Politica
… e cristianesimoSecondo la tradizione aristotelica, la politica è la scienza della città ( polis ) e l'arte del suo governo: si tratta quindi dell'interesse per ciò che è civile, pubblico e anche sociale. In questa accezione, l'epoca classica tramandò il problema politico anche alle prime comunità cristiane. Il nesso con la politica costituisce da allora uno dei nodi problematici della storia del cristianesimo. Le tensioni dell'epoca neotestamentariaNella testimonianza evangelica e negli altri scritti neotestamentari non appare l'espressione "politica", ma il tema del potere politico è ben presente. Nel motto di Gesù che invita a rendere "a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" ( Mc 12,17 ) c'è un fondamentale approccio relativizzante: il potere politico si distingue dalla sfera dell'assoluto. La stessa regalità di Cristo non coincide con la regalità terrena, anzi ne dimostra il limite con la sua kénosi ( v. ), con la potenza paradossale della Croce. Ciò non toglie che anche la politica abbia la sua radice nella volontà ordinatrice di Dio: nel Vangelo di Giovanni durante il suo processo Gesù ammonisce Pilato che egli non avrebbe il potere di salvare o condannare se non gli fosse stato dato dall'alto ( Gv 19,9-11 ). Il cristiano viene così immerso in una tensione continua. Il significato dell'azione terrena ( anche del potere politico ) nella prospettiva storico-salvifica non è affatto negato. L'appello del giudizio universale ( Mt 25 ) misura la salvezza infatti sulle opere di carità ( anche quelle realizzate senza consapevolezza religiosa ). In questo senso l'autorità civile ha un compito dato da Dio per il bene comune e ciascuno deve esserle sottomesso ( Rm 13 ). Il credente deve però rifuggire dall'utilizzo del potere come dominio e piuttosto impostarlo come servizio ( Mt 20,25-27 ). D'altra parte, i rischi del volto demoniaco del potere sono forti e ricorrenti ( come mostrano il racconto delle tentazioni di Gesù e soprattutto l'Apocalisse ). Ma ancor più profondamente, il credente è chiamato a sempre ricordare la propria cittadinanza paradossale, secondo cui la "nostra patria è nei cieli" ( Fil 3,20 ), il che non permette di identificare il Regno che viene con nessun progetto, nessuna realtà o acquisizione storica. Cosi da una parte i primi cristiani e i Padri della Chiesa mostrano una tendenza ad acquisire quanto di positivo si trova nella cultura e nella filosofia politica del tempo, soprattutto nelle correnti umanitarie dello stoicismo di Seneca e Cicerone. Dall'altra emerge sempre la critica all'esistente, il rifiuto a prestare giuramento all'imperatore, la scelta della fuga nel deserto dei primi monaci, con le ricorrenti attese di un compimento escatologico a breve termine, rafforzate dalle persecuzioni. La svolta costantinianaLa rapida ascesa del cristianesimo a religione dominante nell'impero, avvenuta nel sec. IV con Costantino e Teodosio, configura diversamente l'equilibrio tra proposta cristiana e politica. Si mettono le premesse del regime di cristianità ( v. ), in cui Chiesa e società vengono sostanzialmente a coincidere, e quindi le strutture della politica trovano giustificazione nell'universo simbolico cristiano. Nasce l'idea di "impero cristiano": non solo si tende a utilizzare la politica a fini religiosi ( per la conversione "dall'alto", più o meno forzata, di sovrani e popoli ), ma nasce un approccio diverso all'autorità politica stessa. Eusebio di Cesarea paragona la monarchia di Dio alla monarchia terrena: l'unicità del Nómos ( Legge ) e del Lògos ( Parola ) giustifica l'impero universale, steso da Roma al di sopra delle differenze e delle guerre tra popoli. Il giudizio sulla sfera politica resta però articolato: Agostino nella sua Città di Dio difende i cristiani dall'accusa di avere contribuito all'indebolimento dell'impero, rappresentando la continua e mai compiuta lotta storica tra "città di Dio" e "città del demonio". Ma tale lotta spirituale è ormai concepita all'interno di una realtà civile unificata dal messaggio cristiano, al cui servizio è naturalmente anche la politica. La cristianità medievale e la teoria delle "due spade"Papa Gelasio ( 492-496 ) formula in questo quadro la dottrina delle "due spade", cioè dei due poteri: quello spirituale della Chiesa e quello temporale dell'impero ( ormai ridotto all'Oriente cristiano di Costantinopoli ). Regnum