mt 18,35 ) e del rapporto con Dio ( cf Mt 15,8; Mt 22,37 ).
È il centro della vita intellettiva, volitiva ed emozionale dell'uomo, il luogo di origine, di riferimento e di unità di tutti i suoi rapporti con Dio e con gli altri.
È felice, secondo Mt 5,8, colui che mantiene il cuore - così inteso - puro.
Puro è ciò che è conforme a Dio, che appartiene alla sfera di Dio.
Il cuore è decisivo per la purezza dell'uomo; dal cuore dipende se l'uomo appartiene alla sfera di Dio e piace a Dio.
Il cuore puro è quello conforme alla parola di Dio, libero da tendenze ed impulsi che spingono ad azioni contrarie alla volontà di Dio ( cf Es 20,13-16 ).
I puri di cuore sono coloro che, proprio a partire da tale centro interno, sono conformi alla volontà di Dio.
Secondo il Sal 24, si può avvicinare a Dio « chi ha mani innocenti e cuore puro »: le mani indicano l'agire esterno, il cuore i movimenti interni ( pensieri, intenzioni, emozioni ).
All'innocenza delle mani e alla purezza del cuore è collegato il desiderio della presenza di Dio, desiderio saziato con la visione escatologica ( cf Mt 5,8 ).
Anche l'orante del Sal 51, dopo il riconoscimento della misericordia divina e del proprio peccato, chiede un cuore puro perchè non sia respinto dalla presenza di Dio; anche in Is 6,5-6 la purezza appare come la condizione per « vedere » Dio.
Chi ha un « cuore puro » è anche capace di amore fraterno ( cf 1 Tm 1,5 ).
Il cuore puro, infatti, è la fonte da cui proviene la carità ( cf 1 Pt 1,22 ).
La b. di Mt 5,9 pone nuovamente, come le prime tre, l'attenzione sull'agire esterno.
Secondo il testo di Mt 10,12ss, essere « operatori di pace » significa mettere sempre Gesù al primo posto, anche a costo di « perdere la pace » con le persone più care.
La pace ama la franchezza e la schiettezza, la mormorazione invece distrugge la pace e causa dolore.
Per s. Paolo, Gesù Figlio del Padre è l'operatore di pace per eccellenza, avendoci liberati dal peccato e ristabilito la pace con Dio ( cf Col 1,20 ).
Cristo è talmente operatore di pace da venire chiamato in Ef 2,14-17 « nostra pace ».
Lo spirito di servizio ( cf Mc 9,35 ) deve dare sostanza e sostenere nei discepoli sia il loro comportamento che i loro rapporti i quali devono avere, come misura e punto di orientamento, la pace.
La pace fra i membri della comunità designa lo stato perfetto delle loro mutue relazioni ( cf 2 Cor 13,11 ).
La pace è frutto dell'amore di Dio e presuppone l'amore ( cf Gal 5,22 ).
Gli operatori di pace sono coloro che fanno la pace e, per essa, s'impegnano.
L'impegno per la pace racchiude in sé tutti gli atteggiamenti delle b. precedenti e si esprime anche con un atteggiamento « sereno ».
A questo punto, pace assume anche il significato di riappacificazione con il creato, con se stesso e con Dio, pacificazione interiore interrotta dal peccato, ma ora recuperata da e in Gesù Cristo ( cf Ef 2,14ss ).
Le b. esprimono la promessa di un futuro che manifesta l'avvenuto regno di Dio in ogni uomo che vive il Vangelo di Gesù Cristo come lui, unito indissolubilmente alla volontà del Padre.
Tale testimonianza è tipica del mistico che esprime in sé il cammino della storia nel segno di una positività verso la realtà ultima, ove ogni uomo di buona volontà raggiungerà la sua pienezza in Dio.
* * *
Nelle Scritture beatitudine significa felicitazione per un dono ricevuto, per una virtù o una situazione favorevole.
Le beatitudini più note sono quelle proclamate da Gesù, otto in Matteo ( Mt 5,3ss ), quattro in Luca ( Lc 6,20ss ).
È pensabile che sulle labbra di Gesù le beatitudini fossero soprattutto una proclamazione messianica.
I profeti avevano infatti descritto il tempo messianico come il tempo dei poveri, degli affamati, dei perseguitati, degli oppressi.
Gesù proclama che con Lui questo tempo è arrivato.
A partire da qui Luca e Matteo sviluppano il pensiero di Gesù con accentuazioni proprie.
La formulazione lucana, che forse conserva maggiormente il tono originario delle beatitudini, è personale e diretta ( "Beati voi…" ).
Luca si limita a elencare, senza alcuna precisazione di ordine spirituale, i poveri, i piangenti, gli affamati, i perseguitati.
Alle beatitudini fa poi seguire quattro minacce che imprimono al discorso un tono di grande radicalità.
Luca non beatifica anzitutto delle virtù o dei comportamenti, ma delle situazioni.
I poveri sono beati perché Dio si assume la loro difesa, non per qualcosa che essi fanno o possiedono.