e sacerdotium sono autonomi e devono cooperare nell'unico corpo storico della cristianità. Qui sta la base delle successive secolari tensioni e discussioni sulla definizione delle due giurisdizioni, dei rapporti e delle gerarchie tra i due poteri. L'unità cristiana peraltro cementa per tutto l'alto Medioevo i rapporti tra i due poteri, anche quando il papa assume la funzione di supplenza del potere civile. Un papa decisivo per il rafforzamento della giurisdizione del vescovo di Roma come Gregorio Magno afferma che è dovere dei sudditi l'obbedienza assoluta ai reggitori. Il governo dei pochi ( che siano vescovi, abati o re, è in fondo secondario ) sui molti deve per Gregorio Magno basarsi sulla sapienza personale dei reggitori, "medici delle anime". La società è un tutto organico, regolato da rapporti di fedeltà. In effetti, però, la frammentazione giuridica e politica dell'Occidente cristiano rende meno chiara l'idea unitaria teoricamente proclamata. Il cristianesimo si può affidare alle nuove conversioni di re germanici, ma impara a contare su molti altri elementi, quali soprattutto le leggi e la cultura, per una capillare presenza e regolazione civile. Solo nel sec. IX, con la saldatura dell'eredità romana con il diritto personalistico dei popoli germanici, si fonda la concezione carolingia del Sacro Romano Impero, che riporta in Occidente la dignità imperiale. Esso rafforza nuovamente l'idea di impero universale ( che però, in pratica, diventa via via appannaggio esclusivo dell'area germanica ). La riforma gregoriana e la riflessione della scolasticaLa questione degli equilibri tra i due poteri della cristianità diviene progressivamente più complessa ( v. lotta per le investiture ). La riforma promossa da papa Gregorio VII nel sec. XI ha in questo itinerario un grande ruolo: da un dualismo tutto ideale e interiore si giunge a una differenziazione propriamente giuridica e istituzionale dell'unità del corpo politico. Gregorio VII mira primariamente all'indipendenza della Chiesa nelle cose spirituali, ma pone i germi di un'evoluzione propriamente politica. Su quest'onda, Innocenze III e Bonifacio VIII ( secc. XIII-XIV ) rappresentano il vertice delle rivendicazioni della prerogativa papale, arrivando a teorizzare che anche il potere temporale appartiene legalmente alla Chiesa, che ne concederebbe il mero esercizio all'imperatore in vista del bene della cristianità tutta. Tommaso d'Aquino e la scolastica, sfruttando la rinascita dell'aristotelismo, delineano una sintesi tra fede e ragione che riprende elementi della cultura politica classica e resta duratura base della visione cristiana. La società in quest'ottica è vista come un sistema di scambi che mira ordinatamente alla vita buona, e il governo è conseguentemente dotato di compiti e responsabilità morali, in vista del bene comune. Per Tommaso, Dio e popolo sono collocati insieme all'origine dell'autorità legittima e non c'è opposizione di principio tra le due fonti del potere politico. Ciò implica però un'autorità limitata dalle consuetudini e dalla spontanea convergenza del popolo: un'autorità esercitata secondo la legge e l'obbedienza spirituale ai pastori della Chiesa, verso cui la subordinazione indiretta del potere civile è riaffermata. La resistenza a un "tiranno", che uscisse da questi limiti, viene quindi giustificata. L'ampia trattazione della legge ( eterna, naturale, divina e umana ) prevale del resto su ogni considerazione concreta delle forme di governo ( la cui tipologia è ripresa dalla descrizione aristotelica ). In fondo esse sono ancora date per scontate nell'equilibrio della cristianità. Che tale equilibrio sia però sempre in discussione e in evoluzione lo dimostrano nel sec. XV le teorie razionaliste di Marsilio da Padova, dove appare l'idea che la legge dipenda dalla volontà del popolo ( intuizione basata sull'esperienza delle città-Stato classiche e dei Comuni italiani ). Le visioni conciliariste, critiche della potestà papale, additano come ulteriore problema l'esorbitare della gerarchia ecclesiastica dal suo ruolo. Inoltre, con la costruzione degli Stati monarchici moderni lo stesso pluralismo istituzionale della cristianità diviene fonte e matrice di nuovi articolatissimi patti tra sovrani, città, corporazioni e signori feudali ( si pensi, per tutti, alla Magna Charta Libertatum, inglese ). L'Oriente cristiano tra cesaro-papismo ed età dello SpiritoL'esperienza del cristianesimo orientale è diversa sia per motivi teologici e culturali, sia per la sopravvivenza concreta a Costantinopoli di un impero unitario dopo la caduta dell'impero romano d'Occidente. Non si produce quindi in Oriente un'articolazione giuridica di poteri. L'imperatore Giustiniano nel sec. VI parla di una "sinfonia bizantina" tra potere imperiale e potere religioso, che sono certo distinti, ma predestinati all'accordo. Le singole Chiese "autocefale" dell'Oriente non sono in grado di opporre nell'immaginario politico all'unità imperiale un unico principio di organizzazione. Ecco quindi la maggior presa in Oriente dell'idea imperiale ( v. cesaro-papismo ) che diviene punto di riferimento anche per le stesse Chiese. La Russia di Kiev, dopo la cristianizzazione avvenuta nel sec. X, riprende e sviluppa ampiamente questa tradizione: l'autocrazia zarista, religiosamente ortodossa, si considera somma espressione della "Santa Russia". Nessuna distinzione tra Chiesa e Stato è possibile in quest'ottica. L'obbedienza allo zar assume connotati religiosi: Paolo di Aleppo nel sec. XVII vede infatti la Russia come un grande monastero, in cui lo zar esercita i poteri dell'abate. In questa concezione, lo svilupparsi nell'800 dello slavofilismo configura un messianismo storico in cui si annuncia come prossima l' "età dello Spirito", e assume un significato direttamente politico. Il popolo russo ( e insieme lo zar, il potere politico che lo rappresenta e incarna ) è soggetto di un compito messianico: questo filone si trasmette dal misticismo di Alessandro I al panslavismo, fino a una versione totalmente secolarizzata, fatta propria dai bolscevichi dopo la rivoluzione del 1917. La Riforma protestante e le lotte politico-religioseLa riflessione politica di Lutero e Calvino non è particolarmente originale, anche se ambedue concordano sul fatto che l'opposizione dei sudditi ai sovrani è sempre un male. Ma il risultato dei nuovi intrecci di filosofia, religione e politica sviluppati nel frangente della Riforma è abbastanza chiaro: sulla base di una visione tendenzialmente negativa dell'uomo, tipica del pensiero luterano, ma anche per ovvie ragioni di opposizione all'autoritarismo ecclesiastico e imperiale, i riformatori tendono ad appoggiarsi al diritto divino dei sovrani. In generale, la Riforma protestante consolida quindi l'accentramento monarchico nei singoli Stati che emergono dalla frammentazione dell'universo medievale ( anche lo scisma anglicano va nella stessa direzione, con la costituzione della nuova Chiesa di Stato ). La Riforma da anche origine a dottrine radical-comuniste in alcune minoranze entusiaste ( v. anabattisti ), che sono però ben presto emarginate e circoscritte. Calvino propende più nettamente per un modello teocratico, e infatti nell'esperienza di Ginevra, dove la Riforma va al potere, instaura una rigida disciplina politica di stampo clericale: la dottrina della predestinazione interpretata in modo radicale pone i "santi" in posizione assolutamente privilegiata per assumere il governo. Ma la stessa linea calvinista si evolve per necessità, nelle terre dove è bandita e perseguitata, come in Francia, fino a giustificare un'opposizione politica con motivazioni propriamente religiose. Le guerre di religione, drammatico frutto del venir meno della coesione religiosa e civile di Stati e popoli, sono tamponate solo con la rigida divisione delle confessioni in rapporto alle scelte dei sovrani ( secondo il principio cuius regio eius et religio: a ciascuno la religione del proprio sovrano ). Ciò rafforza ulteriormente il potere assoluto dei sovrani nel nascente Stato moderno e giustifica la teoria dell'origine della loro autorità direttamente da Dio ( diritto divino ), senza mediazioni ecclesiastiche ( ma anche senza vincoli di legittimazione popolare ). Di fronte a tale situazione anche il cattolicesimo si adatta al venir meno dell'unità medievale, cercando di salvaguardarne almeno una forma spirituale. Il massimo controversista della Controriforma, Roberto Bellarmino, teorizzando la potestàs indirecta ( il potere indiretto ) della Chiesa nelle cose temporali ( attraverso la coscienza dei sovrani cattolici ), si adatta quindi all'assolutismo e cerca di condizionarlo. Ma non è un caso che in ambienti gesuiti dei secc. XVI-XVII si riscopra l'idea della sovranità popolare, giungendo