Parzialmente diversa è la prospettiva di Matteo, che precisa poveri di spirito e affamati di giustizia; aggiunge inoltre le beatitudini dei non violenti, dei misericordiosi, degli operatori di pace, dei puri di cuore.
Matteo beatifica in tal modo soprattutto degli atteggiamenti religiosi.
Nella formulazione di ciascuna beatitudine e visibile una tensione fra la prima parte caratterizzata da situazioni negative e la seconda caratterizzata da situazioni positive ( possesso del Regno, consolazione, visione di Dio ).
Questa tensione mostra che le beatitudini non sono la promessa di interventi miracolosi che hanno lo scopo di cambiare le situazioni, che invece restano quelle che sono.
Le beatitudini offrono piuttosto un modo nuovo di leggerle.
Il discepolo sa che praticando le beatitudini getta le basi per un avvenire gioioso e questa certezza già trasforma il presente: nuovo diventa il modo di vivere la povertà, la sofferenza, la persecuzione.
Le beatitudini sono numerose, ma formano un tutt'unico e descrivono un'unica personalità; quella di Gesù e, poi, del discepolo.
Fra le beatitudini e Gesù c'è una strettissima relazione: non soltanto perché Gesù le ha proclamate, ma perché le ha vissute.
Le beatitudini sono sorrette da una persuasione, e cioè che il tempo messianico è giunto e le promesse si stanno realizzando.
A più riprese sono evocate le promesse messianiche dell'Antico Testamento, specialmente in Isaia 61, e sono dichiarate compiute.
Senza questa fondamentale convinzione le beatitudini diverrebbero incomprensibili e prive di ogni giustificazione.
Che non ha peccato: alla lettera « che non ha inciampato ». Molti salmi cantano così la felicità dei cuori puri ( Sal 1; Sal 32; Sal 41; Sal 119; Sal 128 ), in opposizione ai « felici » di questo mondo. È già l'annunzio delle beatitudini evangeliche ( Mt 5,1-12 ). |
Sir 14,1 |
Gesù ha esposto lo spirito nuovo del regno di Dio (
Mt 4,17+ ) con un discorso inaugurale; Mc lo ha omesso (
Mc 3,17+ ); Mt e Lc (
Lc 6,20-49 ) ne presentano due redazioni differenti. Luca ha soppresso, come meno interessante per i suoi lettori, ciò che concerneva le leggi o le pratiche giudaiche ( Mt 5,17-6,18 ); Mt invece vi ha inserito anche parole pronunciate in altre occasioni ( vedere i loro paralleli in Luca ), per ottenere un programma più completo. Nel discorso composito così ottenuto, sono trattati cinque temi principali: 1 - quale spirito deve animare i figli del regno ( Mt 5,3-48 ); 2 - con quale spirito essi devono « perfezionare » le leggi e le pratiche del giudaismo ( Mt 6,1-18 ); 3 - il distacco dalle ricchezze ( Mt 6,19-34 ); 4 - le relazioni don il prossimo ( Mt 7,1-12 ); 5 - entrare nel regno con una scelta decisa e che si traduca in opere ( Mt 7,13-27 ) |
Mt 5,1 |
La forma di questo discorso è più breve che in Mt, poiché Luca non vi ha fatto le stesse aggiunte di Mt; anzi toglie ciò che era troppo giudaico per interessare anche i suoi lettori (
Mt 5,1+ ). Mt ha otto beatitudini. Luca quattro beatitudini e quattro maledizioni. Quelle di Mt ( Mt 5,3-12+ ) tracciano un programma di vita virtuosa con promessa di una ricompensa celeste; quelle di Luca annunziano il rovesciamento delle situazioni, da questa vita alla vita futura ( Lc 16,25 ). in Mt Gesù usa la terza persona - più usuale alla letteratura sapienziale - in Lc apostrofa l'uditorio. |
Lc 6,20 |
Beato: è la prima delle sette beatitudini dell'Apocalisse ( Ap 14,13; Ap 16,15; Ap 19,9; Ap 20,6; Ap 22,7.14 ). | Ap 1,3 |
Schedario biblico |
|
Beatitudini | E 36 |
Regno di Dio ( A ) | C 13 |
Predicazione | C 55 |
Magistero |
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Angelus Benedeto XVI | 14-2-2010 |
Le beatitudini si basano sul fatto che esiste una giustizia divina, che rialza chi è stato a torto umiliato e abbassa chi si è esaltato ( cfr Lc 14,11 ). | |
Angelus Benedetto XVI | 30-1-2011 |
Le Beatitudini sono un nuovo programma di vita, per liberarsi dai falsi valori del mondo e aprirsi ai veri beni, presenti e futuri. | |
Angelus Francesco | 7-4-2013 |
Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto: questa è la beatitudine della fede! In ogni tempo e in ogni luogo sono beati coloro che, attraverso la Parola di Dio, proclamata nella Chiesa e testimoniata dai cristiani, credono che Gesù Cristo è l'amore di Dio incarnato, la Misericordia incarnata. |
|
Meditazione Francesco | 9-6-2014 |
Così « se qualcuno di noi fa la domanda: "Come si fa per diventare un buon cristiano?" », la risposta è semplice: bisogna fare quello che dice Gesù nel discorso delle beatitudini. | |
Meditazione Francesco | 6-6-2016 |
Se le beatitudini sono « il navigatore per la nostra vita cristiana », ci sono anche le « anti-beatitudini » che sicuramente ci faranno « sbagliare strada »: è dall'attaccamento alle ricchezze, dalla vanità e dall'orgoglio che ha messo in guardia Francesco indicando nella mitezza, che non va confusa certo per « sciocchezza », la beatitudine su cui riflettere di più. Sono precisamente « quattro guai ». E cioè: « Guai a voi ricchi, perché avete avuto la vostra consolazione; guai a voi se siete sazi, perché avrete fame; guai a voi che ridete: piangerete; guai a voi, quando tutti diranno bene di voi: così hanno fatto i vostri antenati con i falsi profeti ». |
|
Concilio Ecumenico Vaticano II |
|
… evangeliche |
|
Valide per il mondo moderno | GS 77 |
Il mondo può essere trasfigurato e offerto a Dio solo con lo spirito delle … di cui lo stato dei religiosi è splendida testimonianza | LG 31 |
Il loro spirito deve essere diffuso dai laici nel mondo | LG 38 |
devono esprimerlo nella loro vita | AA 4 |
dopo esserne compenetrati | GS 72 |
Uniscono a Cristo | LG 41 |
Catechismo della Chiesa Cattolica |
|
Beatitudine |
|
La vita della fede | 16 |
Dio come nostra beatitudine | 257 |
-- | 1731 |
-- | 1855 |
« Il mondo è stato creato per la gloria di Dio » | 293 |
294 | |
Il giudizio particolare | 1022 |
Conseguire la beatitudine eterna mediante il Battesimo | 1257 |
Persona umana destinata alla beatitudine eterna | 1700 |
-- | 1703 |
-- | 1711 |
-- | 1769 |
-- | 1818 |
-- | 1934 |
-- | 2548 |
Vocazione dell'uomo alla beatitudine | 1700 |
-- | 1934 |
L'uomo immagine di Dio | 1703 |
Desiderio di felicità e beatitudine | 1718 |
-- | 2548 |
Beatitudine, dono gratuito di Dio | 1720-22 |
-- | 1727 |
Effetti della beatitudine | 1721 |
La moralità delle passioni | 1762 |
Passioni e vita morale | 1768 |
Speranza e beatitudine eterna | 1818 |
Peccato distoglie l'uomo da Dio e dalla sua beatitudine | 1855 |
-- | 1863 |
-- | 1874 |
-- | 1949 |
La comunità umana | 1877 |
Uguaglianza e differenze tra gli uomini | 1934 |
La salvezza di Dio: la legge e la grazia | 1949 |
La legge morale | 1950 |
Vita morale e Magistero della Chiesa | 2034 |
La povertà di cuore | 2547 |
« Voglio vedere Dio » | 2548 |
La preghiera di lode | 2639 |
Comp. 1; 208; 210; 214; 358; 359; 360; 361; 363; 415 | |
Beatitudini evangeliche |
|
Cristo, modello delle beatitudini evangeliche | 459 |
-- | 1697 |
Legge e beatitudini evangeliche | 581 |
-- | 1967 |
-- | 1984 |
Vita consacrata e spirito delle beatitudini evangeliche | 932 |
La Chiesa domesticaSpirito delle beatitudini evangeliche | 1658 |
-- | 2603 |
Catechesi delle beatitudini evangeliche | 1697 |
Beatitudini evangeliche come centro della predicazione di Gesù | 1716 |
Beatitudini evangeliche dipingono il volto di Gesù | 1717 |
Significato e effetti delle beatitudini evangeliche | 1717 |
Beatitudini evangeliche rispondono all'innato desiderio di felicità | 1718 |
-- | 1725 |
-- | 2548 |
Beatitudini evangeliche svelano la meta dell'esistenza umana | 1719 |
Beatitudini evangeliche portano a perfezione le promesse di Dio | 1725 |
Insegnamento derivante dalle beatitudini evangeliche | 1726 |
-- | 1728 |
-- | 1820 |
-- | 2546 |
La speranza | 1820 |
La nuova Legge o Legge evangelica | 1967 |
La santità cristiana | 2015 |
Carità della Chiesa ispirata dalle beatitudini evangeliche | 2444 |
La purificazione del cuore | 2517 |
La povertà di cuore « Beati i poveri … | 2546-47 |
-- | 2603 |
-- | 2660 |
-- | 2833 |
Gesù prega | 2603 |
« Oggi » | 2660 |
Venga il tuo Regno | 2821 |
Dacci oggi il nostro pane quotidiano | 2833 |
Comp. 359; 360; 361 | |
Summa Teologica |
|
… di Dio | I, q. 26 |
Fine ultimo | I-II, q. 1-5 |
… dei Santi | Spl q. 93 |
… Evangeliche | I-II, q. 69 |