in casi estremi fino alla teorizzazione della monarcomachia ( uccisione del re infedele ). Dal canto loro, i sovrani assoluti, ormai emancipati da vincoli direttamente ecclesiastici, utilizzano nel sec. XVIII in modo crescente la loro responsabilità nei confronti della religione per controllare e indirizzare le stesse strutture ecclesiali dei loro paesi ( v. gallicanesimo; giurisdizionalismo ). Si prosegue così la secolarizzazione dello Stato moderno, che riduce l'articolazione dei poteri tipica della cristianità medievale ed estende i compiti del governo. Un'altra via d'uscita dalla rottura dell'unità religiosa dell'Europa viene però elaborata da una prospettiva filosofico-politica che tende a dare sanzione politico-giuridica al pluralismo religioso-civile. L'umanesimo aveva già introdotto l'individuo nella filosofia politica. Riflettendo sulla centralità della tolleranza religiosa già nel '500 J. Bodin inaugura una linea che arriva a J. Locke, Gh. de Montesquieu e poi al liberalismo della prima metà del sec. XIX. Questa dinamica porta peraltro alla laicizzazione delle istituzioni politiche, e viene quindi lungamente avversata dalla teologia cattolica e dal magistero dei papi ( che vi identificano la matrice nell'indifferentismo e nel razionalismo e vi scorgono anche il rifiuto del principio della derivazione divina dell'autorità ). E nell'area dove aveva prevalso la Riforma, con la sua maggiore predisposizione all'individualismo, che tale prospettiva prende più rapidamente piede. La modernità rivoluzionaria della politica interroga i credentiLe rivoluzioni sei-settecentesche, da quelle inglesi a quella americana e a quella francese del 1789, inaugurano una nuova dimensione della politica, nata nelle assemblee costituenti e parlamentari, con la pratica della rappresentanza, il sorgere dei partiti e il dibattito pubblico sull'indirizzo del potere. La politica moderna, come sfera pubblica collettiva autonoma sia dallo Stato che dalla Chiesa, nella spinta a perseguire i valori supremi della convivenza, utilizza anche concetti teologici in forma secolarizzata: la sovranità popolare si contrappone alla sovranità divina. Di qui la ricorrente tendenza all'assolutizzazione della sfera politica, fonte di gravi problemi per il cristiano. Ecco allora la permanente tentazione del cristianesimo moderno di negare lo spazio della politica, nell'illusione di poter ricondurre la politica alla società, ribadendo l'organicismo tradizionale. Le correnti che evitano quest'illusione, fin dal primo impatto con le novità della politica, manifestano reazioni opposte, anche se accomunate dall'esigenza di integrare valori spirituali e valori terreni: prendono infatti le mosse da questo scontro una prospettiva reazionaria e una democratica. La linea reazionaria muove dalla contrapposizione totale della tradizione del popolo cristiano alla "rivoluzione", guidata da élites illuministe e massoniche. Essa configura quindi il cattolicesimo come ideologia politica reazionaria a base di massa, schierandosi con l'antico regime e i suoi principi, che vengono perciò assolutizzati. Alcuni pensatori della Restaurazione ( De Maistre, Bonaid, Veuillot ) danno organicità a questa posizione. La linea democratica identifica invece nelle idee rivoluzionarie ( i "principi dcll'89" di libertà, uguaglianza e fraternità ) temi propriamente cristiani sviluppatisi occasionalmente al di fuori del cammino ecclesiale e punta a nuove sintesi, nella linea di una "religione amica della democrazia". In questa visione la Chiesa deve "passare ai nuovi barbari", alle masse popolari emancipate, abbandonando i legami tra trono e altare: sono queste le posizioni dei primi "cattolici democratici" ( v. cattolicesimo democratico ). Al di fuori di questa contrapposizione stanno invece quelle posizioni che, recuperando tensioni escatologiche sempre presenti nel cristianesimo, si distaccano da ogni idea di un'organizzazione cattolica delle forme del politico. L'esile ma significativo filone cattolico-liberale del sec. XIX ( Lamennais, Rosmini, Manzoni ), proclamando la centralità dell'approccio morale e della coscienza individuale, si armonizza tendenzialmente con il nuovo clima del liberalismo politico ( appoggia, per esempio, il separatismo tra Chiesa e Stato ), ma non identifica la proposta della salvezza cristiana con nessun messaggio politico. Se ciò vale per i paesi a maggioranza cattolica, specifica è la vicenda anglosassone, contrassegnata dalla prevalenza protestante. Abbandonate lentamente posizioni teocratiche, si fa strada la considerazione della laicità del politico, che giunge fino a maturare un approccio di tolleranza civile verso le stesse posizioni cattoliche ( nell'Inghilterra del sec. XIX ). Una commistione originale di messianismo politico di segno puritano e di tolleranza religiosa all'interno della comunità, si esprime invece nel "sacro esperimento" dei primi coloni inglesi in terra d'America, dando vita ad alcune premesse decisive per la costituzione degli Stati Uniti. La religione, rifuggendo dall'idea di istituzionalizzare il proprio ruolo, tende a divenire piuttosto "religione civile", capillarmente presente in modo non confessionale nel tessuto della società americana. Ascesa e declino del cattolicesimo politicoMolto travagliata è da parte cattolica l'accettazione della rottura del regime di cristianità, ossia del fatto che il cristianesimo e la Chiesa sono diventati solo una parte delle società, nell'orizzonte dei nuovi Stati liberali e nazionali. In fondo, però, il processo è aiutato dalla persistenza dell'idea classica dell'obbedienza dovuta dai singoli credenti all'autorità legittima, collegata a una certa indifferenza della Chiesa alle forme di questo potere ( una volta fatti salvi i valori religiosi ): temi che, per esempio, Leone XIII ribadisce nelle sue encicliche degli anni '80 del sec. XIX. Al fondo di questo itinerario di adeguamento al nuovo contesto storico-politico stanno le forme del cattolicesimo politico, inserite nei modelli istituzionali liberali rappresentativi. Prima versione è il "partito cattolico" ottocentesco, che mira a difendere strettamente gli interessi confessionali nelle istituzioni parlamentari ( modello per eccellenza è il partito del Centro nella Germania bismarckiana ). Notevole è però l'evoluzione nel '900. I partiti di "democrazia cristiana" sviluppano infatti un loro senso della laicità della politica e della conseguente necessità di una mediazione culturale, su posizioni spesso ispirate al filone cattolico-democratico ( come nel caso del Partito Popolare Italiano, o del partito cattolico belga ). Spesso tali formazioni guidano alla politica anche cattolici conservatori o reazionari, soprattutto dove questi partiti hanno successi elettorali e ruoli politici importanti ( nei casi tedesco, francese e italiano dopo il 1945 ) e si trasformano così in partiti dell'unità politica dei cattolici ( o dei cristiani ). Nella parabola politica della democrazia cristiana, i motivi di critica frontale del pensiero cristiano all'evoluzione dello Stato moderno ( organicismo, anticentralismo, sussidiarietà, libertà religiosa e familiare ) diventano spunti per scelte concretamente riformatrici all'interno di quelle strutture statali. Così, assieme ai partiti liberali e socialdemocratici, tali esperimenti hanno sostenuto la creazione delle sintesi "liberaldemocratiche" contemporanee, nell'equilibrio di Stato e mercato. Meno diffuse, ma non assenti, sono le figure di un "socialismo cristiano", soprattutto all'interno del laburismo britannico o della socialdemocrazia tedesca. Si intrecciano così, in questa evoluzione lenta e complessa, posizioni culturali favorevoli alle libertà moderne con posizioni tradizionali, che mirano a tutelare gli interessi ecclesiastici. Ma è lo scontro con i totalitarismi che caratterizza il cuore del XX sec. Netta è la presa di distanza delle Chiese cristiane dalla parabola del comunismo leninista, avvertito come "religione secolare", totalmente contrapposta all'eredità cristiana. Solo alcuni piccoli gruppi e pensatori isolati tentano l'operazione di distinguere all'interno del marxismo il materialismo dialettico, filosofia antireligiosa, dall'analisi storica sul capitalismo e dalle battaglie politiche egualitarie del movimento operaio. Inizialmente meno compatta è invece l'opposizione cattolica e protestante ai fascismi, i cui elementi ideologici antimoderni e antiliberali danno a molti credenti l'illusione di poterli utilizzare come strumenti di restaurazione religiosa. È la radicalizzazione del paganesimo nazista a motivare e sostenere infine più decise contrapposizioni. Proprio per contrapporsi ai totalitarismi, Pio XII nel Radiomessaggio natalizio del 1944 supera la tradizionale indifferenza verso i regimi politici, mostrando una nuova attenzione verso una "vera e sana" democrazia politica. La filosofia e la teologia politica contemporaneeNella parabola dell'affermazione della democrazia, della crisi e del rinnovamento dello Stato moderno, emergono nuovi approcci al politico da parte cristiana. La filosofia personalista ( Maritain, Mounier; v. personalismo ) cerca un nuovo equilibrio - fondamentale nel rinnovamento del cattolicesimo politico - tra logica dell'incarnazione e appello escatologico, imperniato sulla persona umana concreta. Il personalismo trova un riferimento teologico coerente nella teologia delle realtà terrestri, o nella prima teologia del laicato ( Thils, Chenu, Gongar, con qualche analogia in area protestante, come Tillich ). Questi spunti sono confluiti anche nella riflessione sulla politica del concilio Vaticano II. In tempi successivi, la "teologia politica" occidentale ( Metz, Moltmann ), pur rinnovando l'urgenza di esprimere e sviluppare le implicazioni pubbliche e sociali del messaggio cristiano, conduce a impostare un rapporto critico-dialettico della fede con il presente storico, in nome della riserva escatologica cristiana. Al fondo di questa ricerca, la teologia della liberazione mira invece ad applicare alle drammatiche povertà del Sud del mondo la spinta cristiana all'emancipazione di ogni uomo e di ogni popolo. In altre esperienze e riflessioni contemporanee sono più evidenti i segni di una ripresa della tensione escatologica. Teologi evangelici di primo piano, come Barth e Bonhoeffer, si fanno promotori dell'esperienza della "Chiesa confessante" contro i "cristiano-tedeschi" che si erano adattati a convivere con il regime nazista in nome della funzione nazionale del cristianesimo germanico. La teologia protestante americana ( R. Niebuhr ), partendo da posizioni realiste se non pessimiste sull'uomo e l'organizzazione sociale, contribuisce a sostenere la diffusione della democrazia, ma anche a caratterizzarla in senso limitato e minimalistico, contro ogni totalizzazione della politica. Nel campo dell'ortodossia, Solov'év e Berdjaev rinnovano il messianismo dell'idea russa" in senso non nazionalistico, differenziando il ruolo spirituale da quello politico, giudicando sempre relativa e parziale la convivenza tra Stato e Chiesa e uscendo quindi definitivamente da ogni suggestione teocratica. Una figura di notevole rilievo politico ( che poi ha condotto un cammino monastico ), come G. Dossetti, giunge a chiedere ai credenti di non confidare in mediazioni culturali e ideologiche definitive e stabili tra fede e politica, recuperando piuttosto gli "abiti virtuosi" del politico cristiano in modo coerente alla radicalità evangelica. |
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Cristianesimo e sistemi politiciIn tutto l'arco della dottrina dell'esperienza biblica, dai primordi di Israele a tutto il Nuovo Testamento, si sono fatti sempre più chiarì e più fermi alcuni principi: 1) Il popolo di Dio, la comunità - umile e mite - dei credenti nel Dio unico e in Gesù crocifisso e risorto, non si identifica e non si identificherà mai con nessuna forma della socialità umana: vivrà in essa, ma nel migliore dei casi, essenzialmente come un parepidemos, uno che vive da straniero presso un altro popolo. 2) Le forme sociali che si sono susseguite o che si susseguiranno nella storia possono rappresentare una necessità per i soggetti sociali e persino uno strumento della volontà di Dio nel suo disegno complessivo sull'uomo e sulla comunità dei credenti, ma nessun loro modello ideale può dirsi positivamente approvato da Dio e dalla sua rivelazione. 3) Anzi, il peccato che è nell'uomo decaduto si ritrova anche nelle sue città e nelle forme sociali più vaste e complesse: queste ultime possono assicurare agli uomini vantaggi sensibili in varie direzioni, ma tendono a porsi come grandi concentrazioni di potere ( le megalopoli, gli imperi ) e divenire sempre più anonime e soprattutto a consentire uno sfrenamento più incontenibile delle peggiori passioni umane: l'ambizione prevaricatrice, l'avidità di illimitati guadagni, il lusso spettacolare, la lussuria sempre più cupida di ogni perversione, l'adulterazione industrializzata della verità, lo spargimento ingiusto di sangue ecc. Sicché non si può parlare solo di un'ambivalenza delle forze sociali e del potere, come fanno molti sociologi contemporanei, ma il credente deve riconoscere un loro inquinamento profondo con altissimi rischi: il rischio più grave di tutti è la guerra, sempre più generalizzata e distruttiva a livello planetario. 4) Nonostante tutto la comunità dei credenti non può seguire e tanto meno predicare nessun anarchismo: deve per lo più sottomettersi alle autorità costituite e deve pagare il proprio contributo: cercare altrove la propria coesione, cioè non in un qualsiasi progetto sociale ad essa specifico, ma solo nella Parola di Dio accolta e predicata con energia indomita, e nell'esercizio ad ogni costo anche comunitario del culto che faccia salire a Dio e al suo Cristo il canto nuovo, la lode perfetta "di ogni tribù e lingua e popolo e nazione" ( Ap 5,9-13 ). Questo è tutto. Ma è essenziale e soprattutto liberante ( per il credente e per il non credente ), universalmente attuale e valido in ogni tempo e luogo della terra. Si può andare avanti? Sì può determinare di più? Si possono dare, dai credenti, contributi - individuali o di gruppo - più positivi alla sanazione delle forme sociali che si susseguono nella storia? Lo si è tentato molte volte nella storia del cristianesimo. E per fare questo si è fatto appello ad un pensiero d'altra fonte, che si è cercato di integrare nel puro dato biblico. Operazione per sé non illegittima, ma che non sembra mai pienamente riuscita e che in ogni caso, a mio avviso, richiederebbe sempre precise condizioni, e cioè: - che si sappia con estrema lucidità che cosa è propriamente il dato cristiano in sé, e che non lo si estenda con inclusioni più o meno consapevoli; - che altrettanto si sappia e si abbia sempre coscienza del limite e del grado di opinabilità che può esserci nelle altre fonti che si utilizzano e, quindi, nel progresso che ne risulta; - che la mediazione venga fatta con vero rigore dottrinale e assieme con estremo rigore morale, il quale a sua volta non può non essere proporzionale al grado di disinteresse: personale, di gruppo e persino di istituzione, cioè di grande purezza nella difesa degli stessi interessi delle istituzioni della comunità credente, in quanto tali; - e infine che il tentativo sia ispirato, nel caso concreto, da un'intuizione profonda dell'attualità storica: intuizione che non è stata sempre la dote più propria dei cristiani che vogliono operare nella storia, così che spesso o sono vittime di anacronismi ( nel culto delle memorie, nella enfatizzazione della tradizione e nemmeno sempre di quella più autentica, e perciò di nostalgie devianti ) oppure, alcuni almeno, indulgono ad anticipazioni laceranti ( che non mantengono nessun rapporto col presente, di cui vorrebbero essere la negazione totale ). In realtà non mi pare che queste condizioni si siano verificate nei tentativi passati. |
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Magistero |
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Congr. Fede - Impegno e comportamento dei cattolici nella vita politica - 24-11-2002 |
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La politica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace. Naturalmente un politico cercherà il successo senza il quale non potrebbe mai avere la possibilità dell'azione politica effettiva. Ma il successo è subordinato al criterio della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all'intelligenza del diritto. |
Discorso Benedetto XVI 22-9-2011 |
Concilio Ecumenico Vaticano II |
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Arte difficile e nobile | Gaudium et spes 75 |
La vita pubblica contemporanea | Gaudium et spes 73 |
Natura e fine della comunità … | Gaudium et spes 74 |
Collaborazione di tutti alla vita … | Gaudium et spes 75 |
Chiesa e comunità … | Gaudium et spes 76 |
Cristo non volle essere un Messia politico | Dignitatis humanae 11 |
La missione della Chiesa non è di ordine … | Gaudium et spes 42 |
La Chiesa non condanna l'antisemitismo per motivi politici | Nostra aetate 4 |
I politici cattolici | Apostolicam actuositatem 14 |
La politica non divide i fedeli dagli altri uomini | Ad gentes 15 |
Rispetto per gli avversari … | Gaudium et spes 28 |
Regimi politici avversi alle libertà, violenti, che abusano dell'esercizio dell'autorità, condannati | Gaudium et spes 73 |
fondamentali diritti dell'uomo in qualsiasi regime … | Gaudium et spes 29 |
Interessi politici e morali negli autori degli strumenti della comunicazione sociale | Inter mirifica 11 |
v. Partiti | |
Catechismo della Chiesa Cattolica |
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Un duro combattimento | 407 |
Cristo | 439 |
Divisioni delle autorità ebraiche a riguardo di Gesù | 596 |
Le caratteristiche del Popolo di Dio | 782 |
La vocazione dei laici | 899 |
La libertà umana nell'Economia della Salvezza | 1740 |
Il carattere comunitario della vocazione umana | 1882 |
L'autorità | 1901ss |
Il dovere sociale della religione e il diritto alla libertà religiosa | 2108 |
Doveri delle autorità civili | 2237 |
Doveri dei cittadini | 2242ss |
La destinazione universale e la proprietà privata dei beni | 2406 |
L'attività economica e la giustizia sociale | 2431 |
Il rispetto della verità | 2491 |
Compendio della dottrina sociale |
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Salvezza e mondo della politica |
1 |
Alleanza e vita politica di Israele | 24 |
Rottura originaria e vita politica | 27 |
Comandamento dell'amore e vita politica | 33 |
Fenomeno politico dell'interdipendenza | 33 |
Impegno dell'uomo e vita politica | 40 |
Persona umana e strutture politiche | 48 |
Chiesa, comunità politica e sistema politico | 50 |
Regno di Dio e organizzazione politica | 51 |
Politica ed economia della salvezza | 62 |
Chiesa, evangelizzazione e politica | 70 |
Fede e realtà socio-politica | 86 |
Gaudium et spes e comunità politica | 96 |
Centesimus annus e organizzazione politica | 103 |
Principi permanenti e politica |
161 |
Bene comune e autorità politica | 168 |
Proprietà privata e politica economica | 176 |
Popoli indigeni e vita politica | 180 |
Carità e attenzione politica alla povertà | 184 |
Sussidiarietà e realtà politica del Paese | 187 |
Vita politica della comunità civile | 189 |
Alternanza dei dirigenti politici | 189 |
Disaffezione per la sfera della vita politica | 191 |
Carità sociale e politica | 207; 208 |
Famiglie e vita politica | 246; 247 |
Famiglie e politica familiare | 247 |
Azione politica e valori della famiglia | 252; 254 |
Politica economica e occupazione | 288 |
Politiche di riforma agraria | 300 |
Politica delle fusioni |
344 |
Imprenditori e stabilità politica | 345 |
Stato e politica economica | 354 |
Comunità politica e spesa pubblica | 355 |
Solidarietà intergenerazionale e comunità politiche | 367 |
Politica e dimensione operativa mondiale | 372 |
Interdipendenza politica | 373 |
Autorità politica e vita calma e tranquilla | 381 |
Persona umana e convivenza politica | 384; 388; 391 |
Comunità politica e popolo | 385 |
Diritti umani e comunità politica | 388 |
Comunità politica e bene comune | 389; 407 |
Convivenza politica e amicizia civile | 390; 392 |
Società politica e valore della comunità | 392 |
Autorità politica e convivenza civile |
393; 394 |
Autorità politica e ordine morale | 394 |
Autorità politica e popolo | 395; 408 |
Cristiani, verità e azione politica | 407 |
Bene comune e autorità politica | 409 |
Corruzione politica | 411 |
Partiti politici e partecipazione | 413 |
Partecipazione politica e referendum | 413 |
Partecipazione e comunità politica | 414 |
Politica delle comunicazioni | 416 |
Comunità politica e società civile | 417; 418; 419 |
Libertà religiosa e prudenza politica | 422 |
Chiesa e comunità politica | 424; 425; 427 |
Autorità politica e Comunità internazionale | 441 |
Politica internazionale, pace e sviluppo | 442 |
Vita politica, sottosviluppo e povertà |
447 |
Paesi e politica commerciale | 476 |
Uso dell'ambiente e scelte politiche | 483 |
Politica demografica e sviluppo globale | 483 |
Pace, valore dell'intera comunità politica | 495 |
Leone XIII e realtà politica del suo tempo | 521 |
Antropologia cristiana e realtà della politica | 522 |
Laici, formazione e impegno politico | 531 |
Dialogo, comunità cristiane e politica | 534 |
Sacerdote, fedeli e vita politica | 539 |
Prudenza «politica» | 548 |
Laico, servizio e vita politica | 551; 565 |
Laico e cultura politica ispirata al Vangelo | 555 |
Laici, cultura e azione politica | 556 |
Politici e ripensamento dell'economia |
564 |
Qualificazione morale della vita politica | 566 |
Laico ed esercizio del potere | 567 |
Impegno politico dei cattolici e laicità | 571 |
Laicismo e rilevanza politica della fede | 572 |
Laici e scelta degli strumenti politici | 573 |
Solidarietà e organizzazione politica | 580 |
Amore cristiano, carità politica | 581